Marco V.
2009-01-02 15:10:13 UTC
1. A partire da Hegel, la filosofia ha cominciato a parlare in termini
esplici della differenza tra "intelletto" e "ragione" - differenza che,
ovviamente, sarebbe posta dalla stessa "ragione". I due termini di tale
differenza sono poi stati indicati, rispettivamente, con "ragione analitica"
e "ragione dialettica". E la affermazione di questa differenza è stata una
dei modi fondamentali con cui la filosofia ha preteso di difendere la
razionalità filosofica dall'assalto, compiuto dal punto di vista
scientifico, ai procedimenti della ragione.
2. Una della convinzioni della "filosofia analitica" è che la "ragione
dialettica" sia, per quel tanto che essa è *ragione*, la stessa cosa della
cosiddetta "ragione analitica". Coerentemente con questa convinzione la
filosofia analitica - anche su ICFM:-) - ha richiesto ai discepoli della
"filosofia continentale" ancora alle prese con la differenza ragione
analitica/ragione dialettica, l'esibizione concreta di tale differenza:
l'esibizione, cioè, di un contesto in cui l'applicazione della "ragione
dialettica" produca un esito razionale differente dall'applicazione della
"ragione analitica".
3. Ora, nell'altro thread si parlava del problema della "essenza". "Essenza"
indica ciò che l'ente non può non essere per essere quella cosa che esso è.
Pare, allora, che ogni volta che diciamo che D è una determinazione
essenziale dell'ente x, sia poi immaginabile un contestio in cui x rimane x
anche senza essere più D; insomma, l'essenza non sarebbe nominabile e
perciò, nella misura in cui conoscere significa saper nominare, sembra che
tutto quello che ci resta da dire sulla essenza è che ci sembrava di
conoscerla; in più, potremmo aggiungere - ma questo già comincia ad evadere
i limiti della nostra questione - che è necessario che noi presumiamo di
conoscere l'essenza, e che la necessità di tale presunzione non è in
contraddizione logica con il continuo sottrarsi della essenza alla
nominazione.
Ma torniamo sui nostri passi e leggiamo quello che abbiamo scritto: "_x_
rimane _x_ senza essere più D" (concretizzando tramite l'esempio di Astolfo:
"una _Ferrari_ rimane una _Ferrari_ anche non avendo più i sedili rossi").
Il
"negativo" di questa proposizione è: "x che non è D, non è x".
4. Abbiamo scritto: "x che non è D, non è x". D svolge qui, ovviamente, la
funzione di determinazione essenziale di x. Di qui è possibile tracciare la
differenza tra la "ragione dialettica" e la "ragione analitica" nel modo
seguente. La "ragione analitica" è quella "ragione" per la quale il
significato di "x che non è D, non è D" è interamente riducibile, in quanto
significato non contraddittorio, a "un ente che non è D, non è x". Infatti
per tale "ragione" - poiché la proposizione "x che non è D, non è x" ha come
soggetto logico proprio x - tutto ciò che della proposizione in questione
non è riducibile alla proposizione non contraddittoria "un ente che non è D,
non è x", è contraddizione e deve essere perciò abbandonato: come può
infatti esistere una determinazione D tale che_x_, non possedendo D, non sia
_x_? La "ragione analitica", cioè, è la convinzione che l'attenersi al pdnc
implichi la necessità di ridurre il significato logico di "x che non è D,
non è x" a "un ente che non è D, non è x".
5. La "ragione dialettica", invece, esclude che il significato logico di "x
che non è D, non è x" sia riducibile a "un ente che non è D, non è x";
questa non riducibilità è poi lo spazio logico in cui assume senso la figura
della "contraddizione dialettica", nella sua differenza dalla
"contraddizione analitica".
E questo perché nella proposizione in questione è contenuto un riferimento
all'*intenzione di porre* x. La riduzione del significato logico effettuata
dalla "ragione analitica", cioè, si fonda sulla separazione tra la
proposizione "x che non è D, non è x" e l'intenzione di porre x.
E' di qui - secondo quanto sto cercando di mostrare - che andrebbe fondata e
sviluppata la differenza tra le due "ragioni".
Un saluto,
Marco
esplici della differenza tra "intelletto" e "ragione" - differenza che,
ovviamente, sarebbe posta dalla stessa "ragione". I due termini di tale
differenza sono poi stati indicati, rispettivamente, con "ragione analitica"
e "ragione dialettica". E la affermazione di questa differenza è stata una
dei modi fondamentali con cui la filosofia ha preteso di difendere la
razionalità filosofica dall'assalto, compiuto dal punto di vista
scientifico, ai procedimenti della ragione.
2. Una della convinzioni della "filosofia analitica" è che la "ragione
dialettica" sia, per quel tanto che essa è *ragione*, la stessa cosa della
cosiddetta "ragione analitica". Coerentemente con questa convinzione la
filosofia analitica - anche su ICFM:-) - ha richiesto ai discepoli della
"filosofia continentale" ancora alle prese con la differenza ragione
analitica/ragione dialettica, l'esibizione concreta di tale differenza:
l'esibizione, cioè, di un contesto in cui l'applicazione della "ragione
dialettica" produca un esito razionale differente dall'applicazione della
"ragione analitica".
3. Ora, nell'altro thread si parlava del problema della "essenza". "Essenza"
indica ciò che l'ente non può non essere per essere quella cosa che esso è.
Pare, allora, che ogni volta che diciamo che D è una determinazione
essenziale dell'ente x, sia poi immaginabile un contestio in cui x rimane x
anche senza essere più D; insomma, l'essenza non sarebbe nominabile e
perciò, nella misura in cui conoscere significa saper nominare, sembra che
tutto quello che ci resta da dire sulla essenza è che ci sembrava di
conoscerla; in più, potremmo aggiungere - ma questo già comincia ad evadere
i limiti della nostra questione - che è necessario che noi presumiamo di
conoscere l'essenza, e che la necessità di tale presunzione non è in
contraddizione logica con il continuo sottrarsi della essenza alla
nominazione.
Ma torniamo sui nostri passi e leggiamo quello che abbiamo scritto: "_x_
rimane _x_ senza essere più D" (concretizzando tramite l'esempio di Astolfo:
"una _Ferrari_ rimane una _Ferrari_ anche non avendo più i sedili rossi").
Il
"negativo" di questa proposizione è: "x che non è D, non è x".
4. Abbiamo scritto: "x che non è D, non è x". D svolge qui, ovviamente, la
funzione di determinazione essenziale di x. Di qui è possibile tracciare la
differenza tra la "ragione dialettica" e la "ragione analitica" nel modo
seguente. La "ragione analitica" è quella "ragione" per la quale il
significato di "x che non è D, non è D" è interamente riducibile, in quanto
significato non contraddittorio, a "un ente che non è D, non è x". Infatti
per tale "ragione" - poiché la proposizione "x che non è D, non è x" ha come
soggetto logico proprio x - tutto ciò che della proposizione in questione
non è riducibile alla proposizione non contraddittoria "un ente che non è D,
non è x", è contraddizione e deve essere perciò abbandonato: come può
infatti esistere una determinazione D tale che_x_, non possedendo D, non sia
_x_? La "ragione analitica", cioè, è la convinzione che l'attenersi al pdnc
implichi la necessità di ridurre il significato logico di "x che non è D,
non è x" a "un ente che non è D, non è x".
5. La "ragione dialettica", invece, esclude che il significato logico di "x
che non è D, non è x" sia riducibile a "un ente che non è D, non è x";
questa non riducibilità è poi lo spazio logico in cui assume senso la figura
della "contraddizione dialettica", nella sua differenza dalla
"contraddizione analitica".
E questo perché nella proposizione in questione è contenuto un riferimento
all'*intenzione di porre* x. La riduzione del significato logico effettuata
dalla "ragione analitica", cioè, si fonda sulla separazione tra la
proposizione "x che non è D, non è x" e l'intenzione di porre x.
E' di qui - secondo quanto sto cercando di mostrare - che andrebbe fondata e
sviluppata la differenza tra le due "ragioni".
Un saluto,
Marco