Discussione:
Principio universale
(troppo vecchio per rispondere)
Carlo Pierini
2006-09-22 16:04:59 UTC
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Cari listanti,
in "it.cultura.filosofia" non mi si è filato nessuno, ma mi è stato detto
che qui c'è gente più seria e più attenta, quindi sottopongo anche alla
vostra gentile attenzione l'introduzione al saggio su cui sto lavorando da
un pel po' di annetti, per sapere cosa ne pensate.

Spero che almeno i 'vecchi' Daedalus e Loris, con cui mi sono confrontato
una decina d'anni fa proprio su queste tematiche, si facciano vivi.


INTRODUZIONE



"La civiltà non consiste nel semplice progresso in sé

e in un'ottusa distruzione dell'antico, ma nello

sviluppo e nel raffinamento dei beni già acquisiti".

[C.G. Jung]





E' possibile dire qualcosa di nuovo o di interessante attraverso
una raccolta di citazioni, di idee, di simboli che coprono un arco di storia
di tremila anni, cioè, attraverso una somma di cose già dette e conosciute?
Ebbene, sì; ma solo se da questa molteplicità di contenuti eterogenei
emergesse un significato ulteriore rispetto a quello espresso dai singoli
contenuti presi isolatamente e verso il quale tutti in qualche modo
convergessero; se, poi, questo nuovo significato si presentasse da un lato
come il mosaico finale nel quale la molteplicità dei "frammenti" si
complementarizza e si unifica, e dall'altro come una logica universale, com'è
il caso del presente lavoro (almeno nei suoi fini), allora oltre a qualcosa
di nuovo, si può dire anche qualcosa di interessante.

Infatti, le citazioni e gli scritti che compongono questo saggio
coprono un po' tutti gli ambiti della speculazione umana (alchimia,
psicologia, neurobiologia, storia comparata del simbolo e delle religioni,
teologia, semantica, filosofia, logica, storiografia, ecc.); ma c'è un
motivo universale che li accomuna e che li fonde in un solo disegno: il
Principio di complementarità degli opposti, o, se vogliamo, la sua variante
filosofica, la Dialettica.

Il mio intento non è quello (o non solo quello) di analizzare da
diversi punti di vista un grande "luogo comune" della storia e della
tradizione (la Dialettica è stata identificata con la filosofia stessa e la
"Coniunctio oppositorum" con il Padre eterno, o con il Tao o con il dio
Ermes-Mercurio), ma è anche e soprattutto quello di mostrare come esso sia
tutt'ora valido nei più diversi e distanti ambiti della stessa conoscenza
moderna, tanto da doversi prendere in seria considerazione l'ipotesi che si
tratti di un vero e proprio Principio universale.

L'ipotesi dell'esistenza di un Principio universale appare
pretenziosa e sfrontata agli occhi del dominante relativismo moderno, ma non
appare tale né alla luce della storia del pensiero umano tradizionale (nella
quale l'idea di un Principio ultimo è, anzi, dominante), né alla luce di
quelle che, pur essendo sfuggite quasi del tutto all'attenzione dei
ricercatori contemporanei, si possono considerare come le tre scoperte più
importanti del secolo appena trascorso, dopo quelle della fisica atomica e
relativistica, cioè:

1 - la scoperta della struttura duale-dialettica dei simboli, delle
ritualità e delle idee religiose (ampiamente documentata e descritta da
alcuni degli storici più importanti del simbolismo religioso: Mircea Eliade,
René Guénon, Julius Evola, René Alleau, Ernest Cassirer, Carl Gustav Jung);

2 - la scoperta, da parte dello psicologo C.G. Jung, della struttura
duale-dialettica della psiche (ampiamente documentata e descritta nella sua
opera); e

3 - la scoperta, da parte del neurobiologo J. Eccles, della struttura
duale-dialettica della dinamica mente-cervello: il "dualismo-interazionismo"
(J. Eccles: "Come l'Io controlla il suo cervello").

Questi tre paradigmi presi in sé isolatamente, cioè, come tre
teorie separate e indipendenti ciascuna nel proprio ambito disciplinare,
sono teorie tra tante altre, anzi le più marginali rispetto alla quasi
totalità di teorie di stampo materialista. Infatti, è necessario spostarsi
in una prospettiva super-disciplinare affinché esse si mostrino come le
diverse punte emergenti di un medesimo grande iceberg sommerso, di una
medesima grande logica che le fonda - la complementarità degli opposti - e
affinché si renda razionalmente necessaria l'ipotesi di una sua
estendibilità ai fondamenti di tutte le altre discipline.

Ma, purtroppo, una prospettiva super-disciplinare è proprio l'esatta
antitesi della prospettiva che invece è oggi imperante e cioè quella della
divisione specialistica della ricerca. Una divisione così imperante, ...che
lo stesso Eccles era totalmente ignaro del fatto che in una disciplina
confinante con la propria, la psicologia, uno psicologo (Jung) aveva
elaborato una teoria "dualista" di cui il suo "dualismo-interazionismo" era
un'estensione, o una analogia o una variante autonoma; così com'era ignaro
della scoperta di Eliade sulla logica "duale" del simbolo, nonché delle
ricerche del fisico (premio Nobel, come Eccles) Nils Bohr (anni '30-'40)
dirette ad estendere il principio di complementarità sia ad altri aspetti
della fisica, oltre a quello del cosiddetto "dualismo onda-particella", sia
ad altre discipline, alla stregua di vero e proprio principio universale.

La stessa filosofia, che dovrebbe rappresentare il momento
interdisciplinare della conoscenza e di cui dovrebbe cercare la componente
universale o, come predicavano i più importanti 'padri' della filosofia,
"ciò che è comune a tutte le scienze", è caduta invece anch'essa nella
specializzazione, perdendo il senso della propria missione, sovrapponendosi
un po' parassitariamente alle varie discipline particolari (filosofia della
scienza, del diritto, della storia, ecc.) e perdendo di vista l'unità ultima
delle cose la cui ricerca, in ultima analisi, è il solo compito che le
rimane in un'epoca in cui la conoscenza del mondo non spetta più ai
filosofi, ma al corpo delle scienze.

La filosofia non avrebbe alcun ruolo nella cultura, se non
esistesse un criterio unico e ultimo di verità e di descrizione del mondo; e
non avrebbe alcuna funzione utile neppure se un tale criterio esistesse però
fosse pienamente accessibile all'osservazione di campi disciplinari isolati.

Essa ritrova un proprio ruolo utile e un proprio fine autonomo e
indipendente dalle scienze specialistiche solo laddove ammetta l'esistenza
di un principio unico di "funzionamento del mondo", lo elegga come proprio
oggetto di ricerca e, inoltre, ammetta che tale criterio non sia osservabile
dal punto di vista di ciascuna disciplina isolata e che per metterlo in luce
sia perciò indispensabile un punto di vista diverso e ulteriore rispetto a
quello specialistico-disciplinare: nello stesso modo in cui, per esempio, è
necessario un ambito diverso e ulteriore da quello delle mappe geografiche,
per quanto fedeli e rigorose possano essere, affinché risulti osservabile l''universale',
"ciò che è comune a tutte le mappe", cioè la forma sferica ultima della
geografia. Nessuno sarebbe capace di dedurre la curvatura della terra dall'analisi
di mappe geografiche o dallo studio analitico e capillare del territorio;
potremmo analizzare palmo a palmo tutto il territorio (o tutte le mappe) del
mondo, senza cogliere il minimo indizio della sua curvatura.

Così come la dimensione curva trascende il piano della cartografia
ordinaria, esula dal suo oggetto principale (una rigorosa e fedele
rappresentazione del territorio) pur costituendone un elemento fondamentale,
nello stesso modo la "forma ultima" del sapere trascende il piano e i fini
immediati delle diverse discipline che lo compongono (una rigorosa e fedele
rappresentazione del proprio ...territorio specialistico), pur
rappresentandone, in prospettiva, un elemento centrale e indispensabile.

Su quanto il problema della "forma ultima" del sapere trascenda
davvero gli orizzonti della conoscenza moderna la dice lunga il fatto che di
esso non si occupi nessuno, neanche l'epistemologia la quale, a dispetto del
nome che si è dato ("episteme" = verità), ormai limita la propria
riflessione al solo dominio ristretto delle verità scientifiche e non all'intero
'mappamondo' dell'episteme.



"Lo specialista odierno è per Ortega "un barbaro specializzato". I pericoli
che questa barbarie specialistica comporta sono soprattutto due: sul piano
personale, una riduzione, deformante e falsificatoria, dell'orizzonte
mentale dell'uomo di scienza; e, sul piano sociale, la disarticolazione del
sapere in una molteplicità di compartimenti stagni, che introduce l'incomunicabilità"
anche nel mondo della cultura.

Come ci si potrà attendere, dai vari specialisti esperti e tecnici,
un'interpretazione unitaria dei destini umani, una visione globale della
società con i suoi problemi e le sue tensioni, una chiarificazione delle
mete comuni? Alla società essi potranno dare "una miriade di microscopi, ma
mai il colpo d'occhio dell'aquila signora dello spazio, capace di scrutare i
vasti orizzonti della vita" (J. M. Carballo)". [J. G. FICHTE: La dottrina
della scienza - pg. 102]



Eppure la storia ci mostra che la Geografia non sarebbe mai diventata una
scienza rigorosa, unitaria e compiuta, se avesse continuato ad identificarsi
con la sola cartografia, cioè se la sua fosse stata solo conoscenza di
territori e arte di rappresentarli fedelmente e le fosse mancato, quel
"momento unificante" al quale nessuna osservazione cartografica avrebbe mai
potuto condurre.

Neppure l'astronomia sarebbe diventata scienza rigorosa, se, su un
piano diverso da quello di semplice "cartografia del cielo", non avesse
individuato "ciò che è comune a tutti gli astri", cioè le leggi che regolano
il loro moto. Infatti, non furono dei progressi in campo astronomico, o l'acquisizione
di nuovi dati conoscitivi sul firmamento all'origine del rivoluzionario
passaggio al paradigma copernicano, ma al contrario, furono elementi di
provenienza extra-disciplinare che portarono a una diversa cornice
interpretativa dei medesimi dati osservati (la tecnica e i metodi di
osservazione di Tolomeo e di Keplero erano essenzialmente i medesimi).

La stessa origine storica dell'idea eliocentrica sembra collegarsi
direttamente al simbolismo magico-religioso della filosofia alchimista (in
quel tempo rigogliosa) e ad una cosmologia 'solare' comune anche ad altre
tradizioni che vedeva nel sole una allegoria vivente o una incarnazione del
Divino quale Principio e Centro dell'universo (vedi 2. 15). Scrive M.
Eliade:



"Uno studio recente ha svelato le implicazioni religiose, quasi sempre
nascoste o mascherate, nell'astronomia e nella cosmografia del rinascimento.
Per i contemporanei di Copernico e di Galileo l'eliocentrismo era più che
una teoria scientifica: esso segnò la vittoria del simbolismo solare sul
medioevo, cioè la rivalsa della tradizione ermetica - considerata come
venerabile e primordiale, essendo precedente a Mosè, Orfeo, Zoroastro,
Pitagora e Platone - sul provincialismo della Chiesa medievale". [M.
ELIADE: La nostalgia delle origini - pg.105]



Naturalmente, l'affermazione definitiva del paradigma eliocentrico
sul geocentrico non è stata né un atto di fede né, come predica un certo
relativismo ingenuo, una scelta soggettiva a favore di una maggiore
semplicità e coerenza matematica, ma è stata determinata dalla scoperta
della legge di gravità newtoniana e della sua perfetta concordanza con l'ipotesi
eliocentrica.

In altre parole, le prime tre grandi rivoluzioni dell'occidente (la
trasformazione della geografia, dell'astronomia e della fisica in scienze
rigorose e compiute), si sono originate e giocate su un piano diverso da
quello dell'osservazione disciplinare; anzi, sono stati proprio gli
"osservatori specializzati" (cartografi, astronomi e filosofi-fisici) i
maggiori oppositori delle nuove cosmologie.

Pertanto non ci dovrebbere sorprendere il fatto che gli elementi
più importanti e decisivi per un possibile analogo compimento ultimo della
conoscenza si debbano cercare proprio fuori dell'ambito disciplinare, cioè,
che ci sia la necessità di compensare l'attuale squilibrio verso la polarità
specialistica, analitica, disciplinare del sapere con uno spostamento verso
la polarità sintetica, filosofica, universalistica, super-disciplinare,
vincendo il pregiudizio secondo cui i progressi di ogni disciplina
dipenderebbero essenzialmente dal grado di approfondimento analitico del
proprio campo specifico.

Eliade, infatti, non sarebbe mai pervenuto alla scoperta dell'archetipo
universale della dualità (o della dualità universale dell'archetipo), se si
fosse soffermato allo studio analitico-specialistico di una sola tradizione
o di un gruppo limitato di tradizioni e se poi non avesse cercato
(attraverso il metodo comparativo) "ciò che è comune a tutte le tradizioni".

Né Jung sarebbe mai pervenuto alla scoperta della struttura
dialettica della psiche, se non avesse esteso le sue ricerche dal piano
individuale a quello universale e super-individuale della psiche storica e
collettiva e non avesse evidenziato "ciò che è comune ad ogni psiche".

All'origine delle ricerche di entrambi c'è stata l'osservazione
quasi casuale, ciascuno nel proprio ambito disciplinare, di dati o di eventi
o di configurazioni di eventi estremamente singolari e soprattutto
imprevisti rispetto alla comune concezione scientifico-materialista del
mondo; eventi la cui spiegazione coerente imponeva il ribaltamento delle
premesse teoriche e degi assiomi fondamentali delle rispettive
specializzazioni. Qualcosa che potremmo definire nei due casi come delle
"analogie di significato molto profonde tra ambiti molto lontani", che
spesso significava "analogie troppo profonde e capillari, o troppo
complementari per essere sorte spontaneamente in ambiti reciprocamente
troppo isolati".

Nel caso di Jung, si è trattato di analogie (o coincidenze) tra
materiale onirico individuale e simbologie provenienti dalle tradizioni più
lontane spesso del tutto ignote al sognatore; ma anche di analogie tra le
età tipiche dell'individuo e certe ere tipiche della nostra storia, o tra la
funzione dei miti religiosi sulla storia e la funzione dei grandi sogni
sulla dinamica psichica dell'individuo.

Mentre per Eliade si è trattato di analogie tra tradizioni
religiose diverse, spesso geograficamente o culturalmente separate. In
entrambi i casi, si è trattato di analogie troppo circostanziate, o troppo
adeguate l'una all'altra o troppo reciprocamente pertinenti per non essere
obbligati dalla logica a ipotizzare l'esistenza di una matrice unica,
super-storica e super-individuale quale fonte ispiratrice di ogni simbolo,
di ogni mito, di ogni cosmologia religiosa: una matrice che Jung ha chiamato
Inconscio collettivo, Eliade Immaginario collettivo e di cui entrambi hanno
evidenziato la 'dualità' sia nella funzione dialettico-interlocutoria sulla
storia (o sull'individuo) sia nella struttura duale-dialettica dei simboli
che la esprimono.

Anche l'antropologo Levi-Strauss individuò questa unità sottesa
nella molteplicità dei miti e le diede, appunto, il nome di "Struttura";
tuttavia, non avendone colto né la natura dialetticamente 'altra' rispetto
alla coscienza (o alla coscienza storica) né la natura tipicamente duale
delle sue spressioni simboliche, finì per metterla in uno stesso gran
calderone con la materia e considerò la coscienza come un suo (della
Struttura-Materia) passivo epifenomeno, privando così di fondamento e di
significato la possibilità stessa di libertà per l'uomo e facendo a pezzi
tutti i valori etico-civili di cui essa è premessa e cardine.

Ebbene, il metodo di una filosofia che si costituisse come momento
unificante del sapere non potrebbe che coincidere con il metodo dell'analisi
comparata adottato da Jung e da Eliade nelle rispettive ricerche.

Così come essi hanno messo a confronto delle realtà simboliche
distanti ed autonome giungendo alla scoperta di modelli di significato
universali e trascendenti (gli archetipi) non osservabili né sul piano dell'analisi
"territoriale" delle singole tradizioni simboliche né su quello della sola
psicologia individuale, una epistemologia idealmente consapevole del proprio
ministero dovrebbe porre a confronto discipline del sapere distanti ed
autonome, cioè trasformarsi in una scienza comparata del sapere con la
finalità di individuare gli 'archetipi concettuali', cioè i grandi concetti
che sono comuni a tutte le scienze, primo fra tutti - o dulcis in fundo - il
Principio di complementarità, l'archetipo concettuale in cui si proietta l'unità
di tutti gli altri.

Naturalmente, per portare a compimento qualcosa di così imponente
come un'analisi comparata del sapere è necessario l'apporto di una vasta
molteplicità di ricercatori organizzati in scienza e, forse, persino qualche
secolo di tempo.

Pertanto, il presente lavoro non può aspirare ad altro che ad
indicare i termini generali, la direzione di un cammino interdisciplinare
possibile e a mostrare un numero sufficiente di ragioni che rendono un tale
cammino auspicabile, anzi, necessario per l'evoluzione della conoscenza. E
siccome queste ragioni provengono da diversi e distanti territori della
ricerca (non potrebbe essere altrimenti), piuttosto che improvvisarmi
psicologo o storico delle religioni, o simbologo, o neurobiologo, o
filosofo, ecc., ho preferito esprimerle attraverso le testimonianze e le
riflessioni degli stessi "specialisti" e riducendo la mia funzione a quella
di ordinatore della loro sequenza.

Infatti, il loro ordine segue un criterio ben preciso: quello
elementare secondo cui tutte le verità più autentiche sono complementari tra
loro, dal quale discende che laddove è possibile costruire un paradigma
unitario a partire da tante testimonianze autonome, separate e
disciplinarmente distanti, sia il paradigma che le osservazioni hanno un'altissima
probabilità di essere delle verità autentiche e universali. Qualsiasi
giudice in un processo penale seguirebbe lo stesso criterio.

"Ordo et connexio idearum ac ordo et connexio rerum", "l'ordine e
la relazione delle idee corrisponde all'ordine e alla relazione delle cose",
dicevano i dialettici-scolastici medioevali; e qualche secolo dopo trionfò
la scienza proprio grazie alla realizzazione di questo medesimo criterio o,
meglio, di una sua variante parziale, la variante 'pitagorica' che vede, non
nelle idee, ma nei numeri l'ordine di relazione fra le cose, che potrebbe
essere così enunciata: "ordo et connexio numerorum ac ordo et connexio
rerum". Ma se teniamo conto del fatto che i numeri non sono altro che una
tipologia particolare di idee, tutto converge verso la possibilità di un
analogo trionfo della filosofia nel momento in cui essa estenderà al resto
delle idee (i concetti, gli archetipi, i simboli) la funzione di "ordo et
connexio rerum" conquistata fin qui solo dai numeri.



Da questo punto di vista, la ricerca di un principio di ordine e connessione
delle idee (cioè, di un criterio ultimo di verità) non è affatto eccentrica
o fantasiosa, ma è perfettamente conforme sia ai canoni scientifici che a
quelli filosofici rispetto ai quali il significato di idea coincide, per l'appunto,
con quello di "ordine e connessione" di una molteplicità omogenea di
significati, cioè coincide con un universale "in piccolo". Infatti, Abelardo
definiva l'idea come lo "stato comune in cui converge un gruppo di cose";
Ockham il "segno di più cose"; Platone "l'universale delle cose"; Aristotele
"l'unità visibile nella molteplicità"; Hegel la "categoria", cioè la sintesi
o forma unitaria di un molteplice; S. Agostino la "ragione immutabile delle
cose"; S. Tommaso "principio di conoscenza delle cose", Plotino il "pensiero
divino" che sta a fondamento di ogni cosa, ecc..

Si tratta, cioè, di 'copiare' o di ripetere un passo che è già
stato fatto dalla scienza mezzo millennio fa, pur se in un diverso ambito
speculativo; o, meglio, si tratta di portare al suo compimento naturale un
cammino di cui la scienza rappresenta solo la prima metà del percorso.

Si deve estendere, cioè, dal numero al simbolo l'attributo di
misura delle cose. Dalla quantità alla qualità, dall'equazione matematica
all'archetipo sacro, dall'analisi alla sintesi, dalla
separazione-frammentazione specialistico-analitica all'unità
super-disciplinare in un grande archetipo universale.

Un taoista parlerebbe della necessità di una alternanza tra una
conoscenza yin (fisico-materiale) e una conoscenza yang
(simbolico-spirituale); mentre io parlerei di necessità di conformità al
Principio.



"Il Tao si potrebbe considerare come il regolatore della alternanza di yin e
yang (...), come un principio d'ordine, che governerebbe indistintamente
l'attività mentale e il cosmo." [Dizionario BUR-Rizzoli - pg.445]



La prima parte di questo saggio ha come oggetto l'Alchimia, proprio
perché il fine ultimo della sua missione (fine mai raggiunto in cinque
secoli di "Ars chemica"), cioè l'Arcanum, la Pietra filosfale, consisteva,
in definitiva, in una realizzazione del Principio di complementarità degli
opposti nella materia fisico-chimica.

Ma l'alchimia non si esauriva affatto in questo, dato che nel
simbolismo e nella speculazione alchemica il Principio di complementarità è
identificato con Dio, la Pietra con il Figlio, cioè con l'Incarnazione del
Principio, e l'alchimista stesso con il sacerdote che doveva amministrare il
'sacramento chimico' (l'Opus Magnum) e giungere alla produzione 'tecnologica'
del Redentore, del "Redemptor Naturae et Spiritus".

Si tratta, cioè, di un sintetico "puzzle" costituito da una
cinquantina delle immagini simboliche più rappresentative dell'alchimia qua
e là cucite insieme da un'altrettanto sintetico commento scritto che ha il
solo fine di evidenziare lo stretto legame, se non l'identità, tra il
Principio di complementarità e la meta ultima dell'Alchimia: il Filius
philosophorum. E' una sintesi piuttosto che una analisi; pur se non mancano
esempi analitici capaci, tra l'altro, di mostrare la profonda e singolare
continuità-analogia-complementarità che esiste tra il simbolismo alchemico
ed altri importanti simbolismi tradizionali, cristiano, greco, taoista,
ecc..



- Nella seconda parte cerco di mettere a confronto, sempre molto
sinteticamente, alcuni grandi concetti del linguaggio, della filosofia,
della logica e della scienza, quali la metafora, il numero, l'operazione di
misura, il sillogismo aristotelico, la 'triade hegeliana', il principio di
non-contraddizione, il paradosso, la dialettica filosofica, la struttura del
simbolo e dell'archetipo, la dualità mente-cervello, ecc., riconducendoli a
una medesima dinamica di principio: l'unità degli opposti.

In questa prospettiva, è l'intera sfera del linguaggio, della
logica, della filosofia e della conoscenza che rivela la propria conformità
al principio di complementarità degli opposti, sia in senso storico
(evoluzione dialettica della filosofia attraverso il confronto-scontro di
filosofie opposte), sia in senso strutturale (la dialettica come principio e
legge del pensiero e del linguaggio), sia nel senso 'teleologico' della
missione, della meta ultima della filosofia e della conoscenza: un criterio
definitivo di verità.



- Nella terza parte del saggio cerco di mettere a fuoco un'idea di C.G.
Jung - che nella sua opera è solo indicata - sulla profonda identità che
esiste tra la funzione terapeutico-compensatoria dei 'grandi sogni' nell'equilibrio
psichico individuale e quella dei grandi miti nell'equilibrio evolutivo
delle culture, in particolare nella cultura Occidentale.

Questo semplice paradigma, oltre ad essere in sé conforme al
Principio di complementarità (nel suo aspetto di principio di analogia tra
le diverse scale dell'essere), mi permette di porre in risalto la storia di
questi ultimi due millenni come marcata da due grandi dialettiche: 1 - una
dialettica 'verticale' tra storia e mito, nella quale il contenuto del mito
corrisponde con i valori di cui è carente la cultura che produce il mito
stesso, cioè corrisponde con i valori opposti a quelli eccedenti
'patologicamente' nella cultura; e 2 - una dialettica 'orizzontale' tra i
valori dominanti nel 1º millennio (il culto della fede, dello Spirito, del
Cielo, di Dio, del maschile, ecc.) e i valori opposti-complementari
dominanti del 2º millennio (il culto della Vergine come polarità femminile
di Dio, della Materia, della Natura, della Ragione, ecc.).

In altri termini, la Storia si viene a configurare, da un lato,
come una grande oscillazione di periodo millenario tra due polarità opposte
di valori culturali, e dall'altro come un vero e proprio dialogo (non privo
di 'malintesi') tra l'immaginario collettivo (il mito) e le diverse ere
della storia occidentale, sul modello della relazione dialettico-evolutiva
coscienza-inconscio nell'individuo. Cioè, la storia si configura come una
doppia dialettica a croce di dimensione bi-millenaria.



Questo ulteriore paradigma non manca naturalmente di fascino,
mostrandoci duemila anni di storia occidentale sotto un unico grande
paradigma, quello della Croce, noto archetipo universale, anch'essa, della
unità degli opposti, o della complementarità universale (per esempio, l'idea
cristiana che considera l'unione verticale uomo-Dio come analogia esemplare
dell'unione orizzontale uomo-uomo la quale, in "ama il tuo nemico", o nell'amore
di coppia, diventa una vera unione orizzontale di opposti).

Così come non mancano di fascino le prospettive non solo
striografiche ma più generalmente filosofico-cosmologiche che si aprono di
fronte all'ipotesi di un principio che governa la psiche umana, il
linguaggio, la conoscenza, la storia.

Cioè di un Principio che sia principio logico nella logica (la
Dialogica), principio divino in teologia (il Tao, il Logos), psichico in
psicologia (il Sé), filosofico in filosofia (la Dialettica), ecc., pur
rimanendo sempre uno e sempre normativamente uguale a sé stesso.

L'introduzione di un criterio rigoroso di verità e di giudizio
nelle discipline umane potrebbe produrre in esse un salto di qualità, una
'resurrezione' paragonabile a quella che si produsse con l'introduzione
galileiano-kepleriana del criterio matematico-sperimentale, che produsse la
nascita della scienza moderna. Così come il criterio matematico-sperimentale
è diventato un affidabile garante delle verità scientifiche, cioè delle
verità riguardanti il polo oggettivo-quantitativo-fisico del mondo,
analogamente, il Principio di complementarità diventerebbe garante delle
verità riguardanti il polo soggettivo-qualitativo-metafisico.

E gli archetipi assumerebbero nel regno della qualità lo stesso
importante ruolo normativo e universalizzante che assumono i modelli
matematici nel regno della quantità. Così come la legge dei numeri è
diventata legge del mondo materiale (le leggi fisiche si esprimono con
modelli matematici), la legge dei simboli - la dialettica - diventerebbe la
logica del mondo spirituale, come hanno intuito anche alcuni dei più
brillanti teologi contemporanei della "dialettica dello Spirito" (T.
Altizer, M. Buber, G. Barzaghi, O. Cullmann, ecc.).

Ma un principio che governa mente e spirito non può non contenere
in sé le leggi che governano il corpo e la materia, dal momento che queste
due polarità dell'essere coesistono nel creato integrate in unità viventi; e
quindi il principio di complementarità non tarderebbe ad estendere la
propria validità al mondo fisico e a rivelarsi come principio autenticamente
e compiutamente universale.

In questa prospettiva sarebbe definitivamente risolto il millenario
problema filosofico dell'identificazione della verità o della sua
definizione: la conformità al Principio diventerebbe il criterio ultimo di
verità, e la forma dialettica, come pensava Platone, diventerebbe la forma
tipica o paradigmatica della verità stessa, il suo 'marchio' di
riconoscimento.

Persino la teologia, trasformando Dio in un Principio ultimo di
validità dimostrabile, realizzerebbe i sogni di teologi come S. Tommaso d'Aquino
o Anselmo d'Aosta e si trasformererebbe in una vera e propria scienza.

E' vero che Dio può essere definito in una infinità di modi ma,
grazie al Principio, una tale molteplicità può essere ricondotta a una
dualità di opposti - o ad una molteplicità di dualità - e queste, a loro
volta, ad una unità superiore.



Insomma, l'introduzione di un principio universale nel sapere
produrrebbe conseguenze rivoluzionarie e dirompenti per l'intera cultura,
innovazioni di portata epocale, anzi, ...mitica. E' per questo che sono
numerosissimi i miti, oltre al mito dell'alchimia, che prefigurano
simbolicamente una tale possibilità, non senza toni trionfalistici e
messianici. Dalla vittoria di Teseo sull'enigma del Labirinto, la cui
soluzione era legata a un misterioso unico filo - logico? - capace di
condurre l'eroe fino al cuore del malefico enigma, alla cristiana
"resurrezione del Logos", in cui l'eroe che risorge è l'incarnazione di un
Principio trascendente e simbolo della Verità ultima, del Verbum Dèi
incarnato nella parola umana; dalle Tavole di Mosè in cui Dio si incarna
come Legge, al Taoismo che contempla in una dualità di principi cosmici
immanenti (Yin e Yang) l'incarnazione di un Principio unico trascendente (il
Tao, di forma circolare); dalla promessa luciferina legata al frutto dell'Albero
della Conoscenza ("...e voi sarete come dèi"), o dell'Albero della Croce,
alla saga del Graal, in cui l'eroe dai molti nomi (Parzifal, Re Artù,
Merlino, ecc., restaura la sovranità e l'unità in un regno decaduto e
diviso, grazie ai poteri risanatori di un misterioso rimedio (il santo
Graal) che riassume in sé una molteplicità di significati coincidenti o
sovrapponibili con quelli della Pietra filosofale: 1 - fonte di conoscenza e
di saggezza, 2 - unione di principi opposti, 3 - autorità regale, 4 -
medicina del corpo e dello spirito, 5 - frutto di una ricerca in territori
lontani, ecc.; senza contare tutte le favole in cui alla fine sarà sempre un
princip...e a salvare la nobile e immatura fanciulla (la filosofia?) dalla
servitù di sorellastre saccenti, o dalle minacce di una regina potente,
vanitosa, e zitella (la scienza?), o a risvegliarla dal sonno ...della
ragione.

Tanta mitica solennità non è ingiustificata, se pensiamo che l'introduzione
di un fondamento universale nel sapere potrebbe rappresentare davvero l'Alfa
e l'Omega della cultura umana, il suo principio e il suo fine, il suo
cardine metafisico e la sua meta storica, il suo coronamento ultimo e il
principio di un nuovo cammino.

Oltre a promuovere tutte le discipline della cultura a vere e
proprie scienze rigorose (una scienza è tale quando, dalla descrizione
oggettiva, rigorosa e analitica degli eventi, dei fatti, dei fenomeni,
perviene alla descrizione del loro ordine, cioè, delle leggi e dei principi
che li governano), complementerebbe in sé le scienze "del cielo" con le
scienze "della terra", come una grande "Arca dell'Alleanza" nella quale
degli archetipi teologici, o filosofici, o mitologici (la trinità, la croce,
la harmonia praestabilita, l'alternanza yin-yang, ecc.) possono diventare
illuminanti e geniali paradigmi della logica, della storia, della psicologia
o della fisica, come pure immaginava H. Hesse in "Il gioco delle perle di
vetro".

Si realizzerebbe così una specie di "moneta unica" del sapere
grazie alla quale una scoperta in qualunque campo disciplinare
comporterebbe, per traslazione, una analoga scoperta in ciascuno degli
altri. Cioè si produrrebbe conoscenza non più solo a partire dall'osservazione
oggettiva ma anche e soprattutto a partire dalla riflessione filosofica o da
una rigorosa speculazione ...teologica o, chissà, musicale (una orchestra è
l'archetipo dell'unione degli opposti da molti punti di vista, il più
evidente dei quali è l'unità della molteplicità), o etica (una virtù
autentica è sempre un equilibrio armonico di qualità opposte, per es.:
coraggio e umiltà, libertà e obbedienza etica, giustizia e magnanimità,
sentimento e ragione, ecc.), o semantica (un concetto è utile e illuminante
quando armonizza e unifica in sé una pluralità di significati, compresi
quelli di segno opposto; per es.: la verità vista come unità di soggetto e
oggetto, di analisi e sintesi, di immanenza e trascendenza, di particolare e
universale, di tesi e antitesi, di matematica e fisica, ecc.).

Non più solo dall'osservazione disciplinare ai principi, ma anche e
soprattutto dal principio alla sua verifica (o applicazione) disciplinare.
Si tratterebbe, cioè, di una vera e propria democratizzazione del sapere, di
un suo decentramento dalle mani esclusive dei padroni della ricerca
tecnologico-specializzata e di un recupero della speculazione metafisica
come polarità complementare indispensabile alla conoscenza al pari della
polarità osservativo-sperimentale.

Non più l'immagine disperante di una conoscenza fatta di tante
conoscenze separate in espansione infinita su un territorio virtualmente
senza limiti e senza forma ultima, qual è l'immagine ingenua degli
epistemologi moderni, ma una conoscenza che si racchiude e si raccoglie
attorno ad un medesimo centro (il Principio) e nella quale si rende
possibile "raggiungere l'oriente navigando verso occidente", o in senso
epistemico-filosofico, pervenire a una medesima conclusione partendo da due
logiche diametralmente opposte, che è la proprietà fondamentale del processo
dialettico.

In altri termini, una conoscenza nuovamente aperta alla
sacralizzazione, nella quale "l'ipotesi di Dio" - che Laplace aveva creduto
di poter esiliare dagli orizzonti del sapere - ridiventa necessaria, anzi,
determinante e fondante.



Un Principio dà finitezza al sapere senza porgli dei limiti,
proprio come l'universo non-euclideo concepito da Einstein è "illimitato, ma
finito". Con un Principio, cioè, il sapere acquisisce finitezza nel senso
dell'estensione disciplinare (il numero delle scienze è finito e, per
ciascuna scienza, è finito il numero delle leggi e degli assiomi
fondamentali), ma non si pongono limiti nel senso della profondità di
analisi (sia disciplinare che interdisciplinare), nello stesso modo in cui
in geometria si passa dall'infinità dei punti di una superficie geometrica
infinita, priva di centro e di forma, all'infinità dei punti della
superficie geografica della Terra, dotata di forma, di centro (che trascende
la superficie) e persino di due poli naturali. Di fatto, la scoperta della
finitezza della superficie terrestre non ha posto limiti alla crescita della
Geografia né come scienza né come esplorazione ma, al contrario, ha creato
le condizioni necessarie per la piena realizzazione di entrambi i suoi
aspetti.



Non è casuale che la simbologia di tutte le tradizioni (§ 2.20)
identifichi il creato con un cerchio e il Principio divino con il centro.
Qualche esempio:



"Questo punto centrale e primordiale è identico al «santo palazzo» della
Qabbalah ebraica; nella sua essenza, esso non è localizzato, poiché è
assolutamente indipendente dallo spazio, che non è se non il risultato della
sua espansione o del suo indefìnito sviluppo in tutti i sensi, e, di
conseguenza, da lui deriva per intero: «Trasferiamoci in spirito fuori di
questo mondo di dimensioni e di localizzazioni, e non si tratterà più di
dare una sede al Principio». [...] Il punto primordiale, pur rimanendo
sempre essenzialmente «non localizzato» (appunto per questo, nulla può
influenzarlo o modifìcarlo), si fa centro di questo spazio, cioè, centro di
tutta la manifestazione universale ". [R. GUÉNON: Il simbolismo della
croce - pg.75]



"Il centro è anche simbolo della legge organizzatrice: a questo proposito si
parla di 'potere centrale' che organizza lo Stato e, a un livello superiore,
l'universo, l'evoluzione biologica e l'ascesa spirituale. [...] Il centro
può essere considerato un'immagine del mondo, un microcosmo che contiene in
sé tutte le virtualità dell'universo". [CHEVALIER - GHEERBRANT: Dizionario
dei simboli - pg. 243]



"Posto al centro della «ruota cosmica», il saggio perfetto la muove
invisibilmente, in virtù della sua sola presenza, senza partecipare al suo
movimento, e senza preoccuparsi di esercitare una qualsiasi azione. (...)
Questo distacco assoluto ne fa il signore di ogni cosa, poiché, essendo egli
passato al di là di tutte le opposizioni inerenti alla molteplicità, nulla
può più influire su di lui [...]. A forza di ricerca, è pervenuto alla
verità immutabile, alla conoscenza del Principio universale unico". [R.
GUÉNON: Il simbolismo della croce - pp. 72-3]




"L'uomo religioso cerca sempre di stabilire la propria residenza nel "centro
del mondo". Affinché si possa vivere nel mondo, questo deve essere fondato;
e nessun mondo può nascere nel caos dell'omogeneità e dalla relatività dello
spazio profano. La scoperta o la proiezione di un punto fisso - il centro -
equivalgono alla creazione del mondo. L'orientamento e la costruzione
rituale dello spazio sacro posseggono un valore cosmogonico; infatti, il
rituale mediante il quale l'uomo costruisce uno spazio sacro è efficace
nella misura in cui riproduce l'opera degli dèi, cioè la cosmogonia". [M.
ELIADE: Ocultismo, stregoneria e mode culturali - pg. 37]



" Un cerchio e un centro: questa è l'intuizione che domina ai suoi inizi il
pensiero teologico e scientifico dei Greci". [G. TAGLIAVIA: Inizio e
cominciamento - pg.21]



"I concetti greci di essere e di verità sono paragonabili, secondo la
similitudine di Parmenide, a una «sfera perfettamente rotonda», salda nel
suo proprio centro". [E. CASSIRER: Sulla logica delle scienze della
cultura - pg. 5]



"Non dimentichiamo che per l'uomo primitivo, il sapere, la conoscenza
erano - e sono rimasti - epifanie della «Potenza sacra». Chi vede e sa
tutto, può ed è tutto. Talvolta simili Esseri supremi di origine uranica
diventano fondamento dell'Universo, autori e dominatori dei ritmi cosmici, e
tendono a coincidere sia col Principio, o sostanza metafisica dell'Universo,
sia con la Legge, con quel che è eterno e universale nei fenomeni
transitori, nel loro divenire. Legge che gli dèi stessi non possono
abolire". [M. ELIADE: Trattato di storia delle religioni - pg.65]



"[Nell'Alchimia] l'esotico « centro » è sempre dato per perso o per lontano,
si tratta di riconquistarlo, d'inventarlo, di farlo nascere; e soprattutto
di riconoscerlo come confacente allo scopo prefìssato, allontanandosi,
quanto più è possibile, dalle smagliature di un infìnito terrorizzante".
[S. ANDREANI: Alchimia: per una semiologia del sacro - pg. 23]



"Il centro è innanzi tutto il Principio, il Reale assoluto; il centro dei
centri non può essere che Dio. Scrive Nicola Cusano: "I poli della sfera
coincidono con il centro che è Dio. E' circonferenza e centro, è dappertutto
e in nessun luogo". [CHEVALIER - GHEERBRANT: Dizionario dei simboli - pg.
242]



Esiste una vasta letteratura sul simbolismo della polarità universale (oltre
al Dio-Coniunctio-oppositorum del Cusano) che inclina a pensare al Cosmo (o
alla Conoscenza che vi si rispecchia) come a una sfera bipolare nella quale
i poli rappresentano la proiezione nell'immanenza del Principio centrale
trascendente. L'idea platonica di un cosmo vivente, sferico e androgino è
solo una delle innumerevoli varianti.





Carlo Pierini
Loris Dalla Rosa
2006-09-23 09:38:05 UTC
Permalink
Post by Carlo Pierini
Cari listanti,
in "it.cultura.filosofia" non mi si è filato nessuno, ma mi è stato detto
che qui c'è gente più seria e più attenta, quindi sottopongo anche alla
vostra gentile attenzione l'introduzione al saggio su cui sto lavorando da
un pel po' di annetti, per sapere cosa ne pensate.
Spero che almeno i 'vecchi' Daedalus e Loris, con cui mi sono confrontato
una decina d'anni fa proprio su queste tematiche, si facciano vivi.
Caro Carlo, anzitutto benvenuto anche in ICFM. Questo tuo primo post e'
stato un po' "tormentato" da qualche problema tecnico del robomoderatore e
la moderazione se ne scusa, anche se non ne porta responsabilita' oggettiva;
ma ti assicuro che non sara' meno "tormentato" dalla critica ai suoi
contenuti:-)). Passati gia' 10 anni? Accidenti, mi sembrava di meno..! In
realta' non so da dove iniziare per riprendere il filo delle mie
contestazioni che rimangono sostanzialmente quelle di allora. Allora
comincio dal fondo, riprendendo un tratto di un tuo intervento in ICF e la
mia risposta, che certamente ti e' sfuggita. Riporto integralmente, senza
nemmeno togliere il mio taglio ironico iniziale un po' provocatorio, che so
non essere in disarmonia col tuo
carattere:-). Giusto per confutare l'opinione di chi ti ha insinuato l'idea
che qui siamo tutti insopportabilmente seri:-).

======= da ICF ============
Post by Carlo Pierini
Un principio filosofico che sia, nello stesso tempo, etico, logico,
ermeneutico, fisico, metafisico, ecc. non può essere che un principio,
trascendente,
proprio come Dio
He he, caro Carlo, devo darti atto che con gli anni la tua dialettica si e'
irrobustita. Tuttavia c'e' ancora qualche problema nel distinguere
"trascendente" e "trascendentale". Per non dire delle trappole
hegelo-dialettiche, davvero micidiali a prenderle sul serio. Puo', infatti,
un "principio trascendente" sottrarsi al principio fondamentale della
dialettica? Se no, la "trascendenza" del tuo Dio non e' che il modo
rappresentativo di cogliere cio' che la filosofia coglie in modo
speculativo, risolvendo il "trascendente" come momento dello spirito
assoluto, privo di qualsiasi mediazione che non sia quella totalmente
trasparente del concetto. Se si', si conserva il "trascendente" nella sua
irriducibilita' all'auto-dispiegarsi della Ragione, e puoi sottrarti alla
morsa dialettica hegeliana; ma allora puoi buttare alle ortiche il principio
della dialettica, perche' tra esso e il "trascendente" c'e' una
contraddizione immediata e *immediabile*. Riducendo Dio a chierichetto della
Ragione, Hegel ha decretato la morte di Dio ben prima di Nietzsche.
(Personalmente glielo attribuisco a suo unico merito).
Cari saluti,
Loris
=======================

Beh, caro Carlo, qui posso aggiungere (prevedendo una tua possibile
argomentazione) che il problema ancora piu' a monte e' la tua "rigorosa
distinzione" tra contraddizione e paradosso.

Un buon fine settimana a te e a tutti,
Loris
Carlo Pierini
2006-09-23 16:13:37 UTC
Permalink
"Loris Dalla Rosa"
Caro Carlo, anzitutto benvenuto anche in ICFM. ...
Passati gia' 10 anni? Accidenti, mi sembrava di meno..!
C
Grazie, Loris. ...Eh beh, già comincio a vedere qualche capello bianco, e
tu?

L
======= da ICF ============
Post by Carlo Pierini
C
Un principio filosofico che sia, nello stesso tempo, etico, logico,
ermeneutico, fisico, metafisico, ecc. non può essere che un principio,
trascendente, proprio come Dio
L
He he, caro Carlo, devo darti atto che con gli anni la tua dialettica si e'
irrobustita. Tuttavia c'e' ancora qualche problema nel distinguere
"trascendente" e "trascendentale".
Come disse Laplace a Napoleone, "Non ho avuto bisogno di una tale ipotesi",
cioè di una tale distinzione, o almeno non nel senso inteso da Kant.
L'essere può concepirsi come una *gerarchia di livelli* dialetticamente
trascendenti. Nel senso più generale possiamo contemplare tre livelli:
quello materiale-corporale, quello mentale-psico-spirituale e quello dei
principi metafisici ultimi che sovrasta e, insieme, fonda gli altri due

Per non dire delle trappole
hegelo-dialettiche, davvero micidiali a prenderle sul serio. Puo', infatti,
un "principio trascendente" sottrarsi al principio fondamentale della
dialettica? Se no, la "trascendenza" del tuo Dio non e' che il modo
rappresentativo di cogliere cio' che la filosofia coglie in modo
speculativo, risolvendo il "trascendente" come momento dello spirito
assoluto, privo di qualsiasi mediazione che non sia quella totalmente
trasparente del concetto. Se si', si conserva il "trascendente" nella sua
irriducibilita' all'auto-dispiegarsi della Ragione, e puoi sottrarti alla
morsa dialettica hegeliana; ma allora puoi buttare alle ortiche il principio
della dialettica, perche' tra esso e il "trascendente" c'e' una
contraddizione immediata e *immediabile*. Riducendo Dio a chierichetto della
Ragione, Hegel ha decretato la morte di Dio ben prima di Nietzsche.
(Personalmente glielo attribuisco a suo unico merito).
Cari saluti,
Loris
=======================
Beh, caro Carlo, qui posso aggiungere (prevedendo una tua possibile
argomentazione) che il problema ancora piu' a monte e' la tua "rigorosa
distinzione" tra contraddizione e paradosso.
Un buon fine settimana a te e a tutti,
Loris
Carlo Pierini
2006-09-23 16:11:18 UTC
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"Loris Dalla Rosa"
Caro Carlo, anzitutto benvenuto anche in ICFM. ...
Passati gia' 10 anni? Accidenti, mi sembrava di meno..!
C

Grazie, Loris. ...Eh beh, già comincio a vedere qualche capello bianco, e
tu?



L
======= da ICF ============
Post by Carlo Pierini
C
Un principio filosofico che sia, nello stesso tempo, etico, logico,
ermeneutico, fisico, metafisico, ecc. non può essere che un principio,
trascendente, proprio come Dio
L
He he, caro Carlo, devo darti atto che con gli anni la tua dialettica si e'
irrobustita. Tuttavia c'e' ancora qualche problema nel distinguere
"trascendente" e "trascendentale".
Come disse Laplace a Napoleone, "Non ho avuto bisogno di una tale ipotesi",
cioè di una tale distinzione, o almeno non nel senso inteso da Kant.
L'essere può concepirsi come una *gerarchia di livelli* dialetticamente
trascendenti. Nel senso più generale possiamo contemplare tre livelli:
quello materiale-corporale, quello mentale-psico-spirituale e quello dei
principi metafisici ultimi che sovrasta e, nello stesso tempo, fonda gli
altri due
Per non dire delle trappole
hegelo-dialettiche, davvero micidiali a prenderle sul serio. Puo', infatti,
un "principio trascendente" sottrarsi al principio fondamentale della
dialettica? Se no, la "trascendenza" del tuo Dio non e' che il modo
rappresentativo di cogliere cio' che la filosofia coglie in modo
speculativo, risolvendo il "trascendente" come momento dello spirito
assoluto, privo di qualsiasi mediazione che non sia quella totalmente
trasparente del concetto. Se si', si conserva il "trascendente" nella sua
irriducibilita' all'auto-dispiegarsi della Ragione, e puoi sottrarti alla
morsa dialettica hegeliana; ma allora puoi buttare alle ortiche il principio
della dialettica, perche' tra esso e il "trascendente" c'e' una
contraddizione immediata e *immediabile*. Riducendo Dio a chierichetto della
Ragione, Hegel ha decretato la morte di Dio ben prima di Nietzsche.
(Personalmente glielo attribuisco a suo unico merito).
Immaginiamo che in un newsgroup del .Rinascimento si presentasse un certo
Galileo Galilei affermando di aver scoperto che la matematica può essere
applicata anche alla fisica e promettesse di dimostrare questa cosa
rivoluzionaria attraverso dei casi assolutamente nuovi di applicazione, tu
cosa penseresti se la prima obiezione che gli venisse posta fosse: ".Se mi
vuoi convincere della bontà delle tue affermazioni, devi dirmi in che modo
credi che la matematica possa essere applicata nella descrizione delle
turbolenze dei fluidi, o dei movimenti delle ali degli uccelli!"? Non ti
semprerebbe un po' pretestuosetta una obiezione di questo tipo?

Secondo te, per quale motivo avrei scritto nella mia introduzione:

"Naturalmente, per portare a compimento qualcosa di così imponente come un'analisi
comparata del sapere è necessario l'apporto di una vasta molteplicità di
ricercatori organizzati in scienza e, forse, persino qualche secolo di
tempo.

Pertanto, il presente lavoro non può aspirare ad altro che ad
indicare i termini generali, la direzione di un cammino interdisciplinare
possibile e a mostrare un numero sufficiente di ragioni che rendono un tale
cammino auspicabile, anzi, necessario per l'evoluzione della conoscenza".

In altri termini, il problema delle relazioni del Principio con se stesso
equivale, in teologia, al problema delle relazioni di Dio con sé stesso,
cioè a uno dei problemi più complessi della teologia. Quindi, andiamo con
ordine: PRIMA approfondiamo il problema della logica del Principio in
relazione al mondo esperibile, visto che nemmeno uno dei 'grandi logici' qui
presenti - te compreso - ha dimostrato di sapercisi raccapezzare (tutti,
tranne che il coraggioso Amleto, hanno evitato con cura di sporcarcisi le
mani),

e solo DOPO avremo gli elementi necessari per affrontare il problemi di alta
logica.

Dico bene? Non è forse vero che prima di parlare di calcolo differenziale,
dobbiamo passare per lo studio delle tabelline e di altre operazioni più
semplici?

Quindi: cosa ne pensi della mia idea di numero come ente metafisico e,
quindi, della Fisica come unione degli opposti? .E dell'analogia tra numeri
e concetti? .E dell'idea dialettica di libertà? .E dell'assimilazione dei
miti a "sogni della storia"? .E della singolare concordanza tra i principali
archetipi religiosi con l'idea di una logica ultima del mondo?

Questi sono temi interessanti, almeno per cominciare ad approfondire le
novità, non la distinzione cavillosa tra trascendente e trascendentale o le
disquisizioni inutili sul "trascendente" nella sua irriducibilita'
all'auto-dispiegarsi della Ragione". Per adesso ti basti sapere che il
Principio è trascendente fino al punto da non manifestarsi direttamente in
nessun luogo della manifestazione, ma anche tanto immanente da governare le
fondamenta stesse dell'immanenza. Cosa significa, che si auto-dispiega o che
non si auto-dispiega alla ragione? Questo me lo devi dire tu che sei un
esperto di paroloni ma che, invece, quando si tratta di applicarli agli
aspetti REALI della vita non sai più nemmeno dire "a", come tutti gli altri
'grandi logici' del contorcimento mentale. Possibile che dopo un mese in un
NG di filosofia nessuno ha aperto bocca sulle novità filosofiche REALI che
ho proposto, se non per spaccare i marroni su cavilli? Non riesco proprio a
capirla questa mania psicotica dell'astrazione a tutti i costi. Sarà un mio
limite, ma io non la sopporto, scusa l'incazzatura.



Insomma, se vuoi parlare di applicazione della dialettica al mondo (alla
libertà, amore, fisica, matematica, storia, psicologia, o qualunque altra
cosa VIVA e REALE), io sono disponibile; per i contorcimenti mentali, ti
lascio volentieri discutere con Marco V e affini. D'accordo?



L
Beh, caro Carlo, qui posso aggiungere (prevedendo una tua possibile
argomentazione) che il problema ancora piu' a monte e' la tua "rigorosa
distinzione" tra contraddizione e paradosso.
Che problemi ti dà? Pensi che ogni opposizione semantica sia un paradosso,
anche quando dico che mi chiamo Carlo e poi che NON mi chiamo Carlo? Ci
vorremo porre, o no, il problema di distinguere una opposizione
contraddittoria da una NON contraddittoria? Lo hai capito che finché non si
chiarisce questo aspetto elementare del discorso, la filosofia rimarrà
quello che quasi sempre è, cioè l'arte delle chiacchiere inutili?



Un salutone,



Carlo
Davide Pioggia
2006-09-23 17:21:31 UTC
Permalink
Post by Carlo Pierini
L'essere può concepirsi come una *gerarchia di livelli*
dialetticamente trascendenti.
Ho un problema personale, e ti volevo chiedere se per caso sapresti come
darmi una mano.

Io riesco a buttare giù tutto d'un fiato una cinquantina di pagine di Dirac
o di Feynman senza fare un piega, nel senso che mi sembra di aver capito
cosa c'è scritto, e se cerco di dire con parole mie quel che mi sembra di
aver capito ad un'altro al quale sembra pure di aver capito, filiamo d'amore
e d'accordo, e mente uno parla l'altro fa sì sì con la testa. E se per caso
ad un certo punto uno dei due si fa serio, e aggrotta le sopracciglia, e
comincia a fare no no con la testa, se ne può sempre discutere e nel giro di
dieci minuti ci si dà una sintonizzata e si ricomincia a fare sì sì con la
testa. E' possibile - non lo escludo - che questa sia una folie à deux
(anzi, à trois, se contiamo anche Dirac o Feynman), ma sta di fatto che in
qualche modo misterioso si crea quella sintonia.

Invece se leggo una frase come quella che ho quotato, riesco ad assegnare un
significato alle singole parole, ma la frase per me resta solo una insalata
di parole. E ti dirò di più: molti dei tipi che sono disposti a fare sì sì
con me sui i testi di Dirac e di Feynman, quando leggono certe cose mi
confidano di provare lo stesso senso di vuoto: non arriva mai il momento in
cui ti sembra di aver capito, quando te la sentiresti di provare a ripetere
la cosa con parole tue.

Ora io vorrei cercare di capire: perché accade questo? C'è forse una qualche
incompatibilità fra una certa forma mentale e certe discipline? Voglio dire,
tu conosci delle persone con le quali sui testi come quello che ho quotato
puoi fare il gioco del sì sì con la testa (e dell'eventuale no no da far
diventare un sì sì dopo aver discusso un po' - ma poco)? Sono io che non
sono tagliato per quella roba lì, o è quella roba lì che non si presta a
fare quel gioco che a me piace tanto, quello in cui ci si può illudere di
avere capito e poi si scopre che si è in buona compagnia?
--
Saluti.
D.
AP
2006-09-23 19:44:52 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by Carlo Pierini
L'essere può concepirsi come una *gerarchia di livelli*
dialetticamente trascendenti.
Ho un problema personale, e ti volevo chiedere se per caso sapresti come
darmi una mano.
Io riesco a buttare giù tutto d'un fiato una cinquantina di pagine di Dirac
o di Feynman senza fare un piega, nel senso che mi sembra di aver capito
cosa c'è scritto, e se cerco di dire con parole mie quel che mi sembra di
aver capito ad un'altro al quale sembra pure di aver capito, filiamo d'amore
e d'accordo, e mente uno parla l'altro fa sì sì con la testa. E se per caso
ad un certo punto uno dei due si fa serio, e aggrotta le sopracciglia, e
comincia a fare no no con la testa, se ne può sempre discutere e nel giro di
dieci minuti ci si dà una sintonizzata e si ricomincia a fare sì sì con la
testa. E' possibile - non lo escludo - che questa sia una folie à deux
(anzi, à trois, se contiamo anche Dirac o Feynman), ma sta di fatto che in
qualche modo misterioso si crea quella sintonia.
Invece se leggo una frase come quella che ho quotato, riesco ad assegnare un
significato alle singole parole, ma la frase per me resta solo una insalata
di parole. E ti dirò di più: molti dei tipi che sono disposti a fare sì sì
con me sui i testi di Dirac e di Feynman, quando leggono certe cose mi
confidano di provare lo stesso senso di vuoto: non arriva mai il momento in
cui ti sembra di aver capito, quando te la sentiresti di provare a ripetere
la cosa con parole tue.
Ora io vorrei cercare di capire: perché accade questo? C'è forse una qualche
incompatibilità fra una certa forma mentale e certe discipline? Voglio dire,
tu conosci delle persone con le quali sui testi come quello che ho quotato
puoi fare il gioco del sì sì con la testa (e dell'eventuale no no da far
diventare un sì sì dopo aver discusso un po' - ma poco)? Sono io che non
sono tagliato per quella roba lì, o è quella roba lì che non si presta a
fare quel gioco che a me piace tanto, quello in cui ci si può illudere di
avere capito e poi si scopre che si è in buona compagnia?
Ecco, anche a me a volte accade, ma capita anche se leggo Feynman :-) La
cosa mi incuriosisce, perché ritengo che il corretto inquadramento dei
termini nel più ampio contesto del linguaggio sviluppato dalla filosofia,
dalla fisica, etc. abbia una rilevanza fondamentale. Basti pensare a cosa si
intenda per tempo o per osservatore in fisica, concetti assai diversi da
quelli che assumono nella lingua italiana.
Se ti va, ti vorrei sottoporre ad un test. Vorrei sapere cosa ti suggerisce
questa frase della Robinson che parla di teoria economica:
(ti do due nomi per orientarti: uno è Keynes, l'altro è Hicks):
"Una curiosa caratteristica che si trova spesso nell'esposizione di questi
modelli pseudo-causali è che l'equilibrio si colloca nel futuro".
Ti da la stessa sensazione della frase che hai riportato all'inizio del tuo
post (che ti sembra, come a me del resto, sfuggente)? Oppure è chiaro ciò
che vuole dire? E se è chiaro, a cosa si riferisce?
Non è polemica, voglio solo capire (io i test me li sono auto-somministrati
con le soluzioni fornitemi da qualche conoscente) se la mancanza del
contesto lascia quel senso di "sfuggente" in ciò che leggiamo e che non
riusciamo a comprendere.
Post by Davide Pioggia
--
Saluti.
D.
Davide Pioggia
2006-09-24 01:47:14 UTC
Permalink
Vorrei sapere cosa ti suggerisce questa frase della Robinson che parla di
teoria economica: (ti do due nomi per orientarti: uno è Keynes, l'altro è
"Una curiosa caratteristica che si trova spesso nell'esposizione di questi
modelli pseudo-causali è che l'equilibrio si colloca nel futuro".
Innnanzi tutto succede il miracolo: mi sembra di aver capito. Poi magari fra
poco salterà fuori che non ho capito un accidente. Male? No, benissimo!
Perché quando cercherò di dire quella cosa con parole mie, tu mi farai
notare che non ho detto la stessa cosa della Robinson, e mi dirai perché non
ho detto la stessa cosa. Allora io avrò l'impressione di aver capito che
cosa non avevo capito, e dopo un paio di aggiustamenti ci dovremmo arrivare
(si spera :-) ).

Dunque, a me sembra di aver capito questo:

1) ci sono dei modelli pseudo-causali, cioè dei modelli che non sono
perfettamente deterministici, ma descrivono degli oggetti che hanno un
margine di imprevedibilità (poiché mi dici che è roba economica, immagino
che gli elementi non perfettamente deterministici siano gli agenti
economici, imprenditori e consumatori, i quali hanno delle aspettative,
eccetera);

2) questi modelli descrivono la dinamica del sistema cercando di individuare
dei punti di equilibrio asintotici; in altri termini questi modelli
rinunciano e descrivere i dettagli delle traiettorie dinamiche delle
variabili, e ripiegano sulla possibilità di dire "a cosa tende" una certa
traiettoria, qual è il punto di equilibrio stabile che, una volta raggiunto
(se viene raggiunto), diventa anche statico;

3) la Robinson osserva che è "curioso" che tutti quei modelli debbano
cacciare quel punto di equilibrio nel futuro, e questo modo di rimarcare
questo tratto ricorrente a me sembra essere il preludio di uno sviluppo del
discorso nel quale la Robinson ci farà vedere che non è un caso che tutti
quei modelli pongano nel futuro quel punto di equilibrio, e che lei ce lo
può spiegare perché quei modelli sono tutti fatti così (forse perché hanno a
che vedere con le aspettative degli agenti economici? boh!)

4) dunque ora mi aspetto che la Robinson "sveli il mistero".

Ecco, questo è quello che mi sembra di avere capito.

Che dici? Acqua, fuochino, fuoco? :-)
Ti da la stessa sensazione della frase che hai riportato all'inizio del
tuo post (che ti sembra, come a me del resto, sfuggente)?
Oppure è chiaro ciò che vuole dire?
La certezza di aver capito non la possiamo avere mai. Però bisogna che
almeno scatti qualcosa, bisogna che si abbia l'impressione di aver capito,
per poter cercare di dire con parole proprie ciò che si ritiene di aver
capito, perché è così che poi si avvia quel processo di sintonizzazione che
ti permette di dialogare con gli altri facendo sì sì o no no con la testa.
Il problema è quando con la testa non potresti fare altro che boh boh,
perché non è facile fare boh boh con la testa. Come si fa boh boh? Boh! :-)
--
Saluti.
D.
qf
2006-09-24 07:18:43 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
perché non è facile fare boh boh con la testa. Come si fa boh boh? Boh! :-)
Si solleva leggermente il mento portandolo in avanti e piegando all'indietro
la testa, ma solo di poco, mentre le labbra si stringono e si incurvano
verso il basso ai lati e le sopracciglia si sollevano corrugando appena la
fronte, così che danno all'orbita e all'occhio la rotondità della perplessa
e un po' ebete attesa.
Il leggero sollevarsi del mento esprime ciò che graficamente si indicherebbe
con '?', che è già una componente essenziale sebbene implicita di "boh!"
La bocca, così atteggiata, ben poco altro potrebbe dire poi, aprendosi quasi
impercettibilmente, tranne "boh!", quasi a rompere una bolla d'aria o a
boccheggiare a mo' di pesce, mostrando così la coerenza della postura del
capo in tal modo configurata.
Per quanto concerne il punto esclamativo, essenziale per la forza
dell'espressione, è il piegamento delle labbra con leggero irrigidimento dei
muscoli delle guance a esprimerlo. Da notare infatti che, mentre si solleva
leggermete il capo, si abbassano appunto le estremità delle labbra, con un
moto cioè opposto al primo, e quindi chiaramente esclamativo rispetto
all'interrogativo del precedente.

Sarebbe interessante capire se questo rituale espressivo sia spontaneo
oppure appreso.
Nel primo caso la filogenesi parlerebbe di innumerevoli perplessità
(innumerevoli "boh!") succedutesi nella storia dell'umanità, fino a formare
lamarckianamente una struttura morfo-funzionale espressamente addetta al
"boh!"
Nel secondo caso si dovrebbe pensare, in sede ontogenetica, a un precoce
quanto forse inconscio addestramento al dubbio cartesiano. Se infatti si
osserva il ritratto di Descartes di Frans Hals si nota un accenno preciso
proprio alla postura qui descritta, che sembrerebbe preludere persino a un
francesissimo "merde".

Sono stato utile alla discussione? :-)

Ciao.
qf
Davide Pioggia
2006-09-24 08:58:02 UTC
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Post by qf
Sono stato utile alla discussione? :-)
Boh :-) Per fare quella roba che dici tu bisogna tendere la testa e tutta la
faccia, e il raggiungimento della pura espressione del boh si ottiene solo
al termine di questa progressiva tensione. Invece noi vorremmo poter fare
boh boh boh boh mentre l'altro parla, come si fa sì sì o no no.
Ma forse è solo questione di allenamento ;-)
--
Saluti.
D.
AP
2006-09-24 12:46:23 UTC
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Post by Davide Pioggia
Vorrei sapere cosa ti suggerisce questa frase della Robinson che parla di
teoria economica: (ti do due nomi per orientarti: uno è Keynes, l'altro è
"Una curiosa caratteristica che si trova spesso nell'esposizione di questi
modelli pseudo-causali è che l'equilibrio si colloca nel futuro".
Innnanzi tutto succede il miracolo: mi sembra di aver capito. Poi magari fra
poco salterà fuori che non ho capito un accidente. Male? No, benissimo!
Perché quando cercherò di dire quella cosa con parole mie, tu mi farai
notare che non ho detto la stessa cosa della Robinson, e mi dirai perché non
ho detto la stessa cosa. Allora io avrò l'impressione di aver capito che
cosa non avevo capito, e dopo un paio di aggiustamenti ci dovremmo arrivare
(si spera :-) ).
1) ci sono dei modelli pseudo-causali, cioè dei modelli che non sono
perfettamente deterministici, ma descrivono degli oggetti che hanno un
margine di imprevedibilità (poiché mi dici che è roba economica, immagino
che gli elementi non perfettamente deterministici siano gli agenti
economici, imprenditori e consumatori, i quali hanno delle aspettative,
eccetera);
2) questi modelli descrivono la dinamica del sistema cercando di individuare
dei punti di equilibrio asintotici; in altri termini questi modelli
rinunciano e descrivere i dettagli delle traiettorie dinamiche delle
variabili, e ripiegano sulla possibilità di dire "a cosa tende" una certa
traiettoria, qual è il punto di equilibrio stabile che, una volta raggiunto
(se viene raggiunto), diventa anche statico;
3) la Robinson osserva che è "curioso" che tutti quei modelli debbano
cacciare quel punto di equilibrio nel futuro, e questo modo di rimarcare
questo tratto ricorrente a me sembra essere il preludio di uno sviluppo del
discorso nel quale la Robinson ci farà vedere che non è un caso che tutti
quei modelli pongano nel futuro quel punto di equilibrio, e che lei ce lo
può spiegare perché quei modelli sono tutti fatti così (forse perché hanno a
che vedere con le aspettative degli agenti economici? boh!)
4) dunque ora mi aspetto che la Robinson "sveli il mistero".
Ecco, questo è quello che mi sembra di avere capito.
Che dici? Acqua, fuochino, fuoco? :-)
Ti da la stessa sensazione della frase che hai riportato all'inizio del
tuo post (che ti sembra, come a me del resto, sfuggente)?
Oppure è chiaro ciò che vuole dire?
La certezza di aver capito non la possiamo avere mai. Però bisogna che
almeno scatti qualcosa, bisogna che si abbia l'impressione di aver capito,
per poter cercare di dire con parole proprie ciò che si ritiene di aver
capito, perché è così che poi si avvia quel processo di sintonizzazione che
ti permette di dialogare con gli altri facendo sì sì o no no con la testa.
Il problema è quando con la testa non potresti fare altro che boh boh,
perché non è facile fare boh boh con la testa. Come si fa boh boh? Boh! :-)
--
Saluti.
D.
Causali, non casuali. Keynes utilizzò un modello che si sviluppava secondo
una sequenza causale. Inoltre, egli separò nettamente le determinanti del
risparmio da quelle dell'investimento, mostrando come l'esistenza di
equilibri di pieno impiego delle risorse fosse raggiungibile solo in
circostanze, questo sì ma non nel senso che tu intendevi, casuali. Quindi,
l'equilibrio come lo intendevano gli economisti ortodossi sarebbe un'utopia.
Il restatement hicksiano adatta le relazioni causali keynesiane ad una
struttura arbitraria di ipotesi, in maniera da condurre ai risultati che una
volta si ritenevano stabiliti dall'analisi dell'equilibrio. In altri
termini, Keynes demolisce l'idea di equilibrio di piena occupazione, i
marginalisti tentano di dimostrare che le sue idee, assumendo opportune
ipotesi come quella che lega la quantità di moneta con il livello di salari,
si ritorna all'idea di equilibrio.
Ciò detto, ti parlo dei miei personali esperimenti. Ho fatto leggere due
articoli sulla teoria del valore, una di stampo marginalista e quella di
Sraffa, a un fisico, chiedendogli poi di illustrarmele. Siccome per
esprimersi i due (non Sraffa, ma i suoi esegeti) utilizzavano un linguaggio
che ben conosceva il mio conoscente (ovvero la matematica) mi ha snocciolato
la dimostrazione di Samuelson a occhi chiusi. Idem per quanto riguarda il
modello di Sraffa, che impiega il teorema di Perron-Frobenius. Ma quando gli
ho chiesto quali rilevanti differenze esistevano sul piano normativo (mi
sono guardato bene dal fornirgli commenti) è cascato.
Io ho fatto il contrario con la relatività, cascando come un perone dalla
pianta. Ovvio che quando qualcuno mi ha "spiegato" ciò che rimaneva in
ombra, ho afferrato qualcosa in più.
Morale...
1) Esiste una forte tentazione a considerare le teorie altamente
formalizzate come meno accessibili di quelle che impiegano, invece, il
linguaggio;
2) In filosofia occorre conoscere adeguatamente i concetti che vengono
impiegati: i termini/concetti di "essere", trascendenza e dialettica
(dialetticamente trascendenti riferito alla gerarchia di livelli) hanno un
preciso significato (peraltro, possono avere più significati anche in
funzione del contesto cui si riferiscono): o lo si conosce, oppure il
significato sfugge.
3) Non entro nel merito delle "gerarchie di livelli dialetticamente
trascendenti", perché senza conoscere il contesto complessivo è difficile
comprenderne il senso, soprattutto per un profano come il sottoscritto :-).
Tuttavia egli usa il termine trascendente e non trascendentale, il quale,
nella filosofica post-kantiana, ha un significato un po' diverso. Credo che
il suo lavoro vada nella direzione di dimostrare l'esistenza di principi che
"vanno al di là", che trascendono (e qui verrebbe meno la necessità di
distinguere trascendente da trascendetale) in grado di strutturare livelli
gerarchici inferiori (non nel senso che valgono meno, ma che sono causati
dai principi stessi).
Ho azzardato un'interpretazione, magari sbagliata, che mi è costata fatica.
La mancanza della conoscenza del contesto generale (la mia cultura
filosofica è abbastanza limitata) riduce la comprensibilità di certe
proposizioni, almeno per me.
Gli scientisti potranno poi replicare che questo è un atto di fede, in un
certo senso. Speculazione metafisica non provabile. Ma non meno della teoria
della relatività moderna (e in generale di tutte le teorie scientifiche non
banali), che si fonda sui postulati relativi alla luce (velocità e non
addirività): saranno veri? E chi lo sa!? Il postulato è l'equivalente del
dogma in teologia :-)
Davide Pioggia
2006-09-24 14:01:52 UTC
Permalink
Ma quando gli ho chiesto quali rilevanti differenze
esistevano sul piano normativo (mi sono guardato bene dal fornirgli
commenti) è cascato. Io ho fatto il contrario con la relatività, cascando
come un perone dalla pianta.
Se "cascare" vuol dire rispondere ad una domanda in modo "sbagliato",
allora non ci siamo capiti, perché io non sto dicendo che ciò che deve
accadere è che tutti capiscano tutto quello che leggano e sappiano trarne
tutte le implicazioni.

Il punto è che di fronte a certi discorsi, se qualcuno ti chiede che cosa
dicono quei discorsi e cosa implicano, tu credi di aver capito che cosa
dicono e quindi - ragionandoci un po' - ti sembra anche di poterti azzardare
a trarre delle conclusioni.

Invece è tutto un altro paio di maniche se di fronte ad un certo discorso
dentro di te non si accende nessuna associazione, non si produce alcun
significato, come quando leggi una lingua straniera e trovi sul vocabolario
tutte le singole parole, ma poi non riesci a costruire una unità semantica e
sintattica. Non capisci cosa c'è scritto, né credi di capire cosa c'è
scritto: resti fermo, non puoi neanche cominciare ad interagire con gli
altri.

Ecco, se io leggo Hegel trovo tutte le singole parole sul dizionario, ma
tutte le frasi cruciali mi lasciano basito: non riesco ad attribuire ad esse
un significato. Certo, ci sono delle frasi che capisco, ma non sono quelle
cruciali. Anzi, a dire la verità di solito quelle che capisco sono ovvie,
per cui mi viene da pensare che in quel testo ci siano molte cose nuove e
molte cose comprensibili, ma le cose nuove non sono comprensibili,
e le cose comprensibili non sono nuove.

Cercavo solo di capire da cosa possa dipendere questa "paralisi". Non ci
arrivo io? C'è qualcosa che avrei dovuto leggere prima e che non
ho letto? Voglio dire: c'è un elenco di libri che si possano leggere a
partire da un livello culturale medio, tali che dopo aver letto quelli si
possa leggere Hegel avendo l'impressione di capire chiaramente il
significato di ogni frase, anche se poi magari quella impressione in alcuni
casi non sarà confermata dal confronto con altri? Oppure in certi campi
bisogna rassegnarsi a convivere con una certo margine di ambiguità,
dicendosi ogni tanto "chissà cosa vorrà dire" e continuando a leggere come
se niente fosse?

Da questo punto di vista per il nostro "esperimento" è riuscito: io ho letto
una cosa, ho creduto di aver capito, mi sono sentito in grado di ripeterla
con parole mie, tu mia hai corretto, adesso mi sembra di aver capito meglio,
per cui mi sentirei di provare a ripetere con parole mie tutta la faccenda,
e così via, finché nel giro di tre o quattro "interazioni" si potrebbe
sperare nel raggiungimento di una certa stabilità intersoggettiva (il che
non esclude che si viva tutti in un equivoco, ma almeno l'equivoco si
stabilizza). Il problema è quando non si mette in moto nulla, quando questa
"interazione" non è possibile, quando uno parla e l'altro resta a bocca
aperta, a fare boh con la faccia.
--
Saluti.
D.
Vito
2006-09-24 17:11:05 UTC
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Giovane economista, curioso lettore di filosofia e logica, oltre che
delle vostre conversazioni, vi invita alla lettura di questo parallelo
fra le teorie Keynesiane ed Einsteiniane.... il cui autore è James
Galbraith..
http://www.virtualschool.edu/mon/Economics/GalbraithKeynesAndEinstein.html
.

A presto,
Vito
AP
2006-09-24 21:29:14 UTC
Permalink
Post by Vito
Giovane economista, curioso lettore di filosofia e logica, oltre che
delle vostre conversazioni, vi invita alla lettura di questo parallelo
fra le teorie Keynesiane ed Einsteiniane.... il cui autore è James
Galbraith..
http://www.virtualschool.edu/mon/Economics/GalbraithKeynesAndEinstein.html
.
A presto,
Vito
Premesso che di formazione sono un'economista e non un fisico, trovo le
considerazioni di Galbraith un po' forzate, pur conoscendo il parallelismo
fatto da Keynes tra gli atteggiamenti dei marginalisti che agirebbero come
geometri euclidei in un mondo non euclideo. La frase è provocatoria, dato
che le teorie dell'equilibrio economico generale non contengono alcuni
elementi cruciali, secondo Keynes, per spiegare il funzionamento di un
sistema economico : in particolare, la separazione tra decisioni di
investimento e risparmio, la teoria della moneta (funzionale alla
precedente) e il ruolo dell'incertezza non ancora incorporata nel pensiero
ortodosso. L'efficienza marginale del capitale ha, per esempio, un
significato assolutamente diverso da quello di produttività marginale.
Vi è però un fatto importante da rilevare. Scrive Einstein a proposito della
relatività generale, ricordando la precedente teoria della relatività
speciale o ristretta: "La teoria della relatività speciale si discosta
quindi dalla meccanica classica non per il postulato di relatività, ma
soltanto per il postulato della costanza della velocità della luce nel
vuoto, dal quale, in congiunzione con il principio della relatività
speciale, discendono in modo noto la relatività della simultaneità, come
pure la trasformazione di Lorentz e le leggi con questa associate sul
comportamento in moto dei corpi rigidi e degli orologi".
Poiché le leggi fisice valgono per ogni riferimento inerziale, sparisce, ad
esempio, la nozione di tempo assoluto e, impiegando le trasformate di
Lorentz, in due sistemi di rif. inerziale che viaggiano a vel. relativa v,
la relazione tra i tempi sarà data da t'=t/sqrt(1-v^2/c^2). Limitiamoci alla
RRistr.. Ecco, Einstein introduce postulati sulla luce che, semmai dovessero
un giorno cadere, si trascinerebbero dietro il tutto il costrutto teorico. E
con questo chiedo scusa ai fisici che mi leggono, per la grossolanità.
C = f(Y) f'>0 e f''<0
Y = C + S
non sono forse postulati? Qui sta la similitudine: l'inserimento di
postulati che, tanto per Popper quanto per Hutchison (economista di
Cambridge innamorato dell'epistemologia popperiana) devono essere
assoggettati a falsificazione.
Non entro nel merito della fisica, perché non la conosco, ma mi sembra che
una serie di indizi depongano a favore dell'intuizione di Einstein, sia con
rispetto a c che agli effetti della gravità, per i quali, come ricorda
Galbraith, l'universo dovrebbe essere rappresentato da una geometria
"curva". Indizi che depongono a favore, ovvero esperimenti che sembrano
confermare l'intuizione di Einstein (ovvio che non è mai detta l'ultima
parola).
In economia, invece, assistiamo ad un annoso dibattito con evidenze
empiriche a favore o pro Keynes, a seconda di chi le produce. Scriveva
Napoleoni che la struttura logica di una teoria ci fornisce un criterio se
accettarla o no. Ma quando ci troviamo di fronte a teorie coerenti ma con
evidenze contrastanti il problema è grande. Forse, come sosteneva Dobb, la
scelta è compiuta in base all'ideologia, scardinando il paradigma
robinsoniano di neutralità?
Einstein non soffre di simili problemi, ma Keynes sì.
La differenza sostanziale, poi, è un'altra. L'introduzione dei postulati
sulla luce o le considerazioni sugli effetti gravitazionali integrano la
precedente visione della realtà.
Nel mondo dell'economia le differenze tra l'approccio marginalista e quello
keynesiano sono nettissime, soprattutto sul piano positivo. Sono concezioni
assolutamente diverse. Il paragone che si può fare con la fisica è
riferibile a Galileo e a tutti coloro che hanno contribuito a scardinare il
geocentrismo aristotelico-tolemaico. La nuova relatività matura poi in un
clima di grande fermento, facendo prendere corpo ad una serie di idee e
fatti che non sono ancora sintetizzati in modo organico. Certo, rompe
equilibri , ma alla fine diventa l'approssimazione migliore della realtà che
si propone di indagare.
Keynes, al contrario, ... bè la storia la sappiamo...
Riguardo la mail più sotto, ci sono considerazioni su Sraffa, ma non la più
importante: il suo modello di equilibrio, una volta risolto il problema
della merce tipo, conduce ad una distribuzione del reddito indipendente dal
sistema dei prezzi. Esattamente il contrario di quanto ci dicono i
marginalisti.
Circa la questione del tempo logico e del tempo storico, la Robinson
propende per il fatto che nel tempo storico quello di equilirbio è un
concetto ... come dire ... ridicolo.
L
2006-09-25 08:17:32 UTC
Permalink
Post by AP
"La teoria della relatività speciale si discosta
quindi dalla meccanica classica non per il postulato di relatività, ma
soltanto per il postulato della costanza della velocità della luce nel
vuoto, dal quale, in congiunzione con il principio della relatività
speciale, discendono in modo noto la relatività della simultaneità, come
pure la trasformazione di Lorentz e le leggi con questa associate sul
comportamento in moto dei corpi rigidi e degli orologi".
Poiché le leggi fisice valgono per ogni riferimento inerziale, sparisce, ad
esempio, la nozione di tempo assoluto e, impiegando le trasformate di
Lorentz, in due sistemi di rif. inerziale che viaggiano a vel. relativa v,
la relazione tra i tempi sarà data da t'=t/sqrt(1-v^2/c^2). Limitiamoci alla
RRistr.. Ecco, Einstein introduce postulati sulla luce che, semmai dovessero
un giorno cadere, si trascinerebbero dietro il tutto il costrutto teorico. E
con questo chiedo scusa ai fisici che mi leggono, per la grossolanità.
C = f(Y) f'>0 e f''<0
Y = C + S
non sono forse postulati? Qui sta la similitudine: l'inserimento di
postulati che, tanto per Popper quanto per Hutchison (economista di
Cambridge innamorato dell'epistemologia popperiana) devono essere
assoggettati a falsificazione.
Non entro nel merito della fisica, perché non la conosco, ma mi sembra che
una serie di indizi depongano a favore dell'intuizione di Einstein, sia con
rispetto a c che agli effetti della gravità, per i quali, come ricorda
Galbraith, l'universo dovrebbe essere rappresentato da una geometria
"curva". Indizi che depongono a favore, ovvero esperimenti che sembrano
confermare l'intuizione di Einstein (ovvio che non è mai detta l'ultima
parola).
Brevemente:
La teoria della relatività generale contiene un paradosso:

Chiamarsi giustamente della relatività e spostarsi da un piano relativo
a uno generale.

E' l'utopia di Einstein quella di "ein stein" (una pietra sola di
paragone) della scoperta della key universale, del princio universale
(delle leggi di unificazione a cui lavorò nei suoi ultimi anni di vita).

Ma come si può andare in bottom up e dire di essere giunti
all'universale?

Sempre dal particolare al generale ci muoveremo! (al più necessiterà
l'estrapolazione, rinviare al futuro l'intuizione, il punto di
stabilizzazione, il caratttere autocorrettivo della scienza, il
principio non potrà essere totemicizzato, qui e ora).

Sempre dovremmo apprendere la lezione di Cauchy: "le leggi sono relative
ad un contesto!".

Quindi è l'utopia -quella della scoperta di un principio universale, o
del "caso superpuro" da prendere a metro di paragone (di Popper: vedasi
"Logica della scoperta scientifica")- di poter conoscere Dio senza una
illuminazione (la via atea ad Omega).

Viceversa -a me risulta- che ci sia la necessità (per l'eureka di un
"principio sempre valido" quindi più che uni-versale, cioè postulabile
senza paura che possa essere mai contraddetto) di una azione bi-iettiva:

Da noi a Dio (amore alla verità) e da Dio a noi(misericordia della
nostra ignoranza).

Nello specifico la "costanza di c" è nel _nostro_ uni-verso (quando
viaggiamo a v<c), e ci sono trattazioni matematiche(Lorentz) e prove
sperimentali che lo dimostrano, togliendo il carattere totemico di
adorazione alla veridicità assoluta del "principio della costanza di c"
e restituendo l'adorazione dell'*ineffabilità oggettivizzabile* a Dio e
al suo manifestarsi nella imprendibilità assoluta in una misura
definitiva di *ogni cosa che è*.

Saluti,

L
Carlo Pierini
2006-09-25 09:28:04 UTC
Permalink
"L"
Post by L
E' l'utopia di Einstein quella di "ein stein" (una pietra sola di
paragone) della scoperta della key universale, del princio universale
(delle leggi di unificazione a cui lavorò nei suoi ultimi anni di vita).
Ma come si può andare in bottom up e dire di essere giunti
all'universale?
Sempre dal particolare al generale ci muoveremo! (al più necessiterà
l'estrapolazione, rinviare al futuro l'intuizione, il punto di
stabilizzazione, il caratttere autocorrettivo della scienza, il
principio non potrà essere totemicizzato, qui e ora).
Sempre dovremmo apprendere la lezione di Cauchy: "le leggi sono relative
ad un contesto!".
Quindi è l'utopia -quella della scoperta di un principio universale, o
del "caso superpuro" da prendere a metro di paragone (di Popper: vedasi
"Logica della scoperta scientifica")- di poter conoscere Dio senza una
illuminazione (la via atea ad Omega).
C
Le tue sono affermazioni universali, oppure ammettono un certo grado di
relatività? :-)
Riguardo a Popper non ho capito una cosa: egli sostiene che la conoscenza è
DOXA (opinione) non EPISTEME (verità), però non ci ha spiegato che
differenza c'è, per esempio, tra la doxa tolemaica e la doxa kepleriana.
Forse la differenza sta nel fatto che la seconda è MENO 'doxa' della prima ?
E su quale scala, se non su quella dell'episteme, si può misurare una tale
distinzione? Tu me lo sai dire? Se me lo spieghi tu, posso anche cominciare
a dubitare sulla possibilità di un principio ultimo di verità, altrimenti
non mi pare che ci siano motivi per non continuare la mia ricerca.

L
Post by L
Viceversa -a me risulta- che ci sia la necessità (per l'eureka di un
"principio sempre valido" quindi più che uni-versale, cioè postulabile
Da noi a Dio (amore alla verità) e da Dio a noi (misericordia della
nostra ignoranza).
C
...E il Cristo-Logos, l'incarnazione del Principio divino, dove lo
mettiamo?

D
Post by L
Nello specifico la "costanza di c" è nel _nostro_ uni-verso (quando
viaggiamo a v<c), e ci sono trattazioni matematiche(Lorentz) e prove
sperimentali che lo dimostrano, togliendo il carattere totemico di
adorazione alla veridicità assoluta del "principio della costanza di c"
e restituendo l'adorazione dell'*ineffabilità oggettivizzabile* a Dio e
al suo manifestarsi nella imprendibilità assoluta in una misura
definitiva di *ogni cosa che è*.
C
Vuoi dire che l'ineffabilità del Principio divino è una verità assoluta? E
perché non dovrebbe esserlo, invece, la sua esprimibilità?

C.P.
Carlo Pierini
2006-09-24 10:16:58 UTC
Permalink
"Davide Pioggia"
Post by Davide Pioggia
Post by Carlo Pierini
L'essere può concepirsi come una *gerarchia di livelli*
dialetticamente trascendenti.
Ho un problema personale, e ti volevo chiedere se per caso sapresti come
darmi una mano....
...se leggo una frase come quella che ho quotato, riesco ad assegnare un
significato alle singole parole, ma la frase per me resta solo una insalata
di parole. Sono io che non
sono tagliato per quella roba lì, o è quella roba lì che non si presta a
fare quel gioco che a me piace tanto, quello in cui ci si può illudere di
avere capito e poi si scopre che si è in buona compagnia?
Io invece ho un altro problema: quando mi presento in un NG trovo sempre una
maggioranza di gente come te che ignora il 99,9 per cento di quello che
dico, ma che poi prodiga intere pagine a vivisezionare due o tre parole quà
e là e si finisce per parlare solo di logica formale.Sono io che non sono
tagliato per quella roba lì, o è quella roba lì che non si presta a fare
quel gioco che a me piace tanto, quello in cui ci si può illudere di avere
capito e poi si scopre che si è in buona compagnia?

Ciao,
C.P.
Carlo Pierini
2006-09-23 16:36:38 UTC
Permalink
Questa è la risposta buona.

"Loris Dalla Rosa"
Caro Carlo, anzitutto benvenuto anche in ICFM. ...
Passati gia' 10 anni? Accidenti, mi sembrava di meno..!
C

Grazie, Loris. ...Eh beh, già comincio a vedere qualche capello bianco, e
tu?



L
======= da ICF ============
Post by Carlo Pierini
C
Un principio filosofico che sia, nello stesso tempo, etico, logico,
ermeneutico, fisico, metafisico, ecc. non può essere che un principio,
trascendente, proprio come Dio
L
He he, caro Carlo, devo darti atto che con gli anni la tua dialettica si e'
irrobustita. Tuttavia c'e' ancora qualche problema nel distinguere
"trascendente" e "trascendentale".
Come disse Laplace a Napoleone, "Non ho avuto bisogno di una tale ipotesi",
cioè di una tale distinzione, o almeno non nel senso inteso da Kant.
L'essere può concepirsi come una *gerarchia di livelli* dialetticamente
trascendenti. Nel senso più generale possiamo contemplare tre livelli:
quello materiale-corporale, quello mentale-psico-spirituale e quello dei
principi metafisici ultimi che sovrasta e, nello stesso tempo, fonda gli
altri due
Per non dire delle trappole
hegelo-dialettiche, davvero micidiali a prenderle sul serio. Puo', infatti,
un "principio trascendente" sottrarsi al principio fondamentale della
dialettica? Se no, la "trascendenza" del tuo Dio non e' che il modo
rappresentativo di cogliere cio' che la filosofia coglie in modo
speculativo, risolvendo il "trascendente" come momento dello spirito
assoluto, privo di qualsiasi mediazione che non sia quella totalmente
trasparente del concetto. Se si', si conserva il "trascendente" nella sua
irriducibilita' all'auto-dispiegarsi della Ragione, e puoi sottrarti alla
morsa dialettica hegeliana; ma allora puoi buttare alle ortiche il principio
della dialettica, perche' tra esso e il "trascendente" c'e' una
contraddizione immediata e *immediabile*. Riducendo Dio a chierichetto della
Ragione, Hegel ha decretato la morte di Dio ben prima di Nietzsche.
(Personalmente glielo attribuisco a suo unico merito).
Immaginiamo che in un newsgroup del .Rinascimento si presentasse un certo
Galileo Galilei affermando di aver scoperto che la matematica può essere
applicata anche alla fisica e promettesse di dimostrare questa cosa
rivoluzionaria attraverso dei casi assolutamente nuovi di applicazione, tu
cosa penseresti se la prima obiezione che gli venisse posta fosse: ".Se mi
vuoi convincere della bontà delle tue affermazioni, devi dirmi in che modo
credi che la matematica possa essere applicata nella descrizione delle
turbolenze dei fluidi, o dei movimenti delle ali degli uccelli!"? Non ti
semprerebbe un po' pretestuosetta una obiezione di questo tipo?

Secondo te, per quale motivo avrei scritto nella mia introduzione:

"Naturalmente, per portare a compimento qualcosa di così imponente come un'analisi
comparata del sapere è necessario l'apporto di una vasta molteplicità di
ricercatori organizzati in scienza e, forse, persino qualche secolo di
tempo.

Pertanto, il presente lavoro non può aspirare ad altro che ad
indicare i termini generali, la direzione di un cammino interdisciplinare
possibile e a mostrare un numero sufficiente di ragioni che rendono un tale
cammino auspicabile, anzi, necessario per l'evoluzione della conoscenza".

In altri termini, il problema delle relazioni del Principio con se stesso
equivale, in teologia, al problema delle relazioni di Dio con sé stesso,
cioè a uno dei problemi più complessi della teologia. Quindi, andiamo con
ordine: PRIMA approfondiamo il problema della logica del Principio in
relazione al mondo esperibile, visto che nemmeno uno dei 'grandi logici' qui
presenti - te compreso - ha dimostrato di sapercisi raccapezzare (tutti,
tranne che il coraggioso Amleto, hanno evitato con cura di sporcarcisi le
mani),

e solo DOPO avremo gli elementi necessari per affrontare il problemi di alta
logica.

Dico bene? Non è forse vero che prima di parlare di calcolo differenziale,
dobbiamo passare per lo studio delle tabelline e di altre operazioni più
semplici?

Quindi: cosa ne pensi della mia idea di numero come ente metafisico e,
quindi, della Fisica come unione degli opposti? .E dell'analogia tra numeri
e concetti? .E dell'idea dialettica di libertà? .E dell'assimilazione dei
miti a "sogni della storia"? .E della singolare concordanza tra i principali
archetipi religiosi con l'idea di una logica ultima del mondo?

Questi sono temi interessanti, almeno per cominciare ad approfondire le
novità, non la distinzione cavillosa tra trascendente e trascendentale o le
disquisizioni inutili sul "trascendente" nella sua irriducibilita'
all'auto-dispiegarsi della Ragione". Per adesso ti basti sapere che il
Principio è trascendente fino al punto da non manifestarsi direttamente in
nessun luogo della manifestazione, ma anche tanto immanente da governare le
fondamenta stesse dell'immanenza. Cosa significa, che si auto-dispiega o che
non si auto-dispiega alla ragione? Questo me lo devi dire tu che sei un
esperto di paroloni ma che, invece, quando si tratta di applicarli agli
aspetti REALI della vita non sai più nemmeno dire "a", come tutti gli altri
'grandi logici' del contorcimento mentale. Possibile che dopo un mese in un
NG di filosofia nessuno ha aperto bocca sulle novità filosofiche REALI che
ho proposto, se non per spaccare i marroni su cavilli? Non riesco proprio a
capirla questa mania psicotica dell'astrazione a tutti i costi. Sarà un mio
limite, ma io non la sopporto, scusa l'incazzatura.



Insomma, se vuoi parlare di applicazione della dialettica al mondo (alla
libertà, amore, fisica, matematica, storia, psicologia, o qualunque altra
cosa VIVA e REALE), io sono disponibile; per i contorcimenti mentali, ti
lascio volentieri discutere con Marco V e affini. D'accordo?



L
Beh, caro Carlo, qui posso aggiungere (prevedendo una tua possibile
argomentazione) che il problema ancora piu' a monte e' la tua "rigorosa
distinzione" tra contraddizione e paradosso.
Che problemi ti dà? Pensi che ogni opposizione semantica sia un paradosso,
anche quando dico che mi chiamo Carlo e poi che NON mi chiamo Carlo? Ci
vorremo porre, o no, il problema di distinguere una opposizione
contraddittoria da una NON contraddittoria? Lo hai capito che finché non si
chiarisce questo aspetto elementare del discorso, la filosofia rimarrà
quello che quasi sempre è, cioè l'arte delle chiacchiere inutili?



Un salutone,



Carlo
Loris Dalla Rosa
2006-09-23 23:04:06 UTC
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Post by Carlo Pierini
Questa è la risposta buona.
Si', nel senso che e' quella completa. Per il resto vediamo se e' cosi'
"buona":-))
Post by Carlo Pierini
Grazie, Loris. ...Eh beh, già comincio a vedere qualche capello bianco, e
tu?
Beh, qualcuno anch'io... pero' non cominciamo a confondere eh?! A te bianchi
li ha fatti venire la logica dialettica, a me quella formale, sia
chiaro!:-)).
Ok, bando alle ciance e accolgo il tuo invito ad entrare nel merito di
alcune tue affermazioni e domande.
Post by Carlo Pierini
Come disse Laplace a Napoleone, "Non ho avuto bisogno di una tale
ipotesi", cioè di una tale distinzione, o almeno non nel senso inteso da
Kant. L'essere può concepirsi come una *gerarchia di livelli*
dialetticamente trascendenti.
Lascio perdere, per ora, questa questione che coinvolge l'accezione
hegeliana della dialettica; perche' l'ho esposta nel precedente post come
obiezione (che con tutta evidenza non hai digerito) al tuo modo di concepire
il rapporto di "trascendenza". Vengo a qualcosa di meno "cavilloso", come
dici tu.
Post by Carlo Pierini
"Naturalmente, per portare a compimento qualcosa di così imponente come
un'analisi comparata del sapere è necessario l'apporto di una vasta
molteplicità di ricercatori organizzati in scienza e, forse, persino
qualche secolo di tempo.
Secondo me il motivo consiste nell'aver fatto tuo quell'aggettivo
("promissorio") con cui Eccles ironizzava sul materialismo. In icf l'hai
citato tu, no?
<<Si può ottimisticamente prevedere che il periodo di
revisione e di sviluppo sarà lungo, ma non ci sarà una falsificazione
definitiva". [ECCLES: L'Io e il suo cervello - pg.455]>>.
Post by Carlo Pierini
Quindi, andiamo con
ordine: PRIMA approfondiamo il problema della logica del Principio in
relazione al mondo esperibile, visto che nemmeno uno dei 'grandi logici'
qui presenti - te compreso - ha dimostrato di sapercisi raccapezzare
(tutti, tranne che il coraggioso Amleto, hanno evitato con cura di
sporcarcisi le mani),
e solo DOPO avremo gli elementi necessari per affrontare il problemi di
alta logica.
Dico bene? Non è forse vero che prima di parlare di calcolo differenziale,
dobbiamo passare per lo studio delle tabelline e di altre operazioni più
semplici?
Dici bene. Infatti rafforzo il tuo con un secondo esempio: prima di parlare
di logica dialettica dobbiamo aver ben salda quella piu' "elementare" di
Aristotele.
Post by Carlo Pierini
Quindi: cosa ne pensi della mia idea di numero come ente metafisico e,
quindi, della Fisica come unione degli opposti?
Penso che un'entita' mentale non sia un'entita' metafisica. Ma, a parte
questo "piccolo" particolare, visto che la fisica ha a che fare con *leggi*
che regolano categorie di fenomeni, mi piacerebbe sapere qual e' l'opposto
dialettico di una *legge* della fisica.
Post by Carlo Pierini
E dell'analogia tra numeri e concetti?
Penso che sia un'analogia oltremodo azzardata. Se il concetto, mettiamo di
"cavallo", e' un'astrazione intelletuale sotto cui viene assunta una
molteplicita' di "cavalli", non ha senso il "concetto del concetto di
'cavallo'", perche' esso non e' altro che il "concetto di 'cavallo'". Se
invece abbiamo 10 numeri (1,2,...,10), ha senso parlare di "numero di
numeri". Se il numero fosse come il concetto, allora il "10" sarebbe il
"concetto" sotto cui e' assunta la molteplicita' dei 10 numeri; ma "10" e'
*un* elemento della molteplicita' assunta sotto un concetto. Dunque "10"
dovrebbe essere assunto e non-essere assunto sotto un concetto. Questo detto
con "elementare" logica aristotelica, senza tirare in ballo gerarchie di
tipi e di ordini, che comporterebbero i "paroloni" di una logica che tu
consideri insopportabilmente "alta".
Post by Carlo Pierini
E dell'idea dialettica di libertà?
Questo e' l'unico piano su cui potremmo trovare qualche accordo. Pero'
"dialettica" per me e' solo una tecnica di confutazione delle tesi di chi la
liberta' vuol negare.
Post by Carlo Pierini
E dell'assimilazione dei miti a "sogni della storia"?
I miti "sogni della storia"? Sarei d'accordo se intendessi quel genitivo in
senso oggettivo. Traducendo: i miti sono i contenuti onirici degli uomini
che sognano la storia. Naturalmente la storia come gli uomini vorrebbero che
fosse o come temono che sia. Ma ho il fondato sospetto che tu propenda per
il genitivo soggettivo, e che dunque sia la storia a sognare gli uomini.
Post by Carlo Pierini
E della singolare
concordanza tra i principali archetipi religiosi con l'idea di una logica
ultima del mondo?
Trovo tanto singolare la concordanza tra gli archetipi delle varie
religiosi, quanto singolare il fatto che gli uomini di tutte le razze
abbiano due mani e due gambe.
Post by Carlo Pierini
Possibile che dopo un
mese in un NG di filosofia nessuno ha aperto bocca sulle novità
filosofiche REALI che ho proposto, se non per spaccare i marroni su
cavilli? Non riesco proprio a capirla questa mania psicotica
dell'astrazione a tutti i costi. Sarà un mio limite, ma io non la
sopporto, scusa l'incazzatura.
Cavilli? Io parlavo di cavalli:-). Non ti incazzare, dai. E comunque non ti
devi scusare, altrimenti lo dovrei fare anch'io; sai bene che a ogni tuo
colpo di sciabola rispondo con uno di scimitarra:-)
Cari saluti,
Loris
Carlo Pierini
2006-09-24 12:14:28 UTC
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"Loris Dalla Rosa"



C
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Carlo Pierini
"Naturalmente, per portare a compimento qualcosa di così imponente come
un'analisi comparata del sapere è necessario l'apporto di una vasta
molteplicità di ricercatori organizzati in scienza e, forse, persino
qualche secolo di tempo.
L
Post by Loris Dalla Rosa
Secondo me il motivo consiste nell'aver fatto tuo quell'aggettivo
("promissorio") con cui Eccles ironizzava sul materialismo. In icf l'hai
citato tu, no?
C

La differenza con i "promissori" di cui sopra è che io rimando a un saggio
in cui si analizza un gran numero di casi REALI (accennati - alcuni - sull'introduzione,
ma da te ignorati) sufficiente a rendere più che fondata l'ipotesi di
validità universale del Principio, mentre i "promissori" riduzionisti citati
da Eccles non rimandano a niente.

E, a proposito di Eccles, avevamo iniziato un discorso CONCRETO sulla
scientificità o meno della sua teoria, ma poi hai cambiato argomento
passando ad ASTRATTI argomenti di logica formale. Potremmo riprendere dalla
mia risposta al tuo post che metteva in dubbio la scientificità della tesi
ecclesiana?



C
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Carlo Pierini
Quindi: cosa ne pensi della mia idea di numero come ente metafisico e,
quindi, della Fisica come unione degli opposti?
L
Post by Loris Dalla Rosa
Penso che un'entita' mentale non sia un'entita' metafisica.
C

Se non sbaglio, *metafisico* significa ciò che esiste al di là del *fisico*.
Ti risulta forse che i numeri siano oggetti fisici?



L
Post by Loris Dalla Rosa
Ma, a parte questo "piccolo" particolare, visto che la fisica ha a che
fare con *leggi* che regolano categorie di fenomeni, mi piacerebbe sapere
qual e' l'opposto dialettico di una *legge* della fisica.
C

Una *legge* della fisica rappresenta già una complementazione tra la logica
matematica (metafisica) e la logica dei fenomeni fisici (fisica); e una
"coniunctio", essendo già un'unità realizzata, non ha più opposti, ma
*analoghi*. L'analogo delle leggi fisiche sono le leggi metafisiche, cioè le
leggi della logica dei concetti e dei numeri. "Così è in alto, com'è in
basso" dicevano i dialettici alchimisti, volendo esprimere la
complementarità-analogia tra mondo fisico e mondo metafisico





C
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Carlo Pierini
E dell'analogia tra numeri e concetti?
L
Post by Loris Dalla Rosa
Penso che sia un'analogia oltremodo azzardata. Se il concetto, mettiamo di
"cavallo", e' un'astrazione intelletuale sotto cui viene assunta una
molteplicita' di "cavalli".
C

Io nella mia introduzione non ho parlato di cavalli, ma dell'analogia tra la
funzione che hanno i numeri nei confronti degli oggetti univoci della fisica
e quella che potrebbero avere gli archetipi nei confronti degli oggetti
non-univoci (amore, virtù, giustizia, ecc.), cioè dell'analogia tra la
funzione della matematica e quella della dialettica ("ordo et connexio
rerum. ecc.)



C
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Carlo Pierini
E dell'idea dialettica di libertà?
L
Post by Loris Dalla Rosa
Questo e' l'unico piano su cui potremmo trovare qualche accordo. Pero'
"dialettica" per me e' solo una tecnica di confutazione delle tesi di chi
la liberta' vuol negare.
C

Noto che quando si scende sul piano dei concetti REALI, cioè lontani dalla
pura astrazione analitica,

ti fermi e metti punto. Io non ho usato la dialettica per confutare ma per
chiarire il concetto di libertà, ma a voi logici interessa solo la
confutazione e la vivisezione dei termini; del mondo VIVO e pulsante che c'è
dietro avete paura e lo evitate come la peste. Non ti viene mai il dubbio
che la logica sia sorta PER essere riferita al mondo reale e vivente e non
solo alle parole?



C
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Carlo Pierini
E dell'assimilazione dei miti a "sogni della storia"?
L
Post by Loris Dalla Rosa
I miti "sogni della storia"? Sarei d'accordo se intendessi quel genitivo
in senso oggettivo. Traducendo: i miti sono i contenuti onirici degli
uomini che sognano la storia. Naturalmente la storia come gli uomini
vorrebbero che fosse o come temono che sia. Ma ho il fondato sospetto che
tu propenda per il genitivo soggettivo, e che dunque sia la storia a
sognare gli uomini.
C

Se non sbaglio, io ho parlato di miti che hanno la funzione oggettiva di
compensare gli squilibri della coscienza storica nello stesso modo in cui i
sogni oggettivi hanno la funzione di compensare gli squilibri della
coscienza individuale. Ti risulta che l'uomo decida quali sono i sogni da
farsi?

Non eravamo rimasti d'accordo - dieci anni fa - che ti saresti andato a
leggere Jung per capire i motivi per i quali egli definisce OGGETTIVO l'inconscio
(individuale e collettivo)? Non mi sorprende che tu ti sia guardato bene dal
farlo, dato che ciò ti costringerebbe ad uscire dal guscio delle
elucubrazioni sulle chiacchiere ed affrontare gli eventi del mondo VIVENTE.

Non prenderlo come un attacco personale, ma solo come una espressione del
mio disgusto di fronte ai danni che i cosiddetti 'logici' fanno all'intelletto
e alla filosofia nell'isolarli asetticamente e schizofrenicamente dalla vita
VERA.



C
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Carlo Pierini
E della singolare concordanza tra i principali archetipi religiosi
con l'idea di una logica ultima del mondo?
L
Post by Loris Dalla Rosa
Trovo tanto singolare la concordanza tra gli archetipi delle varie
religiosi, quanto singolare il fatto che gli uomini di tutte le razze
abbiano due mani e due gambe.
C

L'ingenuità e la faciloneria della tua risposta mi dice che non hai la più
pallida idea di cosa siano gli archetipi, di cosa significhi la loro
universalità e del perché non si parli solo di *coincidenza* tra di loro, ma
di *complementarità* ad un sistema universale INTELLIGENTE.

Dammi retta, sospendi per qualche mese i contorsionismi intellettualoidi e
apriti al mondo drammatico dei valori, dei sentimenti, dei sogni e delle
passioni VERE.

Guarda, proprio perché sei un vecchio amico, se pur virtuale, mi rendo
disponibile ad aiutarti a capire le scoperte di Jung e a mostrarti che lui
ha risposto già ampiamente da almeno un secolo alle tue obiezioni e che la
sua cosmologia non solo è accettabile alla 'ratio' più rigorosa, ma che ne
moltiplica immensamente la forza e il dominio di applicazione. Io sono certo
che in un paio di mesi metterò la tua logica da laboratorio vivisezionista
in condizione di digerire la filosofia del caro Gustav e persino di
confutare - visto che questo è l'unico misero scopo che è rimasto alla
logica formale - persino certi junghiani un po' sprovveduti.

Fammi sapere.



C.P.
Loris Dalla Rosa
2006-09-25 22:50:41 UTC
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Post by Carlo Pierini
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Carlo Pierini
"Naturalmente, per portare a compimento qualcosa di così imponente come
un'analisi comparata del sapere è necessario l'apporto di una vasta
molteplicità di ricercatori organizzati in scienza e, forse, persino
qualche secolo di tempo.
Secondo me il motivo consiste nell'aver fatto tuo quell'aggettivo
("promissorio") con cui Eccles ironizzava sul materialismo. In icf l'hai
citato tu, no?
La differenza con i "promissori" di cui sopra è che io rimando a un saggio
in cui si analizza un gran numero di casi REALI (accennati - alcuni -
sull'introduzione, ma da te ignorati) sufficiente a rendere più che
fondata l'ipotesi di validità universale del Principio, mentre i
"promissori" riduzionisti citati da Eccles non rimandano a niente.
Il riduzionismo non rimanda a nulla? Indipendentemente dal mio giudizio sul
riduzionismo, devo considerare questa tua affermazione una battuta.
Post by Carlo Pierini
E, a proposito di Eccles, avevamo iniziato un discorso CONCRETO sulla
scientificità o meno della sua teoria, ma poi hai cambiato argomento
passando ad ASTRATTI argomenti di logica formale. Potremmo riprendere
dalla mia risposta al tuo post che metteva in dubbio la scientificità
della tesi ecclesiana?
Bene, cominciamo allora a sgombrare il campo da una possibile incongruenza.
Dice l'Eccles da te citato:
<<Si può ottimisticamente prevedere che il periodo di
revisione e di sviluppo sarà lungo, ma non ci sarà una falsificazione
definitiva". [ECCLES: L'Io e il suo cervello - pg.455]>>.

Qui Eccles parla di "falsificazione definitiva". Significa che che Eccles fa
suo il principio di falsificabilita' popperiano? E tu, che sopra parli di un
"gran numero di casi REALI" sufficienti ecc. ecc., fai tuo questo principio?
Se si' dimmi a quali condizioni la tua ipotesi puo' dirsi falsificata. Se
no, il tuo metodo e' verificazionista, e come tale non sfugge alle critiche
di Popper (sulle quali non mi dilungo, dando per scontato che tu le
conosca).
Post by Carlo Pierini
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Carlo Pierini
Quindi: cosa ne pensi della mia idea di numero come ente metafisico e,
quindi, della Fisica come unione degli opposti?
Penso che un'entita' mentale non sia un'entita' metafisica.
Se non sbaglio, *metafisico* significa ciò che esiste al di là del
*fisico*. Ti risulta forse che i numeri siano oggetti fisici?
Ok, d'ora in poi considerero' entita' metafisiche l'Orlando furioso, Renzo e
Lucia, l'ippogrifo, il sogno che ho fatto questa notte, la quadratura del
cerchio... e ogni altra cazzata che mi venga in mente, purche' non abbia
alcun riscontro nel reale. Non ti sembra di aver spalancato un po' troppo le
porte al "metafisico"? Per quanto grande la piazza, si sta affollando di
un'eccessiva moltitudine di sciocchezze.
Post by Carlo Pierini
Post by Loris Dalla Rosa
Ma, a parte questo "piccolo" particolare, visto che la fisica ha a che
fare con *leggi* che regolano categorie di fenomeni, mi piacerebbe sapere
qual e' l'opposto dialettico di una *legge* della fisica.
Una *legge* della fisica rappresenta già una complementazione tra la
logica matematica (metafisica) e la logica dei fenomeni fisici (fisica); e
una "coniunctio", essendo già un'unità realizzata, non ha più opposti, ma
*analoghi*. L'analogo delle leggi fisiche sono le leggi metafisiche, cioè
le leggi della logica dei concetti e dei numeri. "Così è in alto, com'è in
basso" dicevano i dialettici alchimisti, volendo esprimere la
complementarità-analogia tra mondo fisico e mondo metafisico
Ma che bel "principio dialettico"! Complementarieta'=analogia?! Senti Carlo,
ci ha gia' provato Hegel a mettere il naso tra le cose della scienza
empirica, guidato da una irrefrenabile coazione ad analogizzare. Ha scritto
le cose peggiori dell'intero corpus delle sue opere. Gli scienziati in vena
di barzellette ne ridono ancora. Ma e' proprio necessario scrivere
pagine...analoghe? (Scusami la sincerita').
Post by Carlo Pierini
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Carlo Pierini
E dell'analogia tra numeri e concetti?
Penso che sia un'analogia oltremodo azzardata. Se il concetto, mettiamo
di "cavallo", e' un'astrazione intelletuale sotto cui viene assunta una
molteplicita' di "cavalli".
Io nella mia introduzione non ho parlato di cavalli, ma dell'analogia tra
la funzione che hanno i numeri nei confronti degli oggetti univoci della
fisica e quella che potrebbero avere gli archetipi nei confronti degli
oggetti non-univoci (amore, virtù, giustizia, ecc.), cioè dell'analogia
tra la funzione della matematica e quella della dialettica ("ordo et
connexio rerum. ecc.)
Faresti meglio a porti il problema dei cavalli. Tu mi hai fatto una domanda
circa l'analogia tra numero e concetto. Ti ho mostrato che
l'analogia tra i due e' un abbaglio logico. Qualsiasi analogia *funzionale*
e' viziata da questo abbaglio di partenza.
Post by Carlo Pierini
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Carlo Pierini
E dell'assimilazione dei miti a "sogni della storia"?
I miti "sogni della storia"? Sarei d'accordo se intendessi quel genitivo
in senso oggettivo. Traducendo: i miti sono i contenuti onirici degli
uomini che sognano la storia. Naturalmente la storia come gli uomini
vorrebbero che fosse o come temono che sia. Ma ho il fondato sospetto che
tu propenda per il genitivo soggettivo, e che dunque sia la storia a
sognare gli uomini.
Se non sbaglio, io ho parlato di miti che hanno la funzione oggettiva di
compensare gli squilibri della coscienza storica nello stesso modo in cui
i sogni oggettivi hanno la funzione di compensare gli squilibri della
coscienza individuale.
Bene, vedo che accetti la mia interpretazione *oggettiva* di quel genitivo.
Post by Carlo Pierini
Ti risulta che l'uomo decida quali sono i sogni da farsi?
No, ma quello che risulta, coerentemente con quanto hai detto sopra, e' la
loro giusta collocazione nel quadro degli squilibri psicologici sia
individuali che collettivi. La tua "presunzione" consiste nel voler
traghettare sul piano ontologico cio' che e' sotto la stretta giurisdizione
di quello psicologico. Neppure Jaspers ha osato tanto.
Post by Carlo Pierini
Non eravamo rimasti d'accordo - dieci anni fa - che ti saresti andato a
leggere Jung per capire i motivi per i quali egli definisce OGGETTIVO
l'inconscio (individuale e collettivo)? Non mi sorprende che tu ti sia
guardato bene dal farlo, dato che ciò ti costringerebbe ad uscire dal
guscio delle elucubrazioni sulle chiacchiere ed affrontare gli eventi del
mondo VIVENTE.
In compenso noto che tu non hai accolto il mio invito di allora ad andare a
leggerti la scienza della logica di Hegel. Avresti compreso il senso e il
peso della mia obiezione nel post precedente. Ma questa e' solo una battuta
reattiva che ti devo e che finisce qui. Piuttosto... vengo al punto che piu'
ti fa imbestialire e che pure, se mi riconosci una qualche capacita' di
andare alla radice dei problemi, costituisce la matrice di ogni nostro
dissenso.
Post by Carlo Pierini
Post by Loris Dalla Rosa
Trovo tanto singolare la concordanza tra gli archetipi delle varie
religiosi, quanto singolare il fatto che gli uomini di tutte le razze
abbiano due mani e due gambe.
L'ingenuità e la faciloneria della tua risposta mi dice che non hai la più
pallida idea di cosa siano gli archetipi, di cosa significhi la loro
universalità e del perché non si parli solo di *coincidenza* tra di loro,
ma di *complementarità* ad un sistema universale INTELLIGENTE.[...]
Dammi retta, sospendi per qualche mese i contorsionismi intellettualoidi e
apriti al mondo drammatico dei valori, dei sentimenti, dei sogni e delle
passioni VERE.
Che tu trovi rozzamente sbrigativa ed ingenua queslla mia risposta lo posso
comprendere. Ma ti assicuro che non l'ho data per "disperazione". Alla mole
delle tue citazioni di Jung aggiungi questa:

<<Esistono in ogni individuo, al di fuori delle reminiscenze personali, le
grandi immagini «originarie», come le ha definite appropriatamente Jakob
Burckhardt, os­sia le possibilità ereditarie dell'immaginazione umana, così
com'essa è da tempi im­memorabili. Questa ereditarietà, che è un dato di
fatto, spiega un fenomeno di per sé singolare: la presenza su tutta la
terra, in forme identiche, di determinati elementi e motivi leggendari. Essa
spiega inoltre perché i nostri malati di mente possono ri­produrre
esattamente le stesse immagini e gli stessi costrutti che noi conosciamo
at­traverso testi antichi. Alcuni esempi di questo tipo sono raccolti nel
mio libro "La libido: trasformazioni e simboli (1911)". Io non sostengo
affatto che le rappresen­tazioni siano ereditarie: ciò che si eredita è la
possibilità di rappresentare, il che co­stituisce una notevole differenza>>.
(Jung, "Psicologia dell'inconscio", 1942).

Ecco, la proposizione da meditare a fondo e' l'ultima; piu' precisamente
occorre meditare sulla differenza tra "rappresentazione" e *"possibilita'"*
di rappresentare. La differenza e' quella stessa che passa tra uno psicologo
e uno sciamano. Ti invito a riflettere su cio' che costituisce quella
"notevole differenza", dopo di che troverai, tu cui piacciono le analogie,
il senso della mia sbrigativa risposta. Mi fermo qui, perche' qui sta il
discrimine tra lo psicologico e l'ontologico. Vogliamo tradurre la
"Psicologia dell'inconscio" come "Ontologia dell'inconscio" o la "Psicologia
della religione" come "Ontologia della religione"? La mia risposta la sai,
ed e' chiara come quella che si deve a un amico, sia pure virtuale.
Un saluto,
Loris
Carlo Pierini
2006-09-26 23:32:33 UTC
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Post by Cosimo
"Carlo Pierini"
Post by Carlo Pierini
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Carlo Pierini
"Naturalmente, per portare a compimento qualcosa di così imponente come
un'analisi comparata del sapere è necessario l'apporto di una vasta
molteplicità di ricercatori organizzati in scienza e, forse, persino
qualche secolo di tempo.
"Loris Dalla Rosa"
Post by Carlo Pierini
Post by Loris Dalla Rosa
Secondo me il motivo consiste nell'aver fatto tuo quell'aggettivo
("promissorio") con cui Eccles ironizzava sul materialismo. In icf
l'hai
citato tu, no?
C
Post by Cosimo
Post by Carlo Pierini
La differenza con i "promissori" di cui sopra è che io rimando a un saggio
in cui si analizza un gran numero di casi REALI (accennati - alcuni -
sull'introduzione, ma da te ignorati) sufficiente a rendere più che
fondata l'ipotesi di validità universale del Principio, mentre i
"promissori" riduzionisti citati da Eccles non rimandano a niente.
L
Post by Cosimo
Il riduzionismo non rimanda a nulla? Indipendentemente dal mio giudizio
sul riduzionismo, devo considerare questa tua affermazione una battuta.
C
Volevo dire, non rimanda a nessuna spiegazione del come potrebbe esistere
identità tra processi chimico-neurali e processi di mentali (pensieri, atti
di volontà, sentimenti, ecc.)

L
Post by Cosimo
<<Si può ottimisticamente prevedere che il periodo di
revisione e di sviluppo sarà lungo, ma non ci sarà una falsificazione
definitiva". [ECCLES: L'Io e il suo cervello - pg.455]>>.
Qui Eccles parla di "falsificazione definitiva". Significa che che Eccles fa
suo il principio di falsificabilita' popperiano? E tu, che sopra parli di un
"gran numero di casi REALI" sufficienti ecc. ecc., fai tuo questo principio?
Se si' dimmi a quali condizioni la tua ipotesi puo' dirsi falsificata.
C
Può dirsi falsificata quando mi si sia mostrata l'inconsistenza delle
"interpretazioni" dialettiche dei vari casi che prendo in considerazione.
Intanto, se hai letto i miei vari post e avessi intenzione di farlo tu, per
altri quindici giorni ancora sono disponibile ad accogliere le tue
falsificazioni (naturalmente non prendere quelli a carattere teologico,
perché sono necessarie troppe premesse per renderli 'difendibili').
Comunque, "L'Io e il suo cervello" è stato scritto a due mani e l'altro
autore è K. Popper in persona (Dovevo scrivere Eccles/Popper: "L'Io e...
ecc.). Pertanto, non credo che Popper avrebbe sottoscritto
quell'affermazione se non fosse stato d'accordo.

C
Post by Cosimo
Post by Carlo Pierini
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Carlo Pierini
Quindi: cosa ne pensi della mia idea di numero come ente metafisico e,
quindi, della Fisica come unione degli opposti?
L
Post by Cosimo
Post by Carlo Pierini
Post by Loris Dalla Rosa
Penso che un'entita' mentale non sia un'entita' metafisica.
C
Se la mente è un'entità metafisica, perché i suoi 'prodotti' non dovrebbero
esserlo?

C
Post by Cosimo
Post by Carlo Pierini
Se non sbaglio, *metafisico* significa ciò che esiste al di là del
*fisico*. Ti risulta forse che i numeri siano oggetti fisici?
L
Post by Cosimo
Ok, d'ora in poi considerero' entita' metafisiche l'Orlando furioso, Renzo e
Lucia, l'ippogrifo, il sogno che ho fatto questa notte, la quadratura del
cerchio... e ogni altra cazzata che mi venga in mente, purche' non abbia
alcun riscontro nel reale.
C
Invece tu dove li collochi, nella categoria degli oggetti fisici? Tutt'alpiù
puoi escludere le "cazzate" per mancanza di significatività, ma non mi pare
che i vari simboli e concetti logico-filosofici significativi tu possa
contrabbandarli nel regno della fisica o in quello del nulla.
E il numero, cos'è se non un simbolo significativo? Non è forse una
creazione dell'intelletto, ma che, come tutti i simboli significativi
(archetipi), ha anche una sua esistenza e una sua logica al di là
dell'arbitrio soggettivo? E sai cos'è un archetipo? E' un'invenzione
soggettiva, un paradigma in cui converge una molteplicità di significati
oggettivi reciprocamente autonomi, ma legati da una relazione di analogia.
Proprio come il numero. Cioè che il numero è un archetipo universale 'in
piccolo' poiché, come questo, ha un proprio significato indipendentemente
dall'oggetto di cui può essere paradigma. E lo sai che il numero, proprio
come un archetipo, ha la proprietà di trasferire nel regno metafisico del
pensiero delle cose reali grazie a una operazione soggettiva chiamata
"misura"?

L
Post by Cosimo
Non ti sembra di aver spalancato un po' troppo le
porte al "metafisico"? Per quanto grande la piazza, si sta affollando di
un'eccessiva moltitudine di sciocchezze.
C
Invece, tu che sei intelligente, dove collochi i numeri, cioè gli archetipi
della quantità? Tra gli oggetti

L
Post by Cosimo
Post by Carlo Pierini
Post by Loris Dalla Rosa
Ma, a parte questo "piccolo" particolare, visto che la fisica ha a che
fare con *leggi* che regolano categorie di fenomeni, mi piacerebbe sapere
qual e' l'opposto dialettico di una *legge* della fisica.
C
Post by Cosimo
Post by Carlo Pierini
Una *legge* della fisica rappresenta già una complementazione tra la
logica matematica (metafisica) e la logica dei fenomeni fisici (fisica); e
una "coniunctio", essendo già un'unità realizzata, non ha più opposti, ma
*analoghi*. L'analogo delle leggi fisiche sono le leggi metafisiche, cioè
le leggi della logica dei concetti e dei numeri. "Così è in alto, com'è in
basso" dicevano i dialettici alchimisti, volendo esprimere la
complementarità-analogia tra mondo fisico e mondo metafisico
L
Post by Cosimo
Ma che bel "principio dialettico"! Complementarieta'=analogia?! Senti Carlo,
ci ha gia' provato Hegel a mettere il naso tra le cose della scienza
empirica, guidato da una irrefrenabile coazione ad analogizzare. Ha scritto
le cose peggiori dell'intero corpus delle sue opere.
C
Perché, vuoi forse negare che ci sia analogia tra le operazioni matematiche
e l'ordine che lega i fenomeni fisici? Se non ci fosse analogia tra
l'operazione matematica di moltiplicazione e la relazione tra la forza e
l'accelerazione, come avrebbe fatto Newton a scrivere F=ma? E se la
matematica non fosse complementare alla fisica, Ohm come avrebbe fatto a
scrivere V=RI?
Riguardo a Hegel ho già detto più volte che la sua dialettica è sotto molti,
anzi, troppi aspetti solo una montagna di puttanate. E sai perché? Perche
faceva come voi logici formali: invece di astrarre la dialettica dal mondo
reale, pretendeva di ottenerla dalle seghe mentali.
Post by Cosimo
Post by Carlo Pierini
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Carlo Pierini
E dell'analogia tra numeri e concetti?
Penso che sia un'analogia oltremodo azzardata. Se il concetto, mettiamo
di "cavallo", e' un'astrazione intelletuale sotto cui viene assunta una
molteplicita' di "cavalli".
L
Post by Cosimo
Faresti meglio a porti il problema dei cavalli. Tu mi hai fatto una
domanda circa l'analogia tra numero e concetto. Ti ho mostrato che
l'analogia tra i due e' un abbaglio logico. Qualsiasi analogia
*funzionale*
e' viziata da questo abbaglio di partenza.
C
Abbaglio? Perché, cos'è il numero se non un concetto? E cos'è un numero se
non la metafora di una grandezza fisica? E cos'è F=ma se non l'analogia
matematica della relazione tra i concetti di massa e di accelerazione?

C
Post by Cosimo
Post by Carlo Pierini
E dell'assimilazione dei miti a "sogni della storia"?
L
Post by Cosimo
Post by Carlo Pierini
Post by Loris Dalla Rosa
I miti "sogni della storia"? Sarei d'accordo se intendessi quel genitivo
in senso oggettivo. Traducendo: i miti sono i contenuti onirici degli
uomini che sognano la storia. Naturalmente la storia come gli uomini
vorrebbero che fosse o come temono che sia. Ma ho il fondato sospetto che
tu propenda per il genitivo soggettivo, e che dunque sia la storia a
sognare gli uomini.
C
Post by Cosimo
Post by Carlo Pierini
Se non sbaglio, io ho parlato di miti che hanno la funzione oggettiva di
compensare gli squilibri della coscienza storica nello stesso modo in cui
i sogni oggettivi hanno la funzione di compensare gli squilibri della
coscienza individuale.
L
Post by Cosimo
Bene, vedo che accetti la mia interpretazione *oggettiva* di quel genitivo.
C
E come potrei dar valore a dei sogni se fossero solo delle arbitrarie
fantasie soggettive? Pensi che Freud, Jung e tutti i psicologi siano tuti
dei rincitrulliti?

L
Post by Cosimo
La tua "presunzione" consiste nel voler traghettare sul piano ontologico
cio' che e' sotto la stretta giurisdizione di quello psicologico. Neppure
Jaspers ha osato tanto.
C
Tutte le forme di conoscenza hanno un aspetto psicologico, essendo partorite
dalla psiche umana, comprese le elucubrazioni vane di voi logici formali. Ma
se i numeri e la matematica sono stati partoriti dalla mente umana, come hai
visto, ciò non significa necessariamente che si tratta solo di simboli
arbitrari e che sia impossibile traghettarli sul piano ontologico. Leggiti
piuttosto il mio post "La mia esperienza religiosa" su ICF e vedrai che
comincerai a capire cosa può voler dire oggettività dei simboli, al di la
del fatto che scaturiscono dalle profondità del soggetto.

C
Post by Cosimo
Post by Carlo Pierini
Non eravamo rimasti d'accordo - dieci anni fa - che ti saresti andato a
leggere Jung per capire i motivi per i quali egli definisce OGGETTIVO
l'inconscio (individuale e collettivo)? Non mi sorprende che tu ti sia
guardato bene dal farlo, dato che ciò ti costringerebbe ad uscire dal
guscio delle elucubrazioni sulle chiacchiere ed affrontare gli eventi del
mondo VIVENTE.
L
Post by Cosimo
In compenso noto che tu non hai accolto il mio invito di allora ad andare
a leggerti la scienza della logica di Hegel. Avresti compreso il senso e
il peso della mia obiezione nel post precedente. Ma questa e' solo una
battuta reattiva che ti devo e che finisce qui. Piuttosto... vengo al
punto che piu' ti fa imbestialire e che pure, se mi riconosci una qualche
capacita' di andare alla radice dei problemi, costituisce la matrice di
ogni nostro dissenso.
C
Molte cose di Hegel l'ho lette, ma poi mi sono accorto della sua presunzione
sconfinata, comune ai preti e ai logici, di voler capire le leggi del mondo
senza osservare il mondo, e allora ho preferito leggere Jung che, invece,
astrae le sue tesi dialettiche dalla dinamica REALE dell'anima umana VIVA,
mosso dal nobile fine di curare le sofferenze.

L
Post by Cosimo
Post by Carlo Pierini
Post by Loris Dalla Rosa
Trovo tanto singolare la concordanza tra gli archetipi delle varie
religiosi, quanto singolare il fatto che gli uomini di tutte le razze
abbiano due mani e due gambe.
L'ingenuità e la faciloneria della tua risposta mi dice che non hai la più
pallida idea di cosa siano gli archetipi, di cosa significhi la loro
universalità e del perché non si parli solo di *coincidenza* tra di loro,
ma di *complementarità* ad un sistema universale INTELLIGENTE.[...]
Dammi retta, sospendi per qualche mese i contorsionismi intellettualoidi e
apriti al mondo drammatico dei valori, dei sentimenti, dei sogni e delle
passioni VERE.
Che tu trovi rozzamente sbrigativa ed ingenua queslla mia risposta lo
posso comprendere. Ma ti assicuro che non l'ho data per "disperazione".
<<Esistono in ogni individuo, al di fuori delle reminiscenze personali, le
grandi immagini «originarie», come le ha definite appropriatamente Jakob
Burckhardt, os­sia le possibilità ereditarie dell'immaginazione umana,
così com'essa è da tempi im­memorabili. Questa ereditarietà, che è un dato
di fatto, spiega un fenomeno di per sé singolare: la presenza su tutta la
terra, in forme identiche, di determinati elementi e motivi leggendari.
Essa spiega inoltre perché i nostri malati di mente possono ri­produrre
esattamente le stesse immagini e gli stessi costrutti che noi conosciamo
at­traverso testi antichi. Alcuni esempi di questo tipo sono raccolti nel
mio libro "La libido: trasformazioni e simboli (1911)". Io non sostengo
affatto che le rappresen­tazioni siano ereditarie: ciò che si eredita è la
possibilità di rappresentare, il che co­stituisce una notevole
differenza>>. (Jung, "Psicologia dell'inconscio", 1942).
Ecco, la proposizione da meditare a fondo e' l'ultima; piu' precisamente
occorre meditare sulla differenza tra "rappresentazione" e
*"possibilita'"* di rappresentare. La differenza e' quella stessa che
passa tra uno psicologo e uno sciamano. Ti invito a riflettere su cio' che
costituisce quella "notevole differenza", dopo di che troverai, tu cui
piacciono le analogie, il senso della mia sbrigativa risposta. Mi fermo
qui, perche' qui sta il discrimine tra lo psicologico e l'ontologico.
Vogliamo tradurre la "Psicologia dell'inconscio" come "Ontologia
dell'inconscio" o la "Psicologia della religione" come "Ontologia della
religione"? La mia risposta la sai, ed e' chiara come quella che si deve a
un amico, sia pure virtuale.
C
In questo passo Jung sottolinea solo l'aspetto di *coincidenza* tra gli
archetipi, poiché era quello che gli interessava evidenziare in quel
contesto. Ma non mancano certo nella sua opera trattazioni sulla loro
*complementarità intelligente* e sulla loro autonomia dalla coscienza
storica che li 'partorisce'.
Riguardo all'ereditarietà dell'archetipo o della sua *possibilità di
rappresentazione* la capirai meglio quando leggerai il mio post sopra citato
("La mia esperienza religiosa") e comincerai a intendere la differenza tra
coincidenza e complementarità. Poi ne riparliamo, perché con questo post mi
hai fatto fare luna e mezzo di notte.

Ciao,

Carlo
selandros
2006-11-16 00:37:03 UTC
Permalink
Post by Carlo Pierini
C
Abbaglio? Perché, cos'è il numero se non un concetto? E cos'è un numero se
non la metafora di una grandezza fisica? E cos'è F=ma se non l'analogia
matematica della relazione tra i concetti di massa e di accelerazione?
Visto che Loris sembra latitare nel dare una risposta alle domande che poni
in questo tread, caro Carlo, mi permetto di fare le sue veci. Nel caso la
cosa non gli aggrada, sarà solo colpa mia.
Ad ogni modo verrei subito al punto: se il numero è un concetto, allora non
possiamo affermare che sia anche una metafora di una grandezza fisica, ossia
non possiamo affermare che esso sia una grandezza fisica che si propone in
luogo di un'altra grandezza fisicac(la metafora in questione andrebbe
infatti intesa come oggetto o ente che fa le veci di un altro oggetto o
ente) a meno che non si consideri allo stesso tempo anche il concetto come
una grandezza fisica, e di conseguenza si consideri il concetto in qualità
di contenuto mentale come una grandezza fisica. In questo caso la mente
sarebbe un contenitore di grandezze fisiche. Anch'esso fisico? Oppure si
tratta dello spazio vuoto intorno all'ente?
Resta il fatto che una risposta alla tua domanda, ossia a cosa sia il numero
non è difficile a fornirsi. Il numero è qualche cosa che si scrive, e quindi
è innanzitutto una cosa. Sarà forse così che sorgerà la domanda intorno
all'idealità del numero, riprendendo la domanda metafisica intorno alla
cosa: perché il numero (il n. due ad esempio), si scrive in molti modi, ma
il suo senso ritorna sempre uguale a se stesso? Analogamente: perché
l'idealità della cosa ritorna uguale a se stessa?
La domanda così impostata cela però un vizio di fondo. L'idealità della cosa
è prefilosoficamente presunta.
Resterà forse da cercare all'interno di quella tua iniziale affermazione,
attraverso la quale conferisci al numero una proprietà essenziale: il suo
esser metafora. Non sarà forse il caso di domandarsi se l'idealità della
cosa non nasca proprio in quello scarto di cui la metafora testimonia? Non
sarà, intendo, proprio quella differenza fra una cosa e la sua metafora a
costituire l'idealità della cosa? Ciò che rende il n. 2 differente dagli
altri numeri è proprio il fatto che il n. 2 non-è il n. 1, il n.3 o il n. N.
Una cosa è qualcosa di particolare e di generale allo stesso tempo, proprio
perchè si differAnzia da un'altra cosa. In quanto tale è segno, che
significa solo se stesso.
Sicché, alla mente pertiene lo stesso carattere: anche la mente è segno.
Ossia, anche la mente è corpo, e significa solo se stessa. In quanto corpo,
la mente si rapporta ai corpi che la attorniano urtandola. Dire che la mente
è corpo e che il numero è corpo significa dire che la mente manipola segni:
'tocca le cose'; ed è proprio ciò che stiamo facendo.
Post by Carlo Pierini
C
E come potrei dar valore a dei sogni se fossero solo delle arbitrarie
fantasie soggettive? Pensi che Freud, Jung e tutti i psicologi siano tuti
dei rincitrulliti?
A Freud piace pensare che la dimensione inconscia possa profilarsi come uno
sfondo, ossia come una sorta di negatività differenziale che incorporando il
rimosso testimonia di una pulsionalità eriginaria e fondante. L'antico mito
della volontà unica e dei suoi gradi di oggettivazione ideali prende il nome
di inconscio collettivo nei suoi rincitrulliti allievi.
Post by Carlo Pierini
C
Molte cose di Hegel l'ho lette, ma poi mi sono accorto della sua
presunzione sconfinata, comune ai preti e ai logici, di voler capire le
leggi del mondo senza osservare il mondo, e allora ho preferito leggere
Jung che, invece, astrae le sue tesi dialettiche dalla dinamica REALE
dell'anima umana VIVA, mosso dal nobile fine di curare le sofferenze.
Anche il Budda vedeva solo invecchiamento, sofferenza e morte. Curare
l'anima dalle sofferenze, come direbbe Nietzsche, fa si che "tuttavia nella
circostanza che l'ideale ascetico ha avuto un così grande significato per l'uomo,
si esprime il fondamentale dato di fatto dell'umano volere, il suo horror
vacui: quel volere ha bisogno di una meta - e preferisce volere il nulla,
piuttosto che non volere. - Mi si intende?... Sono stato inteso?...
'Assolutamente no, signore!'. Cominciamo dunque da capo".
Bisogna però prestare molta attenzione nell'interpretare questa affermazione
di Nietzsche a non incorrere nell'errore di Heidegger (cfr. La sentenza 'Dio
è morto', in id. Sentieri interrotti) che proponendo la sua distruzione
dell'onto-teologia tende a riportare il pensiero all'interno di un campo
squisitamente teologico.
Ma forse questo è proprio ciò che Carlo vuol fare, riducendo il mondo a
rappresentazione, e la volontà a potenza della rappresentazione.

Un saluto,
Sel.

Cosimo
2006-09-23 10:17:30 UTC
Permalink
"Carlo Pierini" ha scritto:

[...]
Post by Carlo Pierini
Infatti, le citazioni e gli scritti che compongono questo saggio
coprono un po' tutti gli ambiti della speculazione umana
(alchimia, psicologia, neurobiologia, storia comparata del simbolo
e delle religioni, teologia, semantica, filosofia, logica,
storiografia, ecc.); ma c'è un motivo universale che li accomuna e
che li fonde in un solo disegno: il Principio di complementarità
degli opposti, o, se vogliamo, la sua variante filosofica, la
Dialettica.
Mah, l'errore fondamentalmente è sempre quello: scambiare gli
opposti per distinti, e quindi ritenere ciò che si oppone ad una
qualunque determinazione come un alcunché di positivo e pertanto
egualmente valido e legittimo. Trovare gli opposti non è difficile:
basta negare o mettere il "non" davanti a quello che ci pare, e non
è nemmeno strettamente necessario che ci si rivolga a quanto esiste
in rerum natura, perché ad es. l'opposto di un unicorno è un non-
unicorno (ovviamente, ciò va asserito nella forma proposizionale,
cioè è "l'unicorno non esiste" ad opporsi a "l'unicorno esiste").
Ben altrimenti stanno le cose per i distinti, i quali possono
coesistere insieme nell'unità o genere presi di volta in volta in
considerazione. Così, fra i mammiferi, ci sono i cani, i gatti, i
cavalli etc, e ciascuna di queste distinte determinazioni coesiste
senza problemi nell'unità considerata. Tale coesistenza però, per
gli opposti, o dà luogo ad una contraddizione o dà luogo ad una
tautologia: se dico "adesso qui è buio" non posso dire anche "adesso
qui c'è luce" senza contraddirmi; e se voglio prendere in
considerazione entrambe quelle determinazioni, mi tocca dire "adesso
qui o è buio o è luce". Ora, il principio di complementarità degli
opposti, per come lo esponi e lo argomenti, assume una qualunque
determinazione A e vi contrappone non-A come se quest'ultima fosse
un distinto positivo, e non qualcosa che davvero si oppone; in altri
termini non comprende il senso logico di anteporre il "non" a quella
determinazione. In gergo matematico, è come se così si volesse dire
che la somma algebrica di +a e -a è 2a, invece di 0. Un errore
elementare, la cui origine ideologica si comprende benissimo quando
Post by Carlo Pierini
In altri termini, una conoscenza nuovamente aperta alla
sacralizzazione, nella quale "l'ipotesi di Dio" - che Laplace aveva
creduto di poter esiliare dagli orizzonti del sapere - ridiventa
necessaria, anzi, determinante e fondante.
Certo, quando si mette da canto o si "fraintende" l'unica legge
della unità degli opposti, ~(A & ~A), tout se tien: un'analogia qua,
un paragone là... e si possono impunemente dimostrare robe come la
necessità di Dio come ratio cognoscendi, o la Trinità, tanto tutto
fa brodo (a proposito, sarebbe utile rileggere:
http://snipurl.com/wwar). Lo stesso pastone junghiano anzi è servito
dalla cucina di quella "qualità occulta", lo slancio vitale
bergsoniano, che unica accomuna e spiega la pletora di tutte le
manifestazioni culturali dell'uomo, tanto quanto la vis dormitiva
insita in quel noto farmaco spiegava come mai il paziente di Moliere
si addormentava.
E allora, che altro si può dire? Sogni d'oro.
--
Ciao,
Cosimo.
Carlo Pierini
2006-09-23 12:00:22 UTC
Permalink
"Cosimo"
Post by Cosimo
Mah, l'errore fondamentalmente è sempre quello: scambiare gli
opposti per distinti, e quindi ritenere ciò che si oppone ad una
qualunque determinazione come un alcunché di positivo e pertanto
basta negare o mettere il "non" davanti a quello che ci pare, e non
è nemmeno strettamente necessario che ci si rivolga a quanto esiste
in rerum natura, perché ad es. l'opposto di un unicorno è un non-
unicorno (ovviamente, ciò va asserito nella forma proposizionale,
cioè è "l'unicorno non esiste" ad opporsi a "l'unicorno esiste").
Innanzitutto, ti ringrazio per aver avuto la pazienza di leggere il mio
'mattone' fino in fondo, ma con altrettanta gentilezza ti inviterei a
criticare quello che scrivo e non quello che tu pensi che io possa scrivere
in certi momenti di ...leggerezza. Tra il 'mattone' e gli interventi in
i.c.f., di esempi di opposizioni dialettiche ne ho portati parecchi e mi
piacerebbe ricevere commenti o critiche su quegli esempi, piuttosto che su
unicorni o su anteposizioni di "non" a cose mai dette e mai pensate.

Comunque, un esempio simile a quello da te gratuitamente citato io l'ho
accennato a Marco V, e riguardava non "quello che ci pare" ma il Principio
stesso e la dialetticità che c'è tra la sua affermazione e la sua negazione.
Scrivevo:

"Ti faccio un esempio assai generale, quello relativo all'eterno problema
dell'essere e del non-essere sul quale si sono accapigliati moltissimi padri
della filosofia. In questo caso è evidente che se applichiamo i due termini
ad "oggetti" UNIVOCI come quelli fisici o come i numeri, essi sono
mutuamente esclusivi (contraddizione), poiché se il prodotto 3x2 E' 6, esso
non può anche non-essere 6, o non può essere non-6 (cioè non può essere
qualunque altro numero diverso da 6). Ma se li applichiamo ad "oggetti"
NON-UNIVOCI come, per esempio, un Principio ultimo (o Dio), in un CERTO
senso esso è compiutamente non-esistente, poiché non è osservabile
direttamente in nessun luogo del cosmo e quindi aveva ragione Spinoza nel
chiamarlo il massimo Nulla, ma in un ALTRO senso esso è massimamente
esistente, l'Essere massimo, poiché governa l'intero cosmo, oltreché sé
stesso. E anche da questo punto di vista risulta evidente che un tale
Principio ultimo non può che coincidere con il Principio di complementarità
degli opposti (come affermava N. Cusano nel suo concetto del Divino come
"Complexio oppositorum"), assumendo compiutamente in sé due attributi
massimamente opposti".

Ci trovi qualcosa che urta il rigore della tua logica?
Post by Cosimo
Ora, il principio di complementarità degli
opposti, per come lo esponi e lo argomenti, assume una qualunque
determinazione A e vi contrappone non-A come se quest'ultima fosse
un distinto positivo, e non qualcosa che davvero si oppone; in altri
termini non comprende il senso logico di anteporre il "non" a quella
determinazione. In gergo matematico, è come se così si volesse dire
che la somma algebrica di +a e -a è 2a, invece di 0. Un errore
elementare.
.Errore *di chi*? Dov'è che avrei confuso un'opposizione con una
distinzione?

Ti ripeto, visto che non ho molto tempo, gradirei che tu citassi ciò che hai
intenzione di commentare; ti chiedo troppo?
Post by Cosimo
Un errore elementare la cui origine ideologica si comprende benissimo
quando
Post by Carlo Pierini
In altri termini, una conoscenza nuovamente aperta alla
sacralizzazione, nella quale "l'ipotesi di Dio" - che Laplace aveva
creduto di poter esiliare dagli orizzonti del sapere - ridiventa
necessaria, anzi, determinante e fondante.
Certo, quando si mette da canto o si "fraintende" l'unica legge
della unità degli opposti, ~(A & ~A), tout se tien: un'analogia qua,
un paragone là... e si possono impunemente dimostrare robe come la
necessità di Dio come ratio cognoscendi, o la Trinità, tanto tutto
http://snipurl.com/wwar).
Lo leggerò senz'altro, ma ciò che ho postato è solo l'introduzione, non la
dimostrazione. In ciò che hai letto hai trovato qualche incongruenza?
Oppure, hai qualche motivo di ordine logico che si oppone alla possibilità
di considerare Dio (o un principio metafisico) come ratio cognoscendi?
Potresti tradurmi in prosa la formula: ~(A & ~A),
Post by Cosimo
Lo stesso pastone junghiano anzi è servito
dalla cucina di quella "qualità occulta", lo slancio vitale
bergsoniano, che unica accomuna e spiega la pletora di tutte le
manifestazioni culturali dell'uomo, tanto quanto la vis dormitiva
insita in quel noto farmaco spiegava come mai il paziente di Moliere
si addormentava.
E allora, che altro si può dire? Sogni d'oro.
"Sogni d'oro" puoi dirlo tranquillamente a tua sorella prima di darle il
bacino della buonanotte; se vuoi dirlo anche a me senza apparire maleducato
e presuntuoso, sarebbe bene che ti spiegassi un po' più chiaramente, non ti
pare? Cos'è che non approvi della filosofia junghiana, o della mia
introduzione, e perché?



Ciao,



C.P.
Cosimo
2006-09-23 14:16:56 UTC
Permalink
Post by Carlo Pierini
Innanzitutto, ti ringrazio per aver avuto la pazienza di leggere
il mio 'mattone' fino in fondo, ma con altrettanta gentilezza ti
inviterei a criticare quello che scrivo e non quello che tu pensi
che io possa scrivere in certi momenti di ...leggerezza. Tra il
'mattone' e gli interventi in i.c.f., di esempi di opposizioni
dialettiche ne ho portati parecchi e mi piacerebbe ricevere
commenti o critiche su quegli esempi, piuttosto che su unicorni o
su anteposizioni di "non" a cose mai dette e mai pensate.
Ho letto quegli esempi ed anche le obiezioni che ti sono state fatte
e le tue repliche ad esse; e da quello che hai detto ho preso le
mosse per la critica anche a ciò che è implicito seppur non
esplicitamente pensato e detto da te. Quindi, non c'è nessuna
gratuità nel proporti i miei "non" e i miei "unicorni".
Post by Carlo Pierini
Comunque, un esempio simile a quello da te gratuitamente citato io
l'ho accennato a Marco V, e riguardava non "quello che ci pare" ma
il Principio stesso e la dialetticità che c'è tra la sua
"Ti faccio un esempio assai generale, quello relativo all'eterno problema
dell'essere e del non-essere sul quale si sono accapigliati
moltissimi padri della filosofia. In questo caso è evidente che se
applichiamo i due termini ad "oggetti" UNIVOCI come quelli fisici
o come i numeri, essi sono mutuamente esclusivi (contraddizione),
poiché se il prodotto 3x2 E' 6, esso non può anche non-essere 6, o
non può essere non-6 (cioè non può essere qualunque altro numero
diverso da 6). Ma se li applichiamo ad "oggetti" NON-UNIVOCI come,
per esempio, un Principio ultimo (o Dio), in un CERTO senso esso è
compiutamente non-esistente, poiché non è osservabile direttamente
in nessun luogo del cosmo e quindi aveva ragione Spinoza nel
chiamarlo il massimo Nulla, ma in un ALTRO senso esso è
massimamente esistente, l'Essere massimo, poiché governa l'intero
cosmo, oltreché sé stesso. E anche da questo punto di vista
risulta evidente che un tale Principio ultimo non può che
coincidere con il Principio di complementarità degli opposti (come
affermava N. Cusano nel suo concetto del Divino come "Complexio
oppositorum"), assumendo compiutamente in sé due attributi
massimamente opposti".
Ci trovi qualcosa che urta il rigore della tua logica?
Sì, quelle virgolette alla parola "oggetti" o la non esplicitazione
di quei sensi per cui il principio ultimo talvolta è nulla e
talaltra è tutto. Non so se la mia logica sia rigorosa, ma
insomma... hic rodhus hic salta, e parte del senso della mia critica
sta appunto nel fatto che la non-univocità di una qualsiasi
determinazione rende assai facile dimostrare tutto e il contrario di
tutto. Così, se io ora dico che vi sarebbe un certo Principio
Vattelappesca dell'Acqua come oggetto del mio pensare ed
argomentare, senza determinarlo univocamente, posso comodamente
dimostrare che è per esso che l'acqua scorre secondo la linea di
minima pendenza. E questo perché si viola il pdnc non appena si
evita di distinguere esattamente in che senso si assume di volta in
volta il soggetto della predicazione (infatti, è nelle matematiche e
nel simbolismo della logica che si manifesta maggiormente tale
violazione, donde la loro esattezza). Dimodoché il tutto viene a
configurare una specie di petizione di principio: la
"dimostrazione" che qualcosa in un certo senso esiste e in un altro
senso non esiste è già data nel momento in cui parto dall'assunzione
di questo oggetto, assunzione che è equivoca proprio in relazione al
suo possibile essere o non-essere.
Post by Carlo Pierini
.Errore *di chi*? Dov'è che avrei confuso un'opposizione con una
distinzione?
Ti ripeto, visto che non ho molto tempo, gradirei che tu citassi
ciò che hai intenzione di commentare; ti chiedo troppo?
Ovunque prendi una distinzione per una opposizione.
Coscienza e inconscio, mente e cervello, umiltà e coraggio -ad
esempio.
Del resto, se non facessi così, non potresti ritrovare per ciascuna
di queste coppie una unità di riferimento, via via meno specifica e
più generica; che possono essere in questi casi l'unità della
persona umana, o il comportamento, o le virtù morali. Ovvero quel
"tertium" che non si dà fra le vere opposizioni, enunciate in
proposizioni (a meno di non considerare i casi delle proposizioni
soltanto contrarie nel vecchio quadrato aristotelico, ciò che
riguarda la quantificazione del soggetto). Ma non c'è alcuna
necessità di considerare l'inconscio come l'opposto della coscienza
(per quanto si possa scivolare sulla particolare formazione del
termine: inconscio=non-conscio); la non-coscienza può essere un
pollo fritto o la stato di morte; la non-mente può essere Napoleone
o la rappresentazione di cosa farò domani; la non-umiltà può essere
la vergogna o lo stipite di una porta. E in breve, se considero A,
il suo opposto diretto è non-A, e non è necessariamente e
sufficientemente B o C o D etc etc.
Post by Carlo Pierini
Lo leggerò senz'altro, ma ciò che ho postato è solo
l'introduzione, non la dimostrazione. In ciò che hai letto hai
trovato qualche incongruenza?
Quelle che ti sto venendo a dire. Magari poi verranno le altre :-)
Post by Carlo Pierini
Oppure, hai qualche motivo di ordine
logico che si oppone alla possibilità di considerare Dio (o un
principio metafisico) come ratio cognoscendi?
Dipende dal principio metafisico.
Quello degli opposti complementari non può costituire ratio
cognoscendi perché non fornisce un criterio minimo di distinzione
fra fantasia e realtà. Io posso pur dire che nell'ambito della
"speculazione umana" abbiamo l'alchimia e la chimica, l'astrologia e
l'astronomia, l'aritmetica e la numerologia, ma qui l'unità che
sottende tutte queste determinazioni, la "speculazione umana", non è
certo un principio che consenta una scelta fra questi cosiddetti
complementari. Banalmente, è una mia classificazione, un nome, che
non si può ipostatizzare senza inconvenienti.
La coincidentia oppositorum poi di Cusano e di molti altri mistici,
occidentali e non, rinvia all'infinito la verifica; vale a dire che
propriamente la esclude per noi che a quell'infinito non abbiamo
strutturalmente accesso (e, se lo avessimo, non staremmo qui a
discutere).
Post by Carlo Pierini
Potresti tradurmi in
prosa la formula: ~(A & ~A),
Questa formula significa che non si dà mai il caso che qualcosa
(enunciata *nello stesso senso*) sia e non sia. Cioè, per esempio, è
sempre falso dire che "piove e non piove". E' il pdnc.
Post by Carlo Pierini
"Sogni d'oro" puoi dirlo tranquillamente a tua sorella prima di
darle il bacino della buonanotte; se vuoi dirlo anche a me senza
apparire maleducato e presuntuoso, sarebbe bene che ti spiegassi
un po' più chiaramente, non ti pare? Cos'è che non approvi della
filosofia junghiana, o della mia introduzione, e perché?
Non hai molto sense of humor :-)
Inoltre... quando si decide di partecipare ad un NG sarebbe meglio
acclimatarsi un po' prima, leggendo e non intervenendo ancora. In
tal modo ci si abitua al registro linguistico colà in uso, e se il
costume infine è gradito si sceglie di intervenire direttamente
senza far le verginelle. Le vecchie regole d'oro di usenet, peraltro
applicazioni di mero buon senso. Se per te l'ironia è indigesta, o
se confondi serietà e seriosità permalosa, mi sa che è meglio
avvertirti subito che questo è un posto caldo, ancorché moderato.
--
Ciao,
Cosimo.
Carlo Pierini
2006-09-24 01:36:06 UTC
Permalink
"Cosimo"
Post by Cosimo
Ho letto quegli esempi ed anche le obiezioni che ti sono state fatte
e le tue repliche ad esse; e da quello che hai detto ho preso le
mosse per la critica anche a ciò che è implicito seppur non
esplicitamente pensato e detto da te. Quindi, non c'è nessuna
gratuità nel proporti i miei "non" e i miei "unicorni".
CA
Invece ti ripeto che non ho mai considerato l'opposto di un concetto lo
stesso concetto preceduto dal "non", anzi, devo dirti che aborrrrrrrro
questo diffusissimo malcostume filosofico dettato solo dalla superficialità
e dall'eccesso di teorizzazioni astratte. Infatti, come avrai notato, non ho
mai detto che l'opposto della libertà è la *non-libertà*, ma che è
*l'obbedienza*, o (in amore) *la fedeltà* oppure *il sacrificio*, ecc., e ho
anche aggiunto che, a seconda del significato di tali opposti nella realtà
concreta, si può decidere se si tratta di un opposizione contraddittoria
oppure di una opposizione dialettica (complementare); tanto per capirci, se
l'obbedienza è cieca o coatta o fondata sulla paura o comunque è tale da
negare in modo più o meno grave la libertà, si tratta di una contraddizione,
mentre se essa è tale da esaltarla o, meglio, da realizzarla, allora si
tratta di una opposizione complementare.
La stessa cosa ho fatto con la coppia matematica/fisica (ben diversa da
matematica/non-matematica), la cui complementarizzazione ha dato origine a
una vera e propria rivoluzione della conoscenza, nell'esaltazione estrema di
entrambi i termini. E altrettanto ho fatto con tutte le altre coppie,
eccezion fatta per il Principio, il quale, data la sua massima nobiltà di
archetipo ultimo, può permettersi il grado massimo di opposizione
essere/non-essere senza sconfinare nella contraddizione come, invece, vi
sconfinerebbero dei termini meno nobili all'atto della loro negazione con un
"non-".
L'hai capito adesso che i tuoi "non" e i tuoi "unicorni" erano gratuiti?

CA
Post by Cosimo
Post by Carlo Pierini
Comunque, un esempio simile a quello da te gratuitamente citato io
l'ho accennato a Marco V, e riguardava non "quello che ci pare" ma
il Principio stesso e la dialetticità che c'è tra la sua
"Ti faccio un esempio assai generale, quello relativo all'eterno problema
dell'essere e del non-essere sul quale si sono accapigliati
moltissimi padri della filosofia. In questo caso è evidente che se
applichiamo i due termini ad "oggetti" UNIVOCI come quelli fisici
o come i numeri, essi sono mutuamente esclusivi (contraddizione), [....]
Ma se li applichiamo ad "oggetti" NON-UNIVOCI come,
per esempio, un Principio ultimo (o Dio), in un CERTO senso esso è
compiutamente non-esistente, poiché non è osservabile direttamente
in nessun luogo del cosmo e quindi aveva ragione Spinoza nel
chiamarlo il massimo Nulla, ma in un ALTRO senso esso è
massimamente esistente, l'Essere massimo, poiché governa l'intero
cosmo, oltreché sé stesso. E anche da questo punto di vista
risulta evidente che un tale Principio ultimo non può che
coincidere con il Principio di complementarità degli opposti (come
affermava N. Cusano nel suo concetto del Divino come "Complexio
oppositorum"), assumendo compiutamente in sé due attributi
massimamente opposti".
Ci trovi qualcosa che urta il rigore della tua logica?
CO
Post by Cosimo
Sì, quelle virgolette alla parola "oggetti" o la non esplicitazione
di quei sensi per cui il principio ultimo talvolta è nulla e
talaltra è tutto.
CA
Le virgolette vogliono dire che mi riferisco a oggetti del discorso, non
necessariamente a degli oggetti materiali. mentre la esplicitazione puoi
capirla benissimo dalla constatazione che un principio no lo si incontra per
strada già bell'e fatto, cioè NON ESISTE in natura come invece esiste un
albero o un rinoceronte, ma è il frutto di una astrazione; ma in un altro
senso un principio pur non essendo materialmente presente nel reale è
presente nelle sue fondamenta come *legge*. Ti sembrano parole più difficili
di quelle di Marco V?
Post by Cosimo
Non so se la mia logica sia rigorosa, ma
insomma... hic rodhus hic salta, e parte del senso della mia critica
sta appunto nel fatto che la non-univocità di una qualsiasi
determinazione rende assai facile dimostrare tutto e il contrario di
tutto. Così, se io ora dico che vi sarebbe un certo Principio
Vattelappesca dell'Acqua come oggetto del mio pensare ed
argomentare, senza determinarlo univocamente, posso comodamente
dimostrare che è per esso che l'acqua scorre secondo la linea di
minima pendenza. E questo perché si viola il pdnc non appena si
evita di distinguere esattamente in che senso si assume di volta in
volta il soggetto della predicazione (infatti, è nelle matematiche e
nel simbolismo della logica che si manifesta maggiormente tale
violazione, donde la loro esattezza). Dimodoché il tutto viene a
configurare una specie di petizione di principio: la
"dimostrazione" che qualcosa in un certo senso esiste e in un altro
senso non esiste è già data nel momento in cui parto dall'assunzione
di questo oggetto, assunzione che è equivoca proprio in relazione al
suo possibile essere o non-essere.
CA
Per adesso ti sto mostrando la coerenza dell'ipotesi di un Principio con
alcuni aspetti della logica. Per la dimostrazione della sua validità
universale devi aspettare di aver letto le 400 pagine del saggio, non puoi
mica pretendere che te la dimostri in mezza pagina, come pretendevano
ingenuamente Tommaso d'Aquino o Anselmo d'Aosta!

CO
Post by Cosimo
Post by Carlo Pierini
.Errore *di chi*? Dov'è che avrei confuso un'opposizione con una
distinzione?
CA
Post by Cosimo
Ovunque prendi una distinzione per una opposizione.
Coscienza e inconscio, mente e cervello, umiltà e coraggio -ad
esempio...
...non c'è alcuna
necessità di considerare l'inconscio come l'opposto della coscienza
(per quanto si possa scivolare sulla particolare formazione del
termine: inconscio=non-conscio); la non-coscienza può essere un
pollo fritto o la stato di morte;
CA
Dici così perché di psicologia non devi masticarne molto. L'inconscio, in
generale, non è la negazione assoluta della coscienza (non-coscienza), ma è
una entità che ha aspetti di distinzione e di autonomia dalla coscienza ma,
nella realtà concreta, a seconda che si trovi in opposizione contraddittoria
o in opposizione complementare con la coscienza, si ha la condizione di
patologia (nelle sue diverse gradazioni che vanno dalla schizofrenia, alla
psicosi ossessiva, alla depressione, alla nevrosi più o meno leggera) oppure
la massima vitalità della totalità psichica individuale. Scrive Jung:

"Come si sa per esperienza, la psiche oggettiva (l'inconscio) ha una
indipendenza estrema. Se non l'avesse, non potrebbe esercitare la sua
funzione peculiare: la compensazione della coscienza". [JUNG: Psicologia e
alchimia - pg.52]
Post by Cosimo
Del resto, se non facessi così, non potresti ritrovare per ciascuna
di queste coppie una unità di riferimento, via via meno specifica e
più generica; che possono essere in questi casi l'unità della
persona umana, o il comportamento, o le virtù morali. Ovvero quel
"tertium" che non si dà fra le vere opposizioni, enunciate in
proposizioni (a meno di non considerare i casi delle proposizioni
soltanto contrarie nel vecchio quadrato aristotelico, ciò che
riguarda la quantificazione del soggetto).
CA
Il "tertium" è uno dei concetti più centrali ma anche più difficili da
definire astrattamente, poiché, comprendendo in sé l'essenza di entrambi gli
opposti in un'unità, è un'entità diversa a seconda del caso reale che si
considera: in psicologia può essere una visione mistica, un simbolo onirico
di carattere archetipico, un ideale comune tra due esseri, ecc.; in teologia
è un simbolo sacro o un mandala; in fisica può essere un numero o
un'operazione numerica o una operazione di misura; ...e così via. In ogni
caso si tratta di una complementarità di opposti.
Post by Cosimo
Post by Carlo Pierini
Lo leggerò senz'altro, ma ciò che ho postato è solo
l'introduzione, non la dimostrazione. In ciò che hai letto hai
trovato qualche incongruenza?
Quelle che ti sto venendo a dire. Magari poi verranno le altre :-)
Post by Carlo Pierini
Oppure, hai qualche motivo di ordine
logico che si oppone alla possibilità di considerare Dio (o un
principio metafisico) come ratio cognoscendi?
Dipende dal principio metafisico.
Quello degli opposti complementari non può costituire ratio
cognoscendi perché non fornisce un criterio minimo di distinzione
fra fantasia e realtà. Io posso pur dire che nell'ambito della
"speculazione umana" abbiamo l'alchimia e la chimica, l'astrologia e
l'astronomia, l'aritmetica e la numerologia, ma qui l'unità che
sottende tutte queste determinazioni, la "speculazione umana", non è
certo un principio che consenta una scelta fra questi cosiddetti
complementari.
CA
Se anche la speculazione umana è conforme al Principio di complementarità
degli opposti (che è costituito da un corpus finito di regole definite), non
vedo motivi a priori per cui non possa fungere da ratio cognoscendi. del
resto, non è la speculazione umana quella che decreta l'erroneità di un
costrutto filosofico quando questo viola il pdnc?


Banalmente, è una mia classificazione, un nome, che
Post by Cosimo
non si può ipostatizzare senza inconvenienti.
La coincidentia oppositorum poi di Cusano e di molti altri mistici,
occidentali e non, rinvia all'infinito la verifica; vale a dire che
propriamente la esclude per noi che a quell'infinito non abbiamo
strutturalmente accesso (e, se lo avessimo, non staremmo qui a
discutere).
CA
Cusano e gli altri mistici/filosofi, non escluso Hegel, avevano una
concezione ancora 'acerba' della dialettica, perché priva di riferimenti a
casi reali e priva di un canone normativo.

CA
Post by Cosimo
Post by Carlo Pierini
"Sogni d'oro" puoi dirlo tranquillamente a tua sorella prima di
darle il bacino della buonanotte; se vuoi dirlo anche a me senza
apparire maleducato e presuntuoso, sarebbe bene che ti spiegassi
un po' più chiaramente, non ti pare? Cos'è che non approvi della
filosofia junghiana, o della mia introduzione, e perché?
CO
Post by Cosimo
Non hai molto sense of humor :-)
CA
Beh, ma io non lo so mica se hai una sorella o no. Ti è sembrata una battuta
seria?

CO
Post by Cosimo
Inoltre... quando si decide di partecipare ad un NG sarebbe meglio
acclimatarsi un po' prima, leggendo e non intervenendo ancora. In
tal modo ci si abitua al registro linguistico colà in uso, e se il
costume infine è gradito si sceglie di intervenire direttamente
senza far le verginelle.
CA
Mi dici questo perché ti sei offeso? Beh, allora, ...verginella sarà tua
sorella! ;-)
Il registro linguistico? Io penso di dovermi adattare al vostro quanto voi
dovete adattarvi al mio. Oppure voi vi reputate più schick di tutti gli
altri?

CO
Post by Cosimo
Se per te l'ironia è indigesta, o
se confondi serietà e seriosità permalosa, mi sa che è meglio
avvertirti subito che questo è un posto caldo, ancorché moderato.
L'ironia? ...Il sale della vita! Spero che sia così anche per te. E spero
che sia ammessa anche l'opposto complementare dell'ironia, cioè
l'incazzatura (ho detto "complementare", non "contraddittorio"), in
conformità al principio: "Quanno ce vo', ce vo'!".

Salutoni,

CP
.
Carlo Pierini
2006-09-24 02:14:45 UTC
Permalink
A proposito di umiltà e coraggio, o meglio di umiltà e fierezza, è noto che
la fierezza priva di umiltà sconfina nell'arroganza e nella prepotenza,
mentre l'umiltà priva di fierezza sconfina nel martirio e nella codardia.
Solo la loro integrazione complementare conferisce una coraggiosa umiltà o
un umile orgoglio. Ti sembra che in queste accezioni si parli astrattamente
di umiltà/non-umiltà o di fierezza/non-fierezza?
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