Discussione:
Circa la "ragione dialettica"
(troppo vecchio per rispondere)
Marco V.
2009-01-02 15:10:13 UTC
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1. A partire da Hegel, la filosofia ha cominciato a parlare in termini
esplici della differenza tra "intelletto" e "ragione" - differenza che,
ovviamente, sarebbe posta dalla stessa "ragione". I due termini di tale
differenza sono poi stati indicati, rispettivamente, con "ragione analitica"
e "ragione dialettica". E la affermazione di questa differenza è stata una
dei modi fondamentali con cui la filosofia ha preteso di difendere la
razionalità filosofica dall'assalto, compiuto dal punto di vista
scientifico, ai procedimenti della ragione.

2. Una della convinzioni della "filosofia analitica" è che la "ragione
dialettica" sia, per quel tanto che essa è *ragione*, la stessa cosa della
cosiddetta "ragione analitica". Coerentemente con questa convinzione la
filosofia analitica - anche su ICFM:-) - ha richiesto ai discepoli della
"filosofia continentale" ancora alle prese con la differenza ragione
analitica/ragione dialettica, l'esibizione concreta di tale differenza:
l'esibizione, cioè, di un contesto in cui l'applicazione della "ragione
dialettica" produca un esito razionale differente dall'applicazione della
"ragione analitica".

3. Ora, nell'altro thread si parlava del problema della "essenza". "Essenza"
indica ciò che l'ente non può non essere per essere quella cosa che esso è.
Pare, allora, che ogni volta che diciamo che D è una determinazione
essenziale dell'ente x, sia poi immaginabile un contestio in cui x rimane x
anche senza essere più D; insomma, l'essenza non sarebbe nominabile e
perciò, nella misura in cui conoscere significa saper nominare, sembra che
tutto quello che ci resta da dire sulla essenza è che ci sembrava di
conoscerla; in più, potremmo aggiungere - ma questo già comincia ad evadere
i limiti della nostra questione - che è necessario che noi presumiamo di
conoscere l'essenza, e che la necessità di tale presunzione non è in
contraddizione logica con il continuo sottrarsi della essenza alla
nominazione.
Ma torniamo sui nostri passi e leggiamo quello che abbiamo scritto: "_x_
rimane _x_ senza essere più D" (concretizzando tramite l'esempio di Astolfo:
"una _Ferrari_ rimane una _Ferrari_ anche non avendo più i sedili rossi").
Il
"negativo" di questa proposizione è: "x che non è D, non è x".

4. Abbiamo scritto: "x che non è D, non è x". D svolge qui, ovviamente, la
funzione di determinazione essenziale di x. Di qui è possibile tracciare la
differenza tra la "ragione dialettica" e la "ragione analitica" nel modo
seguente. La "ragione analitica" è quella "ragione" per la quale il
significato di "x che non è D, non è D" è interamente riducibile, in quanto
significato non contraddittorio, a "un ente che non è D, non è x". Infatti
per tale "ragione" - poiché la proposizione "x che non è D, non è x" ha come
soggetto logico proprio x - tutto ciò che della proposizione in questione
non è riducibile alla proposizione non contraddittoria "un ente che non è D,
non è x", è contraddizione e deve essere perciò abbandonato: come può
infatti esistere una determinazione D tale che_x_, non possedendo D, non sia
_x_? La "ragione analitica", cioè, è la convinzione che l'attenersi al pdnc
implichi la necessità di ridurre il significato logico di "x che non è D,
non è x" a "un ente che non è D, non è x".

5. La "ragione dialettica", invece, esclude che il significato logico di "x
che non è D, non è x" sia riducibile a "un ente che non è D, non è x";
questa non riducibilità è poi lo spazio logico in cui assume senso la figura
della "contraddizione dialettica", nella sua differenza dalla
"contraddizione analitica".
E questo perché nella proposizione in questione è contenuto un riferimento
all'*intenzione di porre* x. La riduzione del significato logico effettuata
dalla "ragione analitica", cioè, si fonda sulla separazione tra la
proposizione "x che non è D, non è x" e l'intenzione di porre x.
E' di qui - secondo quanto sto cercando di mostrare - che andrebbe fondata e
sviluppata la differenza tra le due "ragioni".

Un saluto,

Marco
Solania
2009-01-02 16:29:53 UTC
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....io non ci capisco circa niente e quindi mi circa astengo....circa.....
.....circa poi ai "sedili rossi" in una Ferrari è una...circa schifezza
logica...ma che circa poi non è neanche tanto....che è proprio
un'obbrobrio....circa sté p.......
che circa le Ferrari voi ne circa capite come me di circa
Logica.....circa...;))
Davide Pioggia
2009-01-02 18:10:28 UTC
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Post by Marco V.
La "ragione analitica" è quella "ragione" per la quale il
significato di "x che non è D, non è D" è interamente riducibile, in
quanto significato non contraddittorio, a "un ente che non è D, non è x".
Ma che cosa è "x"? Nel lnguaggio della "ragione analitica" si dice che è
una "variabile".

Ora, spero bene che i mostri sacri della "ragione alternativa" non
si pieghino ad usare il linguaggio e gli schemini della logica formale. Nel
cosiddetto "linguaggio naturale" non esistono le "variabili", ma esistono i
pronomi indefiniti eccetera. Così "qualcuno" è come dire "un qualche uomo",
mentre "ognuno" è come dire "tutti gli uomini".

Ebbene, in un contesto rigoroso un "razionalista analitico" non nomina mai
una "x" (cioè una "variabile") senza specificare (o lasciare che sia
specificato dal contesto) la classe in cui quella "variabile", appunto,
"varia". Così se vogliamo dire "un uomo" nominiamo una certa "x"
appartenente all'insieme U di tutti gli uomini, e se invece vogliamo dire
"tutti gli uomini" applichiamo il "quantificatore universale" ad una
"variabile x" che "varia", di nuovo, nell'insieme di tutti gli uomini. Se
poi non vogliamo restringerci all'insieme di tutti gli uomini, allora
occorre definire *formalmente* una cosiddetta "ontologia", dopodiché una "x"
massimamente generica è una "x" che appartiene alla classe di "tutto ciò che
c'è". Ne viene - come insegna Quine - che alla domanda «Che cosa c'è?» non
si può che rispondere «Tutto!», sicché di ogni cosa si può dire che è un
"ente".

Come è noto su questa formalizzazione si può discutere a lungo, e per
sistemarla per bene ci vogliono non meno di tre-quattrocento pagine.
Tuttavia - anche laddove ci sono degli aspetti da chiarire a da discutere -
resta il fatto che ogni singolo passaggio di quei libroni è chiaro,
condivisibile e intersoggettivo, tant'è che tu ed io ci possiamo mettere
quando ci pare a discutere tutte le implicazioni di ogni singola
affermazione, e ci capiamo al volo.

Dunque, dicevo, se si vuole fare della logica formale e usare le
"variabili", visto che le "variabili" non esistono nel "linguaggio naturale"
e sono degli strumenti formali che sono stati formalizzati in un certo modo
dalla matematica prima e dalla logica poi, atteniamoci a quel linguaggio
formale chiaro e intersoggettivo e non partiamo per la tangente.

Se poi vogliamo usare lo stesso le "variabili" in modo che non coincide con
la tradizione della "ragione analitica", allora si spieghi per benino in che
modo si vogliono usare, fornendo in modo chiaro e intersoggettivo tutti
i criteri e le prescrizioni per il loro uso.

Se invece questo approccio così formale e algoritmico fa orrore e si ritiene
che esso non possa parlare dell'Essere, allora si lascino perdere le
"variabili", i "quantificatori" e altre simili diavolerie, e si dica in modo
"naturale" (ma sempre chiaro e intersogettivo) quel che si vuole dire.

Ora, tu dici che "x che non è D, non è D". Per un "analitico", è come
dire che "qualcosa che è rosso, è rosso", ovvero che "qualcosa che non è
bianco, non è bianco". E che cos'è "qualcosa"? È qualcosa che c'è, cioè un
"ente". Dunque dire "qualche cosa che è bianco, è bianco" è come dire:
"se qualcosa è bianco, allora quel qualcosa è bianco", e questo è come dire
che "se qualcosa c'è ed è bianco, allora quel qualcosa che c'è è bianco",
e questa poi equivale ad "un ente che è bianco, è bianco".

Ecco, questo dice in modo "naturale" la "ragione analitica". O almeno così
mi sembra. Altrimenti, secondo te, cosa dice in modo "naturale" la "ragione
analitica", e qual è - sempre in modo "naturale" - la differenza con la
"ragione dialettica"?

No, perché altrimenti, se ci mettiamo a usare le "x" al di fuori del rigore
di un contesto formale, solo dopo avere sbirciato e orecchiato quel che
fanno gli scienziati, e poi cominciamo a scarabocchiare vandalicamente i
testi scientifici mettendo delle "x" a caso, dove ci sembra che possano
stare bene, e di lì procediamo in modo "creativo", allora possiamo
dimostrare tutto il contrario di tutto, come ad esempio che si possono
ammazzare i proletari in nome del Proletariato, o che il Duce ha sempre
ragione, o che è necessario sottomettersi alla Prussia, o che chi scrive
queste belle cose non sta facendo altro che dare voce alla Necessità dello
Spirito Assoluto e della Vera Ragione, e tutte le solite cose che sappiamo.

Perché se tu prendi un testo di matematica di mille pagine e in un punto
qualunqe metti un solo "-" al posto di un "+", sconvolgi tutto il testo e
fai sballare tutti i risultati. Figuriamoci cosa accade se cominci a mettere
a caso delle "x" :-)
--
Saluti.
D.
Marco V.
2009-01-02 23:21:13 UTC
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Post by Davide Pioggia
[...]
Ecco, questo dice in modo "naturale" la "ragione analitica". O almeno così
mi sembra. Altrimenti, secondo te, cosa dice in modo "naturale" la "ragione
analitica", e qual è - sempre in modo "naturale" - la differenza con la
"ragione dialettica"?
Come dicevo nella scia di Astolfo, il "soggetto" ed il "predicato" devono,
nella proposizione in questione, coincidere: "x che non è D, non è x". Ti
domandavo poi se tu sei d'accordo nel trascrivere questo enunciato aperto in
linguaggio naturale così: "una certa cosa che non è una certa altra cosa,
non è _quella_ certa cosa", oppure se questa trascrizione ti sembra una
violazione del significato logico-matematico della "x".

Un saluto,

Marco
L
2009-01-03 14:46:11 UTC
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Post by Marco V.
Come dicevo nella scia di Astolfo, il "soggetto" ed il "predicato" devono,
nella proposizione in questione, coincidere: "x che non è D, non è x". Ti
domandavo poi se tu sei d'accordo nel trascrivere questo enunciato aperto in
linguaggio naturale così: "una certa cosa che non è una certa altra cosa,
non è _quella_ certa cosa", oppure se questa trascrizione ti sembra una
violazione del significato logico-matematico della "x".
Un saluto,
Marco
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Sul significato "logico-matematico" della "x":

==============================================



Si può pensare il concetto di variabile come il concetto di "scatola".

Se una incognita è identificiata con l'immagine di "una scatola di
scarpe" e le scarpe sono in un certo negozio, allora, il contenuto di x
avrà un suo range che si sa quale è: tutte le scarpe di quel negozio, un
paio per volta.

x -però- nel momento che assume un valore -> non è più una incognita!

Quindi _cessa_ (con il dargli un singolo valore) un attributo che la
rende "incognita".

E' identificabile x a rappresentare una incognita finché

non è un ben preciso valore, ma può assumere più valori (in un range in
genere specificato).

Nel momento che x assume uno specifico valore -per esempio x=x(t0)=x0-
non si sta più comportando come incognita, ma come parametro (ad esempio
x0).

Ossia condiziona -chi dipende dal suo valore specifico, ad esempio in
y=[f(x)|x=x0]=f(x0) ad assumere dei valori dipendenti non da un range
(dentro cui spazia x), ma da un singolo valore (x=x0).

Salute e felicità,

L

P.S.

la formulazione:
"x che non è D, non è x"
io lo considero un assurdo.

Poiché ogni ente, qualunque detto ente sia, è sempre uguale a se stesso.

Quindi x è sempre x.

Come poi sia esplicitata la sua azione non muta la simbologia
tautologica che "x è x".

Viceversa dire che "A=A", non andrebbe confuso con "A è A".

Poiché la seconda A (in A è A) sta dicendo che solo Pierino è Pierino,
non che Pierino(t1)=Pierino(tx),
bensì che solo "Pierino (t1) = Pierino (t1)".

Ma poiché non si può ripetere la stessa misura su Pierino tornando nello
stesso passato (ma al più in un diverso passato in cui vi saremmo anche
noi che misuriamo, mentre prima non vi eravamo), allora, la ripetizione
esatta di una misura è impossibile e ..

... come diceva il prode Solania ..

i miei complimenti e formaggi per la sua intuizione ..

si avrà che Pierino (t1) = *circa* Pierino (tx), qualunque sia tx.

discendendone che il _"principio di identità non è mai -esattamente-
vero tra due enti distinti"_ (o in due istanti diversi per lo stesso
ente), ma solo vero tra un ente e se stesso, e solo *circa vero* in
tutti i casi di misura.
qf
2009-01-03 06:31:00 UTC
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"Davide Pioggia"
Marco V.
[...]
Ma che cosa è "x"? Nel lnguaggio della "ragione analitica" si dice che è
una "variabile".
Ora, spero bene che i mostri sacri della "ragione alternativa" non
si pieghino ad usare il linguaggio e gli schemini della logica formale. Nel
cosiddetto "linguaggio naturale" non esistono le "variabili", ma esistono i
pronomi indefiniti eccetera. Così "qualcuno" è come dire "un qualche uomo",
mentre "ognuno" è come dire "tutti gli uomini".
Come sarebbe a dire che nel linguaggio naturale non esistono le variabili? E
dove mai sarebbero andati i matematici a prendere quel concetto?
(Anche etimologicamente, 'variabile': Dal lat. tardo variabi°le(m), che è
dal class. varia¯re 'variare')
'Debito' e 'credito', per esempio, non sono forse delle variabili, che cioè
non precisano dei valori ma possono assumerne quanti se ne vogliono?

La matematica i concetti li prende tutti in prestito dal linguaggio
naturale, lisciandoli più o meno a proposito e formalizzandoli. Si tratta di
un normale processo di normalizzazione, che è nato, si può dire, con l'uomo,
perlomeno da quando si è riunito in società e ha cercato delle regole
comuni.

Questo per dire che esiste una logica prima di quella formale, che, per
definizione stessa, ne è solo una formalizzazione.
E si sa: la roba in formalina è roba morta.
Quindi a essere "alternativa" è quest'ultima, non la prima.
Con la prima non si fa, per esempio, dell'arte e neppure si inventa nulla
neanche nel mondo della scienza. Infatti, se non si è capito prima di
formali(ni)zzare, non si è capito e basta.

Saluti
qf
astolfo
2009-01-02 18:46:09 UTC
Permalink
Post by Marco V.
4. Abbiamo scritto: "x che non è D, non è x". D svolge qui, ovviamente, la
funzione di determinazione essenziale di x. Di qui è possibile tracciare la
differenza tra la "ragione dialettica" e la "ragione analitica" nel modo
seguente. La "ragione analitica" è quella "ragione" per la quale il
significato di "x che non è D, non è D" è interamente riducibile, in quanto
significato non contraddittorio, a "un ente che non è D, non è x".
Non ho capito se l'espressione "x che non è D, non è D" contiene
un errore di battitura: al posto della seconda D, non ci doveva essere
la x? Cioè: x che non è D, non è x?
O mi sbaglio?
--
questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
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Marco V.
2009-01-02 23:14:55 UTC
Permalink
Post by astolfo
Non ho capito se l'espressione "x che non è D, non è D" contiene
un errore di battitura: al posto della seconda D, non ci doveva essere
la x? Cioè: x che non è D, non è x?
O mi sbaglio?
Non ti sbagli: è palesemente un errore di battitura. La proposizione in
questione è "x che non è D, non è x". Dicevo appunto che la "ragione
dialettica" dà a questo enunciato un significato logico che la ragione
analitica, nel suo volersi attenere al pdnc, non può dare.
Questo lo faccio presente anche a Davide, al quale domando se è d'accordo
nel trascrivere tale enunciato aperto nel linguaggio naturale così: "una
certa cosa che non è una certa altra cosa, non è _quella_ certa cosa".

A presto,

Marco
Davide Pioggia
2009-01-03 02:47:29 UTC
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Post by Marco V.
4. Abbiamo scritto: "x che non è D, non è x". D svolge qui, ovviamente,
la funzione di determinazione essenziale di x. Di qui è possibile
tracciare la differenza tra la "ragione dialettica" e la "ragione
analitica" nel modo seguente. La "ragione analitica" è quella "ragione"
per la quale il significato di "x che non è D, non è [x]" è interamente
riducibile, in quanto significato non contraddittorio, a "un ente che non
è D, non è x". [...]
Ti domandavo poi se tu sei d'accordo nel trascrivere questo enunciato
aperto in linguaggio naturale così: "una certa cosa che non è una certa
altra cosa, non è _quella_ certa cosa", oppure se questa trascrizione ti
sembra una violazione del significato logico-matematico della "x".
Vediamo di mettere assieme questi due punti:

1) Tu dici che la "ragione analitica" è quella certa ragione per cui "x che
non è D, non è [x]" è «interamente riducibile» a "un ente che non è D,
non è x".

2) Poi proponi di leggere "x che non è D, non è x" così: "una certa cosa
che non è una certa altra cosa, non è _quella_ certa cosa".

Come ti dicevo nel mio precendente intervento, per me "un (qualche) uomo"
è un elemento della classe degli uomini, "un (qualche) animale" è un
elemento della classe degli animali (che contiene anche la classe degli
uomini), e così via. Se poi dico "una (qualche) cosa" sto parlando di un
elemento di quella particolare classe che contiene tutti gli oggetti di un
certo "universo". Tali oggetti costituiscono anche una "ontologia", nel
senso che sono tutti gli oggetti di cui si può dire che "sono". Dunque per
me dire "un (qualche) ente" è come dire "una (qualche) cosa".

Ebbene, se tu accetti questa equivalenza che ho appena posto, siccome tu
stesso hai proposto di leggere "x che non è D, non è x" come "una certa cosa
che non è una certa altra cosa, non è _quella_ certa cosa", allora mi basta
osservare che "un ente che non è D, non è x" è anch'esso equivalente a
"una certa cosa che non è una certa altra cosa, non è _quella_ certa cosa",
per cui l'unica equivalenza che può darsi è quella che tu attribuisci alla
"ragione analitica".

A questo punto io ho l'impressione che l'unico modo che tu hai per aprire
uno "spiraglio" è quello di smontare l'equivalenza fra "un (qualche) ente"
e "una (qualche) cosa".

O vedi qualche altro punto in cui si possa aprire uno "spiraglio"?
--
Saluti.
D.
Marco V.
2009-01-03 08:59:33 UTC
Permalink
[...] Ebbene, se tu accetti questa equivalenza che ho appena posto, siccome
tu
stesso hai proposto di leggere "x che non è D, non è x" come "una certa cosa
che non è una certa altra cosa, non è _quella_ certa cosa", allora mi basta
osservare che "un ente che non è D, non è x" è anch'esso equivalente a
"una certa cosa che non è una certa altra cosa, non è _quella_ certa cosa",
per cui l'unica equivalenza che può darsi è quella che tu attribuisci alla
"ragione analitica".
Nel tuo precedente post in questo thread hai scritto:
<<Così se vogliamo dire "un uomo" nominiamo una certa "x"
appartenente all'insieme U di tutti gli uomini[...]>>.

Ma allora "un ente che non è D, non è x" non è equivalente a "un ente che
non è D, non è un ente"? Dicevi correttamente che il "dominio" (cioè
l'insieme dei valori possibili) della variabile deve essere in qualche modo
specificato. Che cosa, allora, in "un ente che non è D, non è x", specifica
il valore della variabile in modo tale da produrre quella equivalenza?

Proviamo a riformalizzare il tutto così. Sia "x" una variabile che varia
nell'insieme di tutte le cose. Sia "a" un determinato valore di tale
variabile, e sia "D" un determinato valore assunto dalla variabile
predicativa che varia nell'insieme dei predicati. Ora, quel che dicevo può
essere formalizzato così: per la ragione analitica il significato logico di
"a che non è D, non è a" è interamente riducibile a "x che non è D, non è a"
(dove quest'ultimo enunciato aperto è equivalente a "un ente che non è D,
non è l'ente a").

Che ne dici? L'idea di fondo è sempre la stessa: la "ragione dialettica" è
il tentativo di dare una collocazione logica alla intenzione di riferirsi
positivamente all'ente a. Di tale intenzione, in "x che non è D, non è a"
non v'è traccia, visto che l'unico riferimento ad "a" è mediato dalla
negazione, cioè da quel "non è".

Un saluto,

Marco
Davide Pioggia
2009-01-03 13:58:31 UTC
Permalink
Che cosa, allora, in "un ente che non è D, non è x", specifica il valore
della variabile in modo tale da produrre quella equivalenza?
Facciamo così: prima cerchiamo di farlo per benino, alla maniera degli
"analitici".

Cominciamo da questa:

"x che non è D, non è x"

Ebbene, dal mio punto di vista in prima approssimazione può essere riscritta
così:

per ogni x in A, x <> D => x <> x

Infatti, che cosa stiamo cercando di "formalizzare"? Stiamo cercando di
formalizzare il concetto di "essenza" (ah, dimenticavo: già questo concetto
per un "analitico" è un po' "sospetto", e fra poco cercherò di mostrare
perché), per cui, ad esempio, potremmo essere convinti che un uomo, per
essere tale, deve essere animato, e che se non è animato allora non può
essere un uomo. Ecco, in tal caso, quando tu mi dici che "x che non è D, non
è x" stai cercando di formalizzare delle affermazioni come questa: "un uomo
che non sia animato, non è un uomo". Ma questa a sua volta può essere
formalizzata così:

U = insieme degli uomini;
per ogni x in U, x <> animato => x <> x

Perché poco fa dicevo che il concetto di "essenza" è un po' "sospetto"?
Lo dicevo perché tutte le volte che si cerca di formalizzarlo saltano fuori
delle espressioni come quella qui sopra, che da un punto di vista
"analitico" non è molto corretta. Infatti quando noi diciamo "un uomo è (o
non è) animato", quel "è" siamo tentati di renderlo con un "=", ma in realtà
questo non è del tutto corretto. Ad esempio se io dico che un certo numero x
non è 3, va bene scrivere x <> 3, ma se invece dico che un certo numero x
non è pari, non va bene scrivere che x <> P, perché P non è un elemento
dell'insieme in cui varia x, ma è un suo sottoinsieme, cioè - appunto - il
sottoinsieme dei numeri pari, e dunque dovrei piuttosto scrivere che x non è
in P, cioè not-(x in P).

Dunque volendo essere un poco più rigoroso (dal punto di vista formale)
dovrei riscrivere la cosa nel modo seguente:

U = insieme degli uomini
A = insieme degli enti animati
per ogni x in U, not-(x in A) => x <> x

Ora, dal momento che x <> x è sempre falsa allora basta passare al modus
tollens, cioè da questa:

per ogni x in U, not-(x in A) => x <> x

a questa:

per ogni x in U, not-(x <> x) => x in A

da cui, appunto:

per ogni x in U, .V. => x in A

e se una costante vera implica x in A non appena x sia in U, allora è sempre
vero che x è in A quando x è U, per cui resta:

U = insieme degli uomini
A = insieme degli enti animati
per ogni x in U, x in A

ovvero:

per ogni x (qualunque), x in U => x in A.

Che cosa abbiamo detto? Abbiamo detto che un uomo è un ente animato!
Solo che per uscire dal "buco" nel quale ci eravamo infilati abbiamo dovuto
sudare sette camicie e in tutto questo tempo abbiamo costantemente rischiato
di "smarrirci", tant'è che sui ognuno dei miei passaggi tu potresti
piantarmi non so quante grane, essendo quei passaggi portati avanti
al di fuori di un contesto di pieno rigore formale.

Anzi, a proposito di rigore formale, visto che ho deciso di non scrivere
"x <> animato" per rendere "un uomo non è animato", ora devo farmi coraggio
e rendermi conto che non va nemmeno bene scrivere "x <> x" per rendere "un
uomo non è un uomo". Infatti "un uomo" è un elemento dell'insieme degli
uomini, e io per rendere questa cosa ho usato una cosa del tutto estranea al
"linguaggio naturale", cioè ho usato una "variabile", e una "variabile" è
appunto qualcosa che "varia" nell'insieme degli uomini, non "un uomo"
generico. Dunque "x" non è "un uomo". Tempo fa per chiarire questa cosa
avevo detto che nel "linguaggio naturale" una "x" come questa non dovrebbe
avere alcuna *determinazione*. Dunque "x in U" non sarebbe "un uomo", ma
semmai semplicemente "uomo"[*]. Solo così si possono poi "quantificare le
variabili", ottenendo ad esempio "qualche uomo", o "ogni uomo", o -
appunto - "un uomo", oppure "quell'uomo" ("esiste unico..."). Dunque quando
diciamo che un uomo non è un uomo, anche se può proprio sembrare che questa
vada formalizzata con "x <> x", in realtà dovremmo scrivere che x non
appartiene all'insieme degli uomini, così come - per formalizzare "x non è
un numero pari", diciamo che x non appartiene all'insieme dei numeri pari.
Ecco dunque dove siamo arrivati:

U = insieme degli uomini
A = insieme degli enti animati
per ogni x in U, not-(x in A) => not-(x in U)

Non è ancora il massimo della vita, ma per lo meno abbiamo eliminato
le assurdità più vistose.

A questo punto, però, posso osservare che anche in questo caso si ottiene
lo stesso "risultato" di prima. Infatti se x è in U, allora x in U - sotto
quella ipotesi - è sempre vera, per cui not-(x in U) è sempre falsa,
e dunque - passando al modus tollens - ricaviamo di nuovo che:

U = insieme degli uomini
A = insieme degli enti animati
per ogni x in U, x in A

Ora, tutto questo discorsone che ho fatto fino a qui potrebbe sollevare
decine e decine di obiezioni da parte tua. Ad esempio abbiamo evocato una
sorta di "classe degli enti" (che altrove ho chiamato "ontologia"), la quale
dovrebbe essere una classe che contiene tutte le altre. Su questa, però,
come sai, ci sarebbe da discutere non poco, a meno che non si introducano
delle opportune restrizioni (tant'è che quando avrei avuto bisogno di
nominarla in modo esplicito ho ripiegato su un "x qualunque"). Sì, certo, ci
sarebbe da discutere, e infatti - come ho già detto - ci vogliono centinaia
di pagine fitte fitte di logica formale. Tuttavia, anche con tutte queste
approssimazioni, ho dovuto faticare non poco per uscire dal "buco" nel quale
ci aveva cacciati il "linguaggio naturale", e se poi tu usi il linguaggio
formalizzato in modo approssimativo, a metà strada fra la "naturalità" e il
"rigore formale", accogliendo delle suggestioni che ti sembrano facilmente
formalizzabili (come quella "x <> x" che sembra rendere "un uomo non è
uomo", e invece non va bene), allora non stai facendo qualcosa per uscire
dal buco, ma stai scavando un buco ancora più profondo.

Sennò facciamo come quel bagnino romagnolo che era alle prese con un turista
tedesco. Il bagnino, cercando di venire incontro al tedesco, si sforzava di
parlare la lingua dell'interlocutore, ma ne veniva fuori un miscuglio
inconmprensibile di lingue teuto-romanze. Sicché ad un certo punto il poverò
tedesco disse: «Preco, parlare zua lingua, io capire meglio». Ecco, anche io
ti dico che se dobbiamo cercare di formalizzare la faccenda della "essenza"
usando i "simboletti" non secondo le prescrizioni formali rigorose, ma
facendoci suggestionare da delle associazioni che ci vengono più o meno
"spontanee", allora è molto meglio attenerci al caro vecchio "linguaggio
naturale" ed evitare come la peste qualunque "diavoleria moderna",
che non può che condurre alla dannazione :-)

Quando dicevo che io vorrei vedere un bell'esempio nel quale "fa qualche
differenza" applicare la "ragione analitica" e la "ragione dialettica", non
stavo chiedendo dei "simboletti". Stavo chiedendo un bell'esempio concreto,
e qualcuno che mi dicesse: ecco, qui un "analitico", a partire da queste
premesse specifiche, arriverebbe a questa conclusione; invece un
"dialettico", a partire dalle stesse premesse, arriva a quest'altra
conclusione. Poi, una volta trovato almeno un esempio concreto, vedremo
se e come passare alla formalizzazione delle due procedure e delle relative
differenze. Quando un matematico comincia a parlare della "x", ha già
incontrato l'"1", il "2", il "3" eccetera, e sta cercando di formalizzare in
modo più o meno astratto quell'"eccetera" e altri "eccetera". Ma per dire
"eccetera" qualche numero concreto bisogna averlo incontrato. Così se
uno mi facesse vedere un paio di *casi concreti* nei quali l'"apprroccio
dialettico fa la differenza", e mi dicesse "eccetera" (come a dire che in
casi "analoghi" si hanno delle "differenze analoghe") poi con calma potremmo
cercare di formalizzare quell'"eccetera". Ma prima ci vuole un bel caso
concreto, sennò il pericolo di partire per la tangente è enorme. Neanche
Russell avrebbe potuto procedere in modo rigoroso nel tentativo di fondare
l'aritmetica se da piccolo non avesse imparato a contare sulle dita.

=========

[*] Questo significa che quando scrivo, ad esempio, "non-(x in A)" non sto
dicendo "un/quel uomo non è animato", ma sto dicendo "uomo non è animato".
E questa non è nemmeno una frase grammaticale, per cui quando cominciamo
ad usare le variabili ed esse non sono (ancora) quantificate stiamo
costruendo delle espressioni che dal punto di vista formale sono "ben
formate" ma che dal punto "naturale" non sono nemmeno grammaticali, ed è per
questo che il linguaggio formale che impiega le variabili non è "naturale":
in esso c'è una fase di pura manipolazione formale dei simboli nella quale a
certe "formule non formate" non sappiamo attribuire alcun "significato",
mentre nel "linguaggio naturale" non capita mai che la "forma" venga
separata dal "significato". Volendo dire questa cosa in modo diverso,
potremmo osservare che nel "linguaggio naturale" compaiono solo delle
"variabili quantificate".
--
Saluti.
D.
Marco V.
2009-01-04 09:11:17 UTC
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Post by Davide Pioggia
[...]
U = insieme degli uomini
A = insieme degli enti animati
per ogni x in U, x in A
Va bene. Io avevo scritto "x che non è D, non è a", che - assumendo la
notazione in base alla quale se x è in A, allora x è [un] a - è
sostanzialmente equivalente alla tua scrittura formale (ovviamente
intendendo "A" come l'insieme degli uomini, e fatte salve le tue
considerazioni sulla differenza tra essere dell'identità ed essere
predicativo), visto che "essere in A" è equivalente ad essere uno degli a.
Certo, potresti farmi notare che nella mia scrittura manca il quantificatore
universale (sì che la mia, a differenza della tua, è una formula aperta
etc.), ma questi sarebbero dei dettagli.

Ma a parte tutto questo. La mia idea di fondo era che la "ragione
dialettica" intende esprimere la non riducibilità di "una Ferrari senza un
motore Ferrari non è una Ferrari" a "qualcosa che non ha un motore Ferrari
non è una Ferrari". Determinavo, poi, il fondamento di questa irriducibilità
così: nella prima proposizione è contenuto un riferimento positivo alla
Ferrari, il quale manca nella secondo, dove il termine "Ferrari" è preceduto
da una negazione (quella negazione che nega che tale termine possa inerire a
qualcosa che non ha un motore Ferrari). Che cosa ne dici circa questa mia
idea di fondo? Trovi che sia anche solo un tentativo abbozzato per delineare
la differenza tra le due "ragioni"? Oppure credi che si tratti di una
bufala?

Un saluto,

Marco
Davide Pioggia
2009-01-04 13:15:32 UTC
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Post by Marco V.
Ma a parte tutto questo. La mia idea di fondo era che la "ragione
dialettica" intende esprimere la non riducibilità di "una Ferrari senza un
motore Ferrari non è una Ferrari" a "qualcosa che non ha un motore Ferrari
non è una Ferrari".
Oh, così mi va molto meglio. Scusa, so di esserti sembrato troppo pignolo,
ma se vedo una "formuletta" nella quale a me sembra essere presente, se non
proprio una imprecisione, quanto meno uno "spiraglio", non me la sento di
imbarcarmi in una avventura usando quella formuletta, perché poi in
qualunque momento potrebbe "saltare il tappo".

Ora tu dici che per la "ragione dialettica" l'affermazione «una Ferrari
senza un motore Ferrari non è una Ferrari» non è riconducibile a «qualcosa
che non ha un motore Ferrari non è una Ferrari», mentre invece lo sarebbe
secondo la "ragione analitica".

Ebbene, tu ricorderai certamente che quando Russell e gli altri si trovarono
alle prese con una consolidata tradizione metafisica, dovettero penare non
poco per estirpare una serie di "assurdità". Ad esempio se qualcuno cercava
di dire che «i cerchi quadrati non esistono» subito saltava fuori il
metafisico di turno, a fargli osservare che aveva pur nominato i "cerchi
quadrati", e quella cosa che aveva nominato doveva pur essere "qualcosa",
no? Dunque in un certo qual modo dovevano esistere anche i "cerchi
quadrati". E chi non diceva così diceva qualcos'altro di simile.

Ecco, uno dei primi lavori che dovette fare la filosofia analitica fu
proprio cercare di dare una ripulita a certi modi di esprimersi, e - come
m'insegni - lo stesso Russell lavorò molto a queste cose. Nel nostro caso,
se tu hai intenzione di dire che «una Ferrari senza un motore Ferrari non è
una Ferrari» vuol dire che da qualche altra parte hai definito "Ferrari" una
automobile che ha un motore Ferrari, per cui nominare una "Ferrari senza un
motore Ferrari" non è il massimo della vita, in quanto stai dicendo qualcosa
di simile a "cerchio quadrato". Certo, è vero che anche i filosofi
"analitici", quando sono a casa in famiglia, si permettono di dire delle
cose come quelle, perché tanto si può "fare a capirsi". Ma se invece si
ritrovano ad essere in presenza di un filosofo "continentale" allora, per
non sapere né leggere né scrivere, evitano accuratamente delle espressioni
sulle quali si possa avventare il "continentale" tirando fuori di tutto dal
suo cappello.

In questo caso un "analitico" non direbbe dunque che «una Ferrari senza un
motore Ferrari non è una Ferrari», ma quando si trovasse a voler esprimere
quel concetto preferirebbe "riscrivere" quella cosa dicendo che «non esiste
qualcosa che è una (automobile) Ferrari e che non ha un motore Ferrari».

Ora tu potresti essere tentato di dire che io ho appena fatto quel che
dicevi tu, ovvero ho sostituito «una Ferrari senza un motore Ferrari non è
una Ferrari» con «non esiste qualcosa che è una (automobile) Ferrari e che
non ha un motore Ferrari». Sì, è vero, ho sostituito la prima con la
seconda, ma non perché cosideri la prima "riducibile" alla seconda, e dunque
logicamente equivalente ad essa. Io ho detto invece che la prima non mi sta
bene, che contiene delle ambiguità che non si lasciano formalizzare nel modo
in cui mi piace formalizzare per sentirmi "coperto alle spalle", e che
pertanto quando mi imbatto in qualcosa di simile alla prima espressione per
eliminare quelle ambiguità preferisco riformularla in modo diverso.

Per tornare all'esempio di prima, immagina che uno studente di un filosofo
"analitico" gli chieda come farmalizzare una affermazione come questa:
«il cerchio quadrato non esiste». In quel caso il filosofo analitico non
cercherebbe di formalizzare direttamente quella espressione, né cercherebbe
di ricavare da essa una affermazione logicamente equivalente. Piuttosto
potrebbe fare al suo studente un discorso di questo genere:

«Guarda, fin che siamo fra di noi, possiamo anche usare delle espressioni
come quella, poiché siamo concordi nell'evitare di sfruttarne le ambiguità
per partire per la tangente. Ma supponi di imbatterti in un orco, o un
troll, o un ideologo di corte, o in qualcuno che ha da proclamare un certo
Fine della Storia (che, guarda caso, è proprio quello che piace a lui), o
altra gente così. Ecco, in quel caso faresti male a dire che "il cerchio
quadrato non esiste", perché quello - che fino ad allora se ne sarebbe
rimasto in agguato ad aspettare che si aprisse un qualche spiraglio -
salterebbe su a "dimostrarti" qualunque cosa gli fosse dettata dalle sue
voglie più viscerali. E allora, siccome noi veniamo da un cultura puritana,
evitiamo di dire delle frasi come quelle in presenza di qualcuno che sia
dominato dalle sue voglie più viscerali, proprio per chiudere quegli
spiragli logici in cui chiunque si potrebbe infilare per "dimostrare" ad
arbitrio qualunque cosa».

Come vedi siamo ben lontani dall'affermare che la prima frase sia
equivalente alla seconda. Anzi, noi - pur capendo il significato della prima
secondo il cosiddetto senso comune - ne vediamo anche dei preoccupanti
"spiragli", per cui facciamo il possibile per riformulare la frase in modo
tale che quel significato sia preservato, e al contempo siano chiusi quegli
"spiragli" (che poi non ci riesce mai del tutto, perché chi è interamente
dominato dalle sue voglie più viscerali - il sangue, le frattaglie,
eccetera - ha una energia vitale illimitata e instancabile, sicché è sempre
lì in agguato a studiare qualcosa per infilarsi di traverso e partire per la
tangente).

Che cosa farebbe, allora, un filosofo "continentale" che fosse presente
a quella lezione? Per costui sarebbe importante che restasse sul tavolo
la frase proposta dallo studente, cioè «il cerchio quadrato non esiste».
Infatti per il filosofo continentale l'importante è che il mondo sia
popolato da "mostri", e non importa quali essi siano. Vanno bene anche
i cerchi quadrati, o i cavalli alati, o qualunque altra cosa del genere.
Più roba si nomina, più roba c'è, più ci si diverte. Come quello là che
all'ingresso del circo gridava: «Venghino signori venghino, più gente entra
più animali si vedono!». Dunque, benché al filosofo continentale non importi
più di tanto della geometria (tant'è che non perderebbe nemmeno un secondo
a riflettere sulla definizione di "cerchio" eccetera), tuttavia non appena
sente dire "cerchio quadrato" la sua attenzione si risveglia, e se il
"cerchio" e il "quadrato", presi singolarmente, non destavano in lui alcun
interesse, ora sente nominare questa chimera, il "cerchio quadrato", e
rendendosi conto che si tratta di un "mostro" (perché il filosofo
continentale non è mica stupido, eh!) quella improvvisamente gli sembra la
specie animale più meritevole di tutela e di tenerezza, molto più del panda
o di altre specie animali in grave pericolo di estinzione. Dunque per
proteggere quella povera cretura dalla estinzione il nostro filosofo
continentale, dopo aver sentito il discorsetto del suo collega analitico,
potrebbe fare questo bel discorsetto:

«Ecco, signori, qui voi potete vedere chiaramente la differenza fra la
cosiddetta "ragione analitica" (che poi, mi sia concesso di dirlo en
passant, più che una vera e propria ragione è un esercizio dell'intelletto),
fra la cosiddetta "ragione analitica" - dicevo - e quella che impropriamente
potremmo chiamare la "ragione dialettica" (impropriamente perché la si
dovrebbe piuttosto chiamare ragione tout court). Infatti per la ragione
analitica l'affermazione "il cerchio quadrato non esiste" è equivalente a
"non esiste qualcosa che sia un cerchio e sia anche quadrato", ed essendo
equivalente ad essa è anche riducibile ad essa. Invece per la filosofia
continentale questa equivalenza non sussiste, e quella riduzione è troppo
grezza, troppo riduttiva. Ricorda ciò che facevano secoli fa quei medici
"scientifici" che per cercare di catturare lo spirito vitale sezionavano il
corpo degli animali (o magari persino quello degli esseri umani, ché i
riduzionisti hanno questa tendenza ad immolare l'uomo al loro "spirito
scientifico"). Ecco, per la filosofia analitica sussiste questa equivalenza,
invece per la filosofia dialettica l'affermazione "il cerchio quadrato non
esiste" non è banalmente equivalente (e dunque riducibile) alla seconda.
Vedete? Nella seconda è sparito il "cerchio quadrato"; non c'è più:
disintegrato. Ma come potete disintegrare così, solo perché vi fa comodo,
un tenero animaletto come il "cerchio quadrato"? Non vedete come vi guarda?
Con quei suoi teneri occhioni:
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tanto desideroso di affetto e di protezione. E voi che fate?
Lo disintegrate. Non c'è in voi alcuna *intenzione* di permettere a quel
povero animaletto di esistere (o, come dicono i filosofi, di "porre
quell'ente"), e questa intenzione che in voi manca è esattamente la
differenza che c'è fra chi fa la prima affermazione e chi fa la seconda.
Vedete bene, allora, che nella *intenzione* c'è una bella differenza fra la
prima e la seconda affermazione, ed essendoci una bella differenza è troppo
riduttivo ridurre la prima alla seconda. Non fatelo. Non solo è
razionalmente scorretto (secondo la ragione vera, quella che vede al di là
di ciò che può vedere il semplice esercizio dell'intelletto, ed è per questo
che dico sempre che la scienza non pensa), non solo - dicevo - è
razionalmente scorretto, ma è anche una cosa odiosa e disumana.»

Fine del discorso :-)

Sì, certo, le "intenzioni" sono certamente diverse. Ma questo fatto è ben
chiaro al filosofo analitico, e se costui ha consigliato al suo studente di
sostituire la prima affermazione (che comunque non si lascia formalizzare in
modo rigoroso, a meno che i filosofi continentali non ci vogliano far vedere
come si fa), ecco, se gli ha dato quel consiglio è proprio perché egli è ben
consapevole del fatto che circolano anche ben altre "intenzioni", e proprio
per evitare che chiunque abbia certe intenzioni possa fare il suo comodo
il professore analitico ha consigliato al suo studente non di ridurre (per
equivalenza) la prima affermazione alla seconda, ma di *evitare* la prima,
sostituendola con la seconda. Tanto quel che voleva dire lo studente è già
espresso nella seconda, e quel "qualcosa in più" che c'era nella prima non
era - si spera - nelle intenzioni dello studente. E se invece era nelle
intenzioni dello studente allora costui vada pure alle lezioni del filosofo
continentale :-)
--
Saluti.
D.
Marco V.
2009-01-06 14:22:22 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Non c'è in voi alcuna *intenzione* di permettere a quel
povero animaletto di esistere (o, come dicono i filosofi, di "porre
quell'ente"), e questa intenzione che in voi manca è esattamente la
differenza che c'è fra chi fa la prima affermazione e chi fa la seconda.
Vedete bene, allora, che nella *intenzione* c'è una bella differenza fra la
prima e la seconda affermazione, ed essendoci una bella differenza è troppo
riduttivo ridurre la prima alla seconda.
Diciamolo meglio. Manca, nella "ragione analitica", l'intenzione di dare una
collocazione logica positiva all'intenzione di "porre x":-).
Tu parli di mondi popolati da orchi etc., i quali sarebbero l'ambizione
ontologica del filosofo continentale; la "ragione dialettica", perciò,
sarebbe la difesa della possibilità ontologica di tali entità. Citi poi
Russell e la sua teoria delle descrizioni definite, ripresa poi da Quine in
quel suo celebre saggio etc. Ora, proprio Quine dice - alludendo alla
semplificazione ontologica implicata dalla sostituzione delle descrizioni
definite ai nomi - che la sua, da ultimo, non è che una passione per i
<<paesaggi deserti>>. Non esiste cioè una *dimostrazione razionale* - e
questo lo sai benissimo - che il significato logico di "a senza essere D non
è a" sia identico a "qualcosa che non è D, non è a".
Ovviamente se io ti concedessi che - stante questa indimostrabilità - la
filosofia analitica è la passione per i <<paesaggi deserti>> e la filosofia
continentale è la passione per entità quali orchi etc., ti starei concedendo
troppo:-). Però continuo a rilevare che nella riformulazione analitica manca
un riferimento *positivo* ad "a". Questo mi fa venire in mente un bel cumulo
di pagine di Hegel, e mette in moto la mia ragione (ehm:-)), perché in tutto
questo vedo una chiara allusione al rapporto tra il piano dei contenuti ed
il piano riflessivo.
In fondo si tratta delle solite critiche (prendine solo una, classica: la
"dimenticanza del soggetto" da cui sarebbe affetto il sistema di pensiero
della scienza) che una certa tradizione di pensiero ha mosso al pensiero
scientifico. Tuttavia, tramite la faccenda di a che senza essere D non è a,
queste critiche possono essere esposte nel loro fondamento razionale,
proprio come piace a voi analitici. Senza per questo darvi ragione:-).

Un saluto,

Marco
Davide Pioggia
2009-01-06 17:00:21 UTC
Permalink
Ora, proprio Quine dice - alludendo alla semplificazione ontologica
implicata dalla sostituzione delle descrizioni definite ai nomi - che la
sua, da ultimo, non è che una passione per i «paesaggi deserti».
Certo. E anche io, nel mio piccolo, ho sempre ammesso che alla fine, stringi
stringi, il pensiero scientifico è un prodotto del puritanesimo (che a sua
volta è una "perversione" come tutte le altre). Non c'è alcuna ragione
necessaria per la quale si debba vivere in dei "paesaggi deserti". Ci sono
solo alcuni che hanno una grande passione per i paesaggi deserti e altri
che hanno una grande passione per i paesaggi popolati da orchi eccetera,
dopodiché i primi giocano le loro carte affinché il mondo sia più simile
a come essi lo desiderano, e i secondi fanno la stessa cosa.

Infatti quando il professore analitico consigliava al suo studente di
evitare la prima formulazione ripiegando sulla seconda, non stava né dicendo
che la prima è esattamente equivalente alla seconda, né che sia necessario
evitare la prima e adottare esclusivamente la seconda. No, egli stava
consigliando allo studente di evitare la prima perché in essa sono presenti
degli "spiragli" che potrebbero consentire a qualche "malintenzionato" :-)
di infilarcisi per popolare il mondo di mostri.

Certo, qui potrei provare a rendere il tutto "oggettivo" facendo osservare
che fino ad oggi nessuno è riuscito a formalizzare in modo rigoroso la
prima, mentre per la seconda disponiamo di un apparato formale formidabile.
Tuttavia qualcuno potrebbe poi piantare delle grane su cosa significhi
"formalizzare in modo rigoroso", al che bisognerebbe tirare fuori il
concetto di algoritmo eccetera. E anche quando fossimo capaci di definire
in modo chiaro una differenza poi resterebbe comunque il fatto che non
ce l'ha ordinato il Dottore di formalizzare in modo rigoroso/algoritmico il
linguaggio, sicché non ci sarebbe alcuna necessità assoluta di respingere
ciò che non è formalizzabile a accettare solo ciò che lo è. Anche qui, alla
fine, ci ritroveremmo ad ammettere che ci sono alcuni che hanno una passione
sfrenata per ciò che si lascia formalizzare e detestano tutto ciò che non è
formalizzabile, mentre altri hanno delle passioni del tutto incompatibili
con queste.

Ognuno ha le sue passioni, e di conseguenza ognuno trova desiderabile vivere
in un mondo fatto (o descritto, o intepretato) in un certo modo, piuttosto
che in un altro.

Detto questo, vorrei richiamare la tua attenzione sul fatto che Quine, che è
un campione del pensiero "analitico", non ha alcuna esitazione a riconoscere
e ad ammettere questa cosa. E anche io, non mio piccolissimo, te l'ho
ripetuta fino alla nausea. Dunque questi analitici, che a prima vista
sembrano totalmente dediti a delle cose "fredde e disumane" come i linguaggi
formali, poi ammettono tranquillamente che alla base delle loro scelte ci
sono delle passioni, le proprie passioni. Invece gli altri, quelli che
sarebbero i campioni di un mondo più "umano" raramente (anzi, mi viene
da dire mai) ti dicono che i mostri di cui essi amano popolare il mondo sono
frutto delle loro passioni e dei loro desideri. No, costoro fanno le sparate
più arbitrarie che si siano mai sentite (tant'è che ognuno di loro spara le
sue, spesso incompatibili con quelle degli altri) e subito dopo aggiungono
che è così e che non può essere diversamente, non perché lo dicono loro,
ma perché per bocca loro parla la Necessità, o la Storia, o lo Spirito
Assoluto, o la Verità, e via cantando. Dopodiché coloro che non si adeguano
al loro discorso sono necessariamente nell'"errore", perché vogliono che sia
ciò che non può essere, oppure vogliono il nulla, oppure non capiscono
il senso di ciò che dicono di volere.

Ecco, c'è questo bel "paradosso" che ti ho illustrato qui sopra. Esito però
a nominare il "paradosso", perché tu potresti approfittarne per dirmi che si
tratta di una situazione "dialettica", mentre io - al solito - non ci vedo
alcuna "sintesi dialettica", ma ci vedo semplicemente una caterva di balle,
raccontate agli altri e a sé stessi.

Ma c'è dell'altro.

Tu infatti potresti dirmi che come io ho la passione per i paesaggi deserti
tu sei liberissimo di avere una passione per i paesaggi popolati e,
coerentemente con questa tua passione, sei liberissimo di metterti al lavoro
per cercare di capire come questi paesaggi potrebbero essere popolati.
E siccome vuoi essere libero di popolare i paesaggi come cazzo ti pare,
allora non ti sta bene chiudere quello "spiraglio" che il filosofo
"analitico" evita come la peste, dedicando molto tempo ad insegnare
ai suoi allievi come si fa a chiudere tutti gli spiragli come quello.
Dunque, siccome non c'è la Necessità di chiuderli, se uno li vuol tenere
aperti sarà pur libero di fare come cazzo gli pare, no? Sì, certo, è
liberissimo, e io stesso consigliavo lo studente che avesse di certe
voglie di andare a lezione dal filosofo "continentale".

Dunque va bene, ci sono 'sti filosofi continentali che nei loro templi
tengono aperti tutti gli "spiragli" che gli va di tenere aperti. Cazzi loro.
Veniamo però a Marco che, come tutti, ha le sue belle passioni e non
gli va che altri gli costuiscano tutto attorno un mondo nel quale quelle
passioni non possano essere soddisfatte. Dunque il nostro amico Marco,
essendo convinto di provare una notevole avversione per quei paesaggi
deserti (dove purtroppo gli ospedali diventano spesso dei luoghi nei quali
le persone anziché ricevere conforto ricevono delle condanne a morte -
e anche questo però non è mai stato negato, per lo meno da me), essendo
convinto di questo - dicevo - comincia a frequentare qualcuno che invece
gli spiragli li tiene aperti perché li vuole tenere aperti, e così facendo
anche Marco si trova ad avere una sua comunità di riferimento (che può
andare dalla semplice compagnia ad una vera e propria "cordata") con la
quale cerca di stabilire un dialogo, perché l'uomo - come aveva capito
persino la Sagoma - è un animale sociale.

Ecco, il nostro amico Marco cerca dunque di stabilire un dialogo con gli
appassionati degli spiragli, però la cosa non gli va tanto bene, perché nove
volte su dieci (o forse anche novantanove su cento) sente dei discorsi che
non solo gli fanno cadere le palle per terra, ma che lo urtano pure un po',
perché gli appaiono come una caterva di fallacie e di trucchi per rigirare
le parole in modo del tutto arbitrario e secondo i propri comodi, stuprando
continuamente la ragione per asservirla a quei comodi. E qui salta fuori un
bel problema, infatti benché Marco - per ragioni contingenti - sia cresciuto
in mezzo ad una cultura che gode nell'ammassare ammassi barocchi di
frattaglie, tuttavia proviene anch'esso da una cultura puritana, sicché
proprio non ce la fa a passare sopra come un carro armato a quella
cosa che la cultura puritana percepisce come "onestà intellettuale".
Persino Hegel - che pure fece tutto il possibile per salvare la dignità
di ogni pensiero tradizionale - provava un profonda avversione per
l'ipocrisia di una certa "superstizione" che sappiamo.

Dunque io non sono qui a dire che è Necessario chiudere certi "spiragli".
No, io mi limito a presentare una esortazione, o - se vogliamo -
un messaggio nella bottaglia. Un messaggio nel quale è scritto:
«Torna a casa, Lassie!» :-)
Ovviamente se io ti concedessi che - stante questa indimostrabilità -
la filosofia analitica è la passione per i «paesaggi deserti» e la
filosofia continentale è la passione per entità quali orchi etc., ti
starei concedendo troppo:-).
Eh, no, figuriamoci. Si sa che la filosofia "continentale" è invece
la passione per la Necessita Assoluta, mica cazzi :-)
Però continuo a rilevare che nella riformulazione analitica manca un
riferimento *positivo* ad "a".
Non è vero che manca un riferimento positivo all'intenzione di "porre
certe x". Quando dico che le stronzate sono stronzate e basta sto facendo
un riferimento positivo (nel senso che lo pongo) a certe... intenzioni :-)
--
Saluti.
D.
qf
2009-01-06 10:59:45 UTC
Permalink
"Marco V."
Post by qf
"Davide Pioggia"
[...]
La mia idea di fondo era che la "ragione
dialettica" intende esprimere la non riducibilità di "una Ferrari senza un
motore Ferrari non è una Ferrari" a "qualcosa che non ha un motore Ferrari
non è una Ferrari".
Lasciando stare la vostra amabile disputa su due "ragioni" che senza l'unica
ragione esistente non si potrebbero neppure lontanamente definire, mi
permetto di mettere sotto il torchio quelle due proposizioni che, con tutto
il rispetto, mi sembrano entrambe decisamente insensate:

1. "una Ferrari senza un motore Ferrari non è una Ferrari"

Evidentemente insensata, dal momento che il soggetto è una Ferrari, e non un
sarchiapone. Allora: come fa una Ferrari dichiarata come tale a non avere un
motore Ferrari (e quindi a non essere una Ferrari)?
Credo sia inutile aggiungere altro. E' puro non-enso di qualità epimenidea.

2. "qualcosa che non ha un motore Ferrari non è una Ferrari".

Evidentemente insensata, perché anche qualunque cosa che abbia un motore
Ferrari (un trattore o un pulitore di fogne per esempio) può non essere
affatto una Ferrari. Anch'io posso avere un motore Ferrari in cantina e non
sono una Ferrari. E qual era la marca che montava motori Ferrari? Sauber? E
le Sauber erano forse Ferrari?

Perciò non è questione di "riducibilità", ma di insensatezza di entrambe le
proposizioni.
Se la disputa è sul livello di insensatezza delle due proposizioni, allora è
una gran bella gara :-)

Ripeto ciò che avevo già detto: quando si dice 'Ferrari' si sta scrivendo
una specifica tecnica che contiene un numero preciso di elementi che
qualificano inequivocabilmente e proprio formalmente una Ferrari. Su tale
base si compra e si paga una Ferrari. Su quelle due proposizioni, invece,
non si farebbe decisamente niente (e avrebbe ragione A.C. a lamentarsi di
certe... frivolezze logiche).

Saluti
qf
Marco V.
2009-01-06 13:31:22 UTC
Permalink
Lasciando stare la vostra amabile disputa su due "ragioni" >che senza
l'unica ragione esistente non si potrebbero neppure lontanamente definire,
Questo è ovvio. "la ragione è la ragione":-). Questa unità della ragione
come ragione attuale, non estingue però il problema della determinazione
della struttura della ragione.
1. "una Ferrari senza un motore Ferrari non è una Ferrari"
Evidentemente insensata, dal momento che il soggetto è una Ferrari, e non
un sarchiapone. Allora: come fa una Ferrari dichiarata come tale a non
avere un motore Ferrari (e quindi a non essere una Ferrari)?
Credo sia inutile aggiungere altro. E' puro non-enso di qualità epimenidea.
Eh, ma il punto sta proprio in quella dichiarazione, e questo rende le cose
un pochino più complicate. Infatti dalla proposizione è formalmente assente
la dichiarazione della Ferrari *come tale*: lì c'è scritto solo "una
Ferrari", che svolge la funzione di soggetto logico. Per reperire la
dichiarazione della Ferrari *come tale* dobbiamo porci sul livello
riflessivo, e per dire che così facendo non staremmo evadendo dal contenuto
della proposizione dovremmo dire che i contenuti coglibili al livello
riflessivo appartengono al contenuto pensato nella proposizione. (un po'
come quando diciamo che affermando "la mela è rossa" si sta anche affermando
"è vero che la mela è rossa" etc.).
Ecco perché facevo riferimento alla "intenzione di porre x". Vedi il punto
5. del mio primo post in questo thread. La "contraddizione dialettica", che
la "ragione analitica" non è in grado (e non vuole esserlo) di configurare,
è la contraddizione tra l'intenzione di porre x senza una certa proprietà D
e ciò che resta effettivamente posto. Anche qui permane un riferimento
*positivo* ad x, proprio perché x appartiene al contenuto della intenzione.
Invece - ed è questo che sto cercando "disperatamente":-) di mostrare -
nella "riduzione logica" effettuata dalla "ragione analitica" tramite l'uso
del quantificatore "qualcosa", è sparito ogni riferimento positivo ad x.
(ovviamente sto usando 'x' fatti salvi tutti i rilievi mossi da Davide e da
me pienamente accolti).
2. "qualcosa che non ha un motore Ferrari non è una Ferrari".
Evidentemente insensata, perché anche qualunque cosa che abbia un motore
Ferrari (un trattore o un pulitore di fogne per esempio) può non essere
affatto una Ferrari. Anch'io posso avere un motore Ferrari in cantina e
non sono una Ferrari. E qual era la marca che montava motori Ferrari?
Sauber? E le Sauber erano forse Ferrari?
In generale - come ti ho detto spesso - trovo eccessivamente disinvolto
l'uso che fai dell'aggettivo "insensato". Entrando poi nel merito: "qualcosa
che non è D non è un a" vuole appunto esprimere il fatto che l'essere D è
una condizione necessaria per l'essere un a. Che qualcosa possa essere un D
senza essere un a - che cioè quella condizione non sia sufficiente - è qui
irrilevante.
Ripeto ciò che avevo già detto: quando si dice 'Ferrari' si sta scrivendo
una specifica tecnica che contiene un numero preciso di elementi che
qualificano inequivocabilmente e proprio formalmente una Ferrari. Su tale
base si compra e si paga una Ferrari.
Vogliamo provare ad immaginare un contesto in cui sussistano ragioni per
applicare il termine "Ferrari" anche ad un qualcosa che non soddisfa le
specifiche tecniche di cui parli? Se un simile contesto è immaginabile,
allora la base sulla quale si compra e si paga una Ferrari (posto che tale
base si quella determinata dalle specifiche tecniche etc.), non è sic et
simpliciter la base definitoria dell'essere-una-Ferrari. Né gli ingegneri né
i direttori commerciali sono i titolari della definizione. Diamo agli
ingegneri e ai direttori commerciali quel che è degli ingegneri e dei
direttori commerciali, e ai filosofi quel che è dei filosofi:-).

Un saluto ed auguri,

Marco
qf
2009-01-07 19:16:24 UTC
Permalink
"Marco V."
Post by Marco V.
"qf"
Lasciando stare la vostra amabile disputa su due "ragioni" >che senza
l'unica ragione esistente non si potrebbero neppure lontanamente definire,
Questo è ovvio. "la ragione è la ragione":-). Questa unità della ragione
come ragione attuale, non estingue però il problema della determinazione
della struttura della ragione.
1. "una Ferrari senza un motore Ferrari non è una Ferrari"
Evidentemente insensata, dal momento che il soggetto è una Ferrari, e non
un sarchiapone. Allora: come fa una Ferrari dichiarata come tale a non
avere un motore Ferrari (e quindi a non essere una Ferrari)?
Credo sia inutile aggiungere altro. E' puro non-enso di qualità epimenidea.
Eh, ma il punto sta proprio in quella dichiarazione, e questo rende le
cose un pochino più complicate. Infatti dalla proposizione è formalmente
assente la dichiarazione della Ferrari *come tale*: lì c'è scritto solo
"una Ferrari", che svolge la funzione di soggetto logico.
E questo non vuol dire "una Ferrari come tale"??? Cosa allora? Una
bottiglia di Ferrari? :-)
Non vedo scappatoie.
Post by Marco V.
Per reperire la dichiarazione della Ferrari *come tale* dobbiamo porci sul
livello riflessivo,
Se stiamo facendo un esercizio logico, sul livello riflessivo dobbiamo già
esserci.
Resta il fatto che se noi diciamo "una Ferrari" ci riferiamo a qualcosa di
ben specifico, e non a qualcosa che può essere o non essere una Ferrari
(come vorebbe la proposizione nel suo complesso).
Tu ti lamenti più sotto per il mio uso dell'attributo 'insensato', ma dimmi
tu che senso ha che il soggetto di una proposizione possa essere o non
essere quello che è. E' forse il gatto di Schroedinger? :-)
No: è una Ferrari, e una Ferrari è una Ferrari e non qualcos'altro!
Post by Marco V.
e per dire che così facendo non staremmo evadendo dal contenuto della
proposizione dovremmo dire che i contenuti coglibili al livello riflessivo
appartengono al contenuto pensato nella proposizione. (un po' come quando
diciamo che affermando "la mela è rossa" si sta anche affermando "è vero
che la mela è rossa" etc.)
No. Non è la stessa cosa. In quest'ultima "estensione" -- del resto ovvia --
non si fanno illazioni sulla natura del soggetto mettendolo paradossalmente
in dubbio.
Io dico che quella proposizione è insensata perché è un'"applicazione" del
"metodo" epimenideo.
Ti rendi conto che si dichiara "Una Ferrari non è una Ferrari"?!?!?
Il fatto che ci sia una condizione non cambia la natura del paradosso.
Se si dicesse "Prendiamo una Ferrari [propriamente detta], togliamole il
motore e sostituiamolo con quello di un'apepiaggio: ebbene, il risultato di
tale trapianto non è una Ferrari." Questa proposizione sì che ha senso: è
logicamente inattaccabile.
Quella in questione è attaccabilissima, e da se stessa. Una proposizione
suicida.
Post by Marco V.
Invece - ed è questo che sto cercando "disperatamente":-) di mostrare -
nella "riduzione logica" effettuata dalla "ragione analitica" tramite
l'uso del quantificatore "qualcosa", è sparito ogni riferimento positivo
ad x.
Appunto di qui la mia denuncia di "insensatezza" anche di quella
proposizione.
Che non ha senso anche per diverse altre ragioni che in parte ho già
alencato.
Non solo non c'è alcuna riducibilità della prima proposizione in quel senso,
ma si introducono altre assurdità.
Post by Marco V.
2. "qualcosa che non ha un motore Ferrari non è una Ferrari".
Evidentemente insensata, perché anche qualunque cosa che abbia un motore
Ferrari (un trattore o un pulitore di fogne per esempio) può non essere
affatto una Ferrari. Anch'io posso avere un motore Ferrari in cantina e
non sono una Ferrari. E qual era la marca che montava motori Ferrari?
Sauber? E le Sauber erano forse Ferrari?
In generale - come ti ho detto spesso - trovo eccessivamente disinvolto
l'uso che fai dell'aggettivo "insensato".
Vedi sopra. Non c'è disinvoltura, ma semmai molto stupore, scusami, nel
vedere simili "percorsi" logici.
In generale assegno quell'attributo alla proposizioni epimenidee, cioè
quelle che pongono il medesimo ente come soggetto e come oggetto, o come
ente e come non-ente -- che è il caso della 1.

Aggiungo alle obiezioni qui sopra che la 2. è anche falsa, perché quando
prendi una Ferrari [propriamente detta], la porti a Maranello per
revisionare il motore, che smonti e che metti sul banco: allora, quella
macchina così sventrata per ragioni di revisione, è forse un "qualcosa" che
non è più una Ferrari, dato che in concreto "non ha un motore Ferrari"? No,
continua a essere una Ferrari a tutti gli effetti: una Ferrari in revisione.
La vedi l'assurdità abissale di quella proposizione?
Post by Marco V.
Entrando poi nel merito: "qualcosa che non è D non è un a" vuole appunto
esprimere il fatto che l'essere D è una condizione necessaria per l'essere
un a.
Vedi qui sopra.
Post by Marco V.
Che qualcosa possa essere un D senza essere un a - che cioè quella
condizione non sia sufficiente - è qui irrilevante.
Il controesempio qui sopra rende irrilevante il rilievo di irrilevanza della
condizione sufficiente, svuotando definitivamente di senso la 2.
Post by Marco V.
Vogliamo provare ad immaginare un contesto in cui sussistano ragioni per
applicare il termine "Ferrari" anche ad un qualcosa che non soddisfa le
specifiche tecniche di cui parli? Se un simile contesto è immaginabile,
Secondo me non è immaginabile, se è vero come è vero che una Ferrari è e non
può non essere una Ferrari.
Posso appunto solo immaginarla in revisione, ma sempre di una Ferrari si
tratta.
Post by Marco V.
allora la base sulla quale si compra e si paga una Ferrari (posto che tale
base si quella determinata dalle specifiche tecniche etc.), non è sic et
simpliciter la base definitoria dell'essere-una-Ferrari. Né gli ingegneri
né i direttori commerciali sono i titolari della definizione.
Lo sono sicuramente gli ingegneri della Ferrari. Chi altro mai?
(I commerciali prendono atto, infiorettano e basta.)
Post by Marco V.
Diamo agli ingegneri e ai direttori commerciali quel che è degli
ingegneri e dei direttori commerciali, e ai filosofi quel che è dei
filosofi:-)
Cosa ai filosofi? Una logica claudicante malgrado tutte le x e le y e i
segni buffi?
Post by Marco V.
Un saluto ed auguri,
Marco
Ricambio il saluto e gli auguri.
Anche l'augurio che se compri una Ferrari non te la vendano dei filosofi :-)
Ciao
qf

astolfo
2009-01-04 08:56:20 UTC
Permalink
Post by Marco V.
5. La "ragione dialettica", invece, esclude che il significato logico di "x
che non è D, non è x" sia riducibile a "un ente che non è D, non è x";
questa non riducibilità è poi lo spazio logico in cui assume senso la figura
della "contraddizione dialettica", nella sua differenza dalla
"contraddizione analitica".
E questo perché nella proposizione in questione è contenuto un riferimento
all'*intenzione di porre* x. La riduzione del significato logico effettuata
dalla "ragione analitica", cioè, si fonda sulla separazione tra la
proposizione "x che non è D, non è x" e l'intenzione di porre x.
E' di qui - secondo quanto sto cercando di mostrare - che andrebbe fondata e
sviluppata la differenza tra le due "ragioni".
E se inserissimo il condizionale al posto dell'indicativo?
La proposizione "x che non è D, non è x" diventerebbe:
"x che non sarebbe D, non sarebbe x", o anche: "se x non
fosse D, non sarebbe x".
Tu hai estrapolato dal mio ragionamento una proposizione
che io non mi ero mai sognato di proporre; il mio ragionamento
era tutto condizionale, ipotetico. Non so poi se la filosofia
analitica ha pensato di abolire il periodo ipotetico di terzo tipo
o il condizionale; se lo avesse fatto la congederei non senza
un invito a meditare meglio il patrimonio linguistico con tutte
le conseguenze del caso.

Ciao.

Astolfo
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