Discussione:
Evoluzionismo e finalismo
(troppo vecchio per rispondere)
La zanzara 76
2006-10-20 07:51:41 UTC
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Sembra che l'evoluzionismo darwiniano sia incompatibile con una
prospettiva finalistica: infatti tale evoluzionismo si basa su un
meccanismo di selezione naturale che presuppone variazioni casuali
nelle caratteristiche degli organismi viventi. Infatti quegli organismi
che sviluppano casualmente una caratteristica fisica favorevole,
conseguono un vantaggio rispetto agli altri organismi, perciò si
riproducono più facilmente e li soppiantano. In pratica sopravvive
l'organismo che, grazie ad un mutamento casuale delle proprie
caratteristiche, è più adeguato al suo ambiente e che può sfruttarne
le risorse più facilmente, in modo da avere più possibilità di
riprodursi.
Quindi la casualità con cui si produce una variazione di
caratteristica fisica di un organismo vivente dovrebbe implicare che la
linea evolutiva non segua un piano prestabilito.

Ora, il punto che voglio mettere in evidenza è quello delle mutazioni
casuali: supponiamo che esse siano del tutto accidentali, che non
seguano nessuna tendenza, e neanche uno scopo. Tuttavia il fatto che vi
è una selezione operata dall'ambiente, ossia non tutte le variazioni
casuali delle caratteristiche degli esseri viventi vengono accettate,
comporta un processo finalistico, ossia lo scopo dell'evoluzione è
di generare nel corso del tempo organismi che sfruttano in maniera
sempre più efficiente le risorse ambientali.

Quindi dato un certo ambiente naturale, in esso si osserverà una
evoluzione convergente, ossia progressivamente gli organismi che vi
abitano sono sempre più efficienti nello sfruttare le risorse del
proprio ambiente.

Dunque il fatto è che, se il mondo fosse retto dal puro caso, si
dovrebbero osservare una infinità di organismi viventi, tutti con
caratteristiche diverse tra di loro, ossia non ci sarebbe evoluzione ma
la vita si diramerebbe in tutti i rami possibili, sperimentando tutte
le combinazioni di caratteristiche possibili in un organismo vivente.
Invece si osserva il fatto che l'evoluzione segue un numero limitato
di linee evolutive (che sono in corrispondenza con i diversi ambienti
naturali del nostro pianeta). Quindi si può concludere che
l'evoluzione sia un processo finalistico, che persegue un fine.

Ma quali sono le conseguenze? Infatti ogni processo finalistico
presuppone un soggetto che organizzi quel processo, quindi dovrebbe
esserci un soggetto che persegue uno scopo e lo realizzi mediante
l'evoluzione.
Forse l'evoluzionismo è una prova dell'esistenza di Dio?
solania
2006-10-20 11:36:38 UTC
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.....beh, se c'è un'archeologia ci sarà anche una teleologia.
E visto che l'archeologia c'è...... e pure il ragionamento
ipotetico-deduttivo....vedi tu ! :-)
Signor K.
2006-10-20 13:59:54 UTC
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Post by La zanzara 76
Sembra che l'evoluzionismo darwiniano sia incompatibile con una
prospettiva finalistica: infatti tale evoluzionismo si basa su un
meccanismo di selezione naturale che presuppone variazioni casuali
nelle caratteristiche degli organismi viventi. Infatti quegli organismi
che sviluppano casualmente una caratteristica fisica favorevole,
conseguono un vantaggio rispetto agli altri organismi, perciò si
riproducono più facilmente e li soppiantano. In pratica sopravvive
l'organismo che, grazie ad un mutamento casuale delle proprie
caratteristiche, è più adeguato al suo ambiente e che può sfruttarne
le risorse più facilmente, in modo da avere più possibilità di
riprodursi.
La questione non è così semplice. Partiamo da una prima considerazione
apparentemente univoca: alcuni genotipi casualmente presentano delle
mutazioni genetiche, le quali possono essere adattative. Tuttavia il termine
«adattativa» può avere diverse connotazioni. Probabilmente quella a cui
molti si riferiscono è che una caratteristica fisica di un fenotipo è
adattativa quando permette un migliore adattamento all'ambiente circostante.

Cosa intendiamo in questo caso per «migliore»? Un adattamento A è migliore
di un altro quando permette di soddisfare un bisogno biologico x in minor
tempo, evitando più rischi per la propria sopravvivenza e spendendo una
quantità di energie minori, rispetto all'adattamento B.

Nel momento in cui compare una mutazione genetica adattativa siamo quindi
portati a credere che quella mutazione sia migliore di un'altra, il che è
falso. Ciò che determina l'adattività di una mutazione genetica sono le
condizioni ambientali che, come è noto, sono del tutto contingenti e quindi
casuali.

Inoltre non sempre ciò che è adattativo non è affatto sinonimo di
«migliore». Un pregiudizio di questo genere, detto «paradigma panglossiano»
(da Pangloss, il personaggio leibniziano del Candide di Voltaire che
sosteneva di vivere nei «migliore dei mondi possibili»), è stato apertamente
confutato da biologi come Dawkins (1976) o Mayr (1981), o da filosofi come
Dennett (1995) e Stich (1991). Per esempio, gli orsi polari (detti anche
"orsi albini") presentano rispetto ad altri orsi la caratteristica
adattativa del pelo bianco. Tuttavia questa variazione per quanto possa
essere adattativa, ha portato ad un notevole depotenziamento delle capacità
visive dell'orso. Se le condizioni ambientali polari cambiassero (ed è già
accaduto in passato), dell'orso polare non rimarrebbe probabilmente più
nulla. Se ci fosse un qualche tipo di «finalità» intrinseca alla selezione
naturale, allora non ci sarebbero neanche l'estinzione delle specie.

E ancora, può accadere che un gruppo di individui di una popolazione
genotipica presenti una variazione genetica più adattativa rispetto ad un
altro gruppo di individui della medesima popolazione genotipica. Tuttavia
tale variazione genetica, per quanto in relazione all'ambiente possa
risultare più adattativa, può comportare altre conseguenze genetiche come,
ad esempio, la sterilità o il depotenziamento di altre caratteristiche
fisiche che, per quanto possano essere secondaria, alla lunga possono
condizionare la sopravvivenza del fenotipo portatore della mutazione
rispetto agli individui meno adattativi. O ancora può accadere che gran
parte del gruppo degli individui che presentano quella caratteristica più
adattativi possano venire eliminati da fattori ambientali non dipendenti
dalla selezione naturale.



Quindi la casualità con cui si produce una variazione di
Post by La zanzara 76
caratteristica fisica di un organismo vivente dovrebbe implicare che la
linea evolutiva non segua un piano prestabilito.
Ora, il punto che voglio mettere in evidenza è quello delle mutazioni
casuali: supponiamo che esse siano del tutto accidentali, che non
seguano nessuna tendenza, e neanche uno scopo. Tuttavia il fatto che vi
è una selezione operata dall'ambiente, ossia non tutte le variazioni
casuali delle caratteristiche degli esseri viventi vengono accettate,
comporta un processo finalistico, ossia lo scopo dell'evoluzione è
di generare nel corso del tempo organismi che sfruttano in maniera
sempre più efficiente le risorse ambientali.
Quindi dato un certo ambiente naturale, in esso si osserverà una
evoluzione convergente, ossia progressivamente gli organismi che vi
abitano sono sempre più efficienti nello sfruttare le risorse del
proprio ambiente.
No, questo non corrisponde alle nostre conoscenze attuali. Un altro mito da
sfatare, direi tutto neolamarckiano, è che il processo evolutivo sia una
specie di movimento progressivo e graduale verso il «miglioramento». In
realtà la natura ci mostra organismi viventi, come gli ameba, che sono
rimasti identici a come erano milioni di anni fa. Se l'evoluzione fosse
davvero un processo lineare e progressivo allora tutti gli organismi viventi
sarebbero soggetti ad un processo progressivo di adattamento.

Secondo Mayr e Dennett, ad esempio, ci sono momenti di stress ambientale,
cioè di pressione ambientale, che velocizzano esponenzialmente l'evoluzione
di una o più specie ma non di altre. L'evoluzione, in altre parole, essendo
un processo casuale non ha in sé alcun tipo di ordine prestabilito.

Ancora: le variazioni genetiche non necessariamente risultano essere
adattative. Alcune di esse possono essere del tutto inutili. Questo
basterebbe a confutare qualsiasi teleologia intrinseca al processo
evolutivo. Per esempio, i biologi evolutivi si sono sempre chiesti in che
modo si siano evolute le ali dei volatili. Se infatti l'evoluzione è un
processo lento e graduale (il ché non significa che sia progressivo, ma qui
per «graduale» intendo ciò che intende Mayr quando usa questo termine: «che
non ammette salti»), come è possibile che siano comparse le ali se non da un
«giorno all'altro»? Addirittura qualcuno ipotizzò che ci fu una sorta di
«Adamo con le ali», un «mostro della natura» che, essendo più adattativo, ha
soppiantato con la sua progenie gli altri della sua specie. Nulla di più
falso. Le ali sono state il risultato di una mutazione genetica lenta e
graduale. Probabilmente gli organismi che presentavano delle proto-ali non
le usavano affatto oppure le usavano per altri compiti a noi ignoti (sempre
relativamente alle condizioni ambientali), fatto sta che col passare del
tempo incominciarono ad utilizzarle nel modo che noi tutti conosciamo ora.
Post by La zanzara 76
Dunque il fatto è che, se il mondo fosse retto dal puro caso, si
dovrebbero osservare una infinità di organismi viventi, tutti con
caratteristiche diverse tra di loro, ossia non ci sarebbe evoluzione ma
la vita si diramerebbe in tutti i rami possibili, sperimentando tutte
le combinazioni di caratteristiche possibili in un organismo vivente.
Invece si osserva il fatto che l'evoluzione segue un numero limitato
di linee evolutive (che sono in corrispondenza con i diversi ambienti
naturali del nostro pianeta). Quindi si può concludere che
l'evoluzione sia un processo finalistico, che persegue un fine.
Date le tue premesse non segue necessariamente che vi sia una «progetto
evolutivo». Come saprai più del 99,9% delle specie esistite si sono estinte.
Ed è probabile che prima o poi anche quelle attualmente esistenti si
estingueranno a seconda dei cambiamenti ambientali o altri fattori
contingenti (speriamo di non incontrare mai un meteorite). Nulla cioè di fa
pensare che queste linee evolutive siano le uniche necessarie o le sole
possibili. La natura sfornerà altre specie, magari più adatte di altre in
certi ambienti. Il processo di speciazione d'altra parte non è interno alla
mutazione genetica (questo deve essere ben chiaro!) ma avviene, come osservò
già a suo tempo Darwin (1859) osservando le tartarughe e gli uccelli delle
Galapagos, perché un gruppo di individui di una specie sono stati isolati in
un ambiente diverso rispetto all'altro gruppo. Se tale ambiente presenterà
caratteristiche differente potrà annientare questo gruppo di individui (cosa
altamente probabile) o se questi individui saranno molto fortunati potranno,
grazie a variazioni genetiche accidentali, adattarsi ad esso.
Post by La zanzara 76
Ma quali sono le conseguenze? Infatti ogni processo finalistico
presuppone un soggetto che organizzi quel processo, quindi dovrebbe
esserci un soggetto che persegue uno scopo e lo realizzi mediante
l'evoluzione.
Forse l'evoluzionismo è una prova dell'esistenza di Dio?
Dennett definisce l'evoluzionismo darwiniano «l'acido universale» perché
corrode qualsiasi credenza metafisica nei confronti dell'uomo e del mondo in
genere. Direi che è una definizione un po' forte per dire che se
evoluzionismo è vero, allora non esiste alcun Progettista soprannaturale.



Saluti,

K.
Signor K.
2006-10-20 14:05:21 UTC
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Post by Signor K.
Inoltre non sempre ciò che è adattativo non è affatto sinonimo di
^^^^^^^^^^^^^^^^
Post by Signor K.
«migliore».
Si legga: "Ciò che è adattivo non è affatto sinonimo di «migliore»".

K.
Luciano
2006-10-20 14:41:10 UTC
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Post by Signor K.
Post by La zanzara 76
Ma quali sono le conseguenze? Infatti ogni processo finalistico
presuppone un soggetto che organizzi quel processo, quindi dovrebbe
esserci un soggetto che persegue uno scopo e lo realizzi mediante
l'evoluzione.
Forse l'evoluzionismo è una prova dell'esistenza di Dio?
Dennett definisce l'evoluzionismo darwiniano «l'acido universale» perché
corrode qualsiasi credenza metafisica nei confronti dell'uomo e del mondo in
genere. Direi che è una definizione un po' forte per dire che se
evoluzionismo è vero, allora non esiste alcun Progettista soprannaturale.
Un tempo l'opinione diffusa era il creazionismo, fondato sull'autorità della
Bibbia, secondo cui ogni specie animale era stata creata individualmente ed
era rimasta identica fino ai giorni nostri.
Darwin ha sostenuto che:
1) le specie animali non sono sorte tutte insieme
2) non sono rimaste immutate fino a oggi
3) i cambiamenti evolutivi sono prodotti dalla selezione dell'ambiente

Le teorie 1) e 2) sono oggi accettate da tutti, anche dalla Chiesa.
La 3) mi sembra una teoria non soddisfacente, e non è accettata
universalmente. Infatti la selezione può spiegare l'estinzione di alcune
specie incapaci di adattarsi all'ambiente, ma non l'evoluzione da una specie
all'altra, che è indotta da mutazioni genetiche. E non conosciamo una teoria
che ci spieghi con quali regole avvengano le mutazioni genetiche. Certamente
l'esistenza di un ambiente inadatto non è causa di mutazioni genetiche,
almeno non risulta da osservazioni o esperimenti fatti su scala abbastanza
ampia.
Quindi sui fattori casuali che producono le mutazioni genetiche si può fare
qualunque ipotesi, che restano pure ipotesi senza conferme sperimentali.
Qualcuno dirà che sono fenomeni materiali e naturali, però non uniformi;
qualcuno dirà che c'è un disegno intelligente della natura, intesa come un
ente materiale; qualcun altro dirà che il disegno intelligente è opera di un
essere spirituale trascendente, cioè Dio; qualcuno può sostenere che
l'evoluzione è frutto di un progetto verso il progresso; qualcun altro
penserà invece che è un processo continuo di decadenza a partire da uno
stato beatifico primordiale, ecc ecc.
Credo comunque che il darwinismo non può confermare né confutare nessuna di
queste ipotesi.
Signor K.
2006-10-21 12:17:55 UTC
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Post by Luciano
Post by Signor K.
Dennett definisce l'evoluzionismo darwiniano «l'acido universale» perché
corrode qualsiasi credenza metafisica nei confronti dell'uomo e del mondo
in
Post by Signor K.
genere. Direi che è una definizione un po' forte per dire che se
evoluzionismo è vero, allora non esiste alcun Progettista soprannaturale.
Un tempo l'opinione diffusa era il creazionismo, fondato sull'autorità della
Bibbia, secondo cui ogni specie animale era stata creata individualmente ed
era rimasta identica fino ai giorni nostri.
1) le specie animali non sono sorte tutte insieme
2) non sono rimaste immutate fino a oggi
3) i cambiamenti evolutivi sono prodotti dalla selezione dell'ambiente
Le teorie 1) e 2) sono oggi accettate da tutti, anche dalla Chiesa.
Questo lo ignoro, in ogni caso sono presupposti condivisibili in un'ottica
esclusivamente evoluzionista.
Post by Luciano
La 3) mi sembra una teoria non soddisfacente, e non è accettata
universalmente. Infatti la selezione può spiegare l'estinzione di alcune
specie incapaci di adattarsi all'ambiente, ma non l'evoluzione da una specie
all'altra, che è indotta da mutazioni genetiche. E non conosciamo una teoria
che ci spieghi con quali regole avvengano le mutazioni genetiche. Certamente
l'esistenza di un ambiente inadatto non è causa di mutazioni genetiche,
almeno non risulta da osservazioni o esperimenti fatti su scala abbastanza
ampia.
Non vedo perché 3) non dovrebbe essere soddisfacente se l'argomentazione che
poni sul piatto è la seguente:

Premessa: "i cambiamenti evolutivi sono prodotti dalla selezione
dell'ambiente".
Ma: a) "la selezione dell'ambiente non può spiegare la speciazione".
Perché: b) "la speciazione è indotta da mutazioni genetiche di cui ignoriamo
le regole".

Ti contesto a) e b) per il seguente motivo:

la speciazione (cioè, quel processo evolutivo che porta alla
differenziazione specie specifica di un gruppo di individui rispetto ad un
altro gruppo di individui) non è causata dalla variazione genetica, la quale
presa in sé, ossia *isolatamente*, non ha alcuna funzione nella speciazione.

Come scrive Montalenti nella sua biografia di Darwin (1998), Darwin fu
convinto che la selezione naturale fosse caratterizzata principalmente da
una selezione ambientale osservando i giardinieri o i botanici "creare"
nuove specie di fiori dall'incrocio di altri. Egli era convinto che in
qualche modo la "natura" potesse agirre allo stesso modo nei confronti di
tutti gli organismi viventi. Naturalmente ignorava i meccanismi genetici che
ci sono dietro a questi incroci, non conoscendo Mendel. Ma la più importante
intuizione la ebbe quando osservò che le tartarughe delle isole Galapagos si
differenziano in gruppi con caratteristiche diverse a seconda dell'isola in
cui si trovavano. Ipotizzò che in qualche modo la speciazione avviene quando
un gruppo di individui di una specie è isolato geograficamente da un altro
gruppo della stessa specie in un'ambiente che presenta caratteristiche più o
meno differenti. In questo modo è possibile anche spiegare la ramificazione
delle specie.

E' altrettanto chiaro che quelle variazione genetiche che sarebbero nulle
nell'ambiente di "origine" potrebbero invece essere adattative nel "nuovo"
ambiente. E' solo in questo senso che entra in funzione, nel processo
evolutivo, la variazione genetica.

Con ciò posso anche accettare un'altra tua osservazione, e cioè che
ignoriamo le regole di combinazione genetica e quindi il motivo per cui un
DNA non viene ricopiato perfettamente da un genotipo ad un altro. Definiamo
"accidentale", qui, qualcosa che per ora non possiamo spiegare in termini
deterministici, esattamente come sosteneva Spinoza.
Post by Luciano
Quindi sui fattori casuali che producono le mutazioni genetiche si può fare
qualunque ipotesi, che restano pure ipotesi senza conferme sperimentali.
Qualcuno dirà che sono fenomeni materiali e naturali, però non uniformi;
qualcuno dirà che c'è un disegno intelligente della natura, intesa come un
ente materiale; qualcun altro dirà che il disegno intelligente è opera di un
essere spirituale trascendente, cioè Dio; qualcuno può sostenere che
l'evoluzione è frutto di un progetto verso il progresso; qualcun altro
penserà invece che è un processo continuo di decadenza a partire da uno
stato beatifico primordiale, ecc ecc.
Credo comunque che il darwinismo non può confermare né confutare nessuna di
queste ipotesi.
Per quanto riguarda la selezione naturale ci sono già conferme sperimentali,
in qualsiasi laboratorio botanico (per non parlare degli studi di genetica
evolutiva). Certo, probabilmente questo non basta, ma mi sembra che
l'evoluzionismo possa dare una spiegazione a certi dati empirici senza
appellarsi a concetti oscuri o mistici.

K.
Marco V.
2006-10-21 22:15:58 UTC
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Post by Signor K.
Post by Luciano
1) le specie animali non sono sorte tutte insieme
2) non sono rimaste immutate fino a oggi
3) i cambiamenti evolutivi sono prodotti dalla selezione dell'ambiente
Le teorie 1) e 2) sono oggi accettate da tutti, anche dalla Chiesa.
Questo lo ignoro, in ogni caso sono presupposti condivisibili in un'ottica
esclusivamente evoluzionista.
Beh, 1) e 2) vengono accettati come dei "fatti" (paleologicamente
verificabili: fossili etc.). 3) è l'ipotesi scientifica che si propone di
rendere conto, cioè di fornirne una spiegazione, di quei fatti. In quanto
ipotesi - asserto cioè che non riesce a stabilire una relazione logica con
1) e 2) - la 3) è respingibile.

In teoria la Chiesa potrebbe, sul piano puramente logico, respingere anche
1) e 2) (e lo potrebbe fare facendosi "relativista" quando conviene: gli
asserti 1) e 2) sono, da ultimo, costruzioni teoriche anch'essi, non
conclusivamente validabili da alcuna "evidenza"). Ma delle possibilità
puramente "logiche" non sempre conviene avvalersi, nel mondo
storico-linguistico...

E rimane comunque innegabile - per quanto la scienza possa pensare di
utilizzare future (ma in parte, secondo alcuni, già disponibili) "evidenze
sperimentali" per trasformare la 3) in un asserto "fattuale" - la differenza
che separa la 1) e la 2) dalla 3). La 1) e la 2) implicano logicamente la
negazione del "fissismo", ma non del "creazionismo" simpliciter: è
sufficiente che il "creatore" si trasformi in un "progettista
intelligente":-), e 1) e 2) smettono di falsificare simpliciter il
"creazionismo". 3), invece, dà grossi grattacapi al "creazionismo", se il
"creatore" è anche un pilota dell'universo creato, perché 3) incorpora la
nozione di "caso".
Post by Signor K.
la speciazione (cioè, quel processo evolutivo che porta alla
differenziazione specie specifica di un gruppo di individui rispetto ad un
altro gruppo di individui) non è causata dalla variazione genetica, la
quale presa in sé, ossia *isolatamente*, non ha alcuna funzione nella
speciazione.
Interessante questione, quella della definizione di "speciazione" e,
conseguentemente, di "specie".
Se ho capito bene, per te la speciazione non può essere causata dalla
variazione genetica, perché è la configurazione dell'ambiente a decidere il
valore adattativo della variazione genetica stessa: la stessa variazione
genetica potrebbe avere un significato evolutivo nullo in un determinato
ambiente, ed un valore adattativo in un altro ambiente. Ma perché un
determinato gruppo di individui si stabilisca come "specie", è richiesta o
no la comparsa dell'isolamento riproduttivo? Come sai, lo è. La definizione
proposta da Ernst Mayr ["Storia del pensiero biologico", Bollati
Boringhieri, 1. ed. 1990; pag. 220] suona:
<<Una specie è una comunità riproduttiva di popolazioni (isolate
riproduttivamente da altre) che occupa una nicchia specifica in natura>>.

Ma la comparsa dell'isolamento riproduttivo è basato o no su una variazione
genetica? E se la comparsa dell'isolamento riproduttivo è basata su una
varazione genetica, ciò è sufficiente ad affermare che la speciazione è
causata da una variazione genetica? Sono queste, le due domande alle quali
dovremmo rispondere. La risposta alla prima domanda è positiva. La risposta
alla seconda domanda sembra essere immediatamente negativa, se facciamo
valere il fatto che nella definizione di "specie" sopra utilizzata, è
presente una componente "ecologica" (la "nicchia specifica"). Tuttavia, sono
noti casi "speciazione istantanea". Si può obiettare che l'esistenza di una
"speciazione istantanea", essendo molto poco frequente in natura, non può
essere usata per dedurre che la speciazione sia causata da una variazione
genetica. E allora la questione diviene quella di determinare il significato
della comparsa dell'isolamento riproduttivo. Perché si possa negare che la
variazione genetica è causa della speciazione, occorre poter negare che il
significato della acquisizione dell'isolamento riproduttivo da parte di una
*popolazione* di individui si riduca a quello di variazione genetica.
Post by Signor K.
[Darwin] Ipotizzò che in qualche modo la speciazione avviene >quando un
gruppo di individui di una specie è isolato geograficamente da un >altro
gruppo della stessa specie in un'ambiente che presenta caratteristiche >più
o meno differenti. In questo modo è possibile anche spiegare la
Post by Luciano
ramificazione delle specie.
Mayr sottopone, nell'opera citata sopra, ad una penetrante critica la
confusione, di cui fu vittima anche Darwin, tra "isolamento geografico" ed
"isolamento riproduttivo". E' ovvio che se un gruppo di individui A si
separa, per una qualche ragione, geograficamente dal resto (non-A) degli
altri individui rispetto ai quali è reciprocamente fertile, allora tra A e
non-A non vi saranno più accoppiamenti, dunque nessun flusso genico. Ma
questa situazione non corrisponderà all'acquisizione, da parte di A, di un
meccanismo di isolamento *biologico*.


Un saluto,

Marco
Signor K.
2006-10-22 10:07:48 UTC
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Post by Marco V.
"Signor K."
Post by Luciano
1) le specie animali non sono sorte tutte insieme
2) non sono rimaste immutate fino a oggi
3) i cambiamenti evolutivi sono prodotti dalla selezione dell'ambiente
Le teorie 1) e 2) sono oggi accettate da tutti, anche dalla Chiesa.
Questo lo ignoro, in ogni caso sono presupposti condivisibili in un'ottica
esclusivamente evoluzionista.
Beh, 1) e 2) vengono accettati come dei "fatti" (paleologicamente
verificabili: fossili etc.). 3) è l'ipotesi scientifica che si propone di
rendere conto, cioè di fornirne una spiegazione, di quei fatti. In quanto
ipotesi - asserto cioè che non riesce a stabilire una relazione logica con
1) e 2) - la 3) è respingibile.
Se non fosse "respingibile" (direi, "falsificabile"), non sarebbe neanche
un'ipotesi scientifica, non credi? In ogni caso, come scrivevo
precedentemente, la Chiesa può anche accettare i punti 1) e 2), nessuno
glielo vieta (sarebbe carino sapere che interpretazioni ne danno), ma questo
non importa.1) e 2) possono essere accettati (e lo sono) in un'ottica
esclusivamente evoluzionista, senza che si faccia riferimento ad entità
soprannaturali.

La questione è, d'altro canto, capire se la 3) possa essere accettata
rispetto alle altre due: il creazionismo o il fissismo. La speciazione e
l'estinzione, come saprai, confutano nettamente il fissisimo. Per quanto
riguarda il creazionismo per ora non è confutabile, ma è ragionevole
pensare, visto i dati di cui disponiamo, che l'evoluzionismo darwiniano sia
più valido. Perlomeno spiega in modo chiaro la formazione dell'ecosistema e
l'insieme di fatti numericamente rilevanti, senza dover far riferimento
necessariamente ad altri concetti oscuri.
Post by Marco V.
In teoria la Chiesa potrebbe, sul piano puramente logico, respingere anche
1) e 2) (e lo potrebbe fare facendosi "relativista" quando conviene: gli
asserti 1) e 2) sono, da ultimo, costruzioni teoriche anch'essi, non
conclusivamente validabili da alcuna "evidenza"). Ma delle possibilità
puramente "logiche" non sempre conviene avvalersi, nel mondo
storico-linguistico...
E rimane comunque innegabile - per quanto la scienza possa pensare di
utilizzare future (ma in parte, secondo alcuni, già disponibili) "evidenze
sperimentali" per trasformare la 3) in un asserto "fattuale" - la differenza
che separa la 1) e la 2) dalla 3). La 1) e la 2) implicano logicamente la
negazione del "fissismo", ma non del "creazionismo" simpliciter: è
sufficiente che il "creatore" si trasformi in un "progettista
intelligente":-), e 1) e 2) smettono di falsificare simpliciter il
"creazionismo". 3), invece, dà grossi grattacapi al "creazionismo", se il
"creatore" è anche un pilota dell'universo creato, perché 3) incorpora la
nozione di "caso".
Condivido la tua analisi. Come ti dicevo non mi sono mai interessato della
posizione della Chiesa nei confronti dell'evoluzionismo, se non in modo
superficiale.
Post by Marco V.
la speciazione (cioè, quel processo evolutivo che porta alla
differenziazione specie specifica di un gruppo di individui rispetto ad un
altro gruppo di individui) non è causata dalla variazione genetica, la
quale presa in sé, ossia *isolatamente*, non ha alcuna funzione nella
speciazione.
Interessante questione, quella della definizione di "speciazione" e,
conseguentemente, di "specie".
Se ho capito bene, per te la speciazione non può essere causata dalla
variazione genetica, perché è la configurazione dell'ambiente a decidere il
valore adattativo della variazione genetica stessa: la stessa variazione
genetica potrebbe avere un significato evolutivo nullo in un determinato
ambiente, ed un valore adattativo in un altro ambiente. Ma perché un
determinato gruppo di individui si stabilisca come "specie", è richiesta o
no la comparsa dell'isolamento riproduttivo? Come sai, lo è. La definizione
proposta da Ernst Mayr ["Storia del pensiero biologico", Bollati
<<Una specie è una comunità riproduttiva di popolazioni (isolate
riproduttivamente da altre) che occupa una nicchia specifica in natura>>.
Dobbiamo fare maggiore chiarezza a riguardo. Sono d'accordo che la
speciazione abbia come causa l'isolamente riproduttivo di un gruppo di
individui di una determinata specie. E d'altra parte se non fossero della
*stessa* specie, questi individui non potrebbero neanche riprodursi. Una
specie infatti è un insieme di individui che possono riprodursi
isolatamente. Ma è chiaro che la speciazione non può ridursi semplicemente
al mero isolamente riproduttivo, occorre anche che, affinché la specie
mostri delle caratteristiche sostanzialmente differenti rispetto a quelle di
un'altra specie (diciamo quella di "partenza"), ci sia una selezione
naturale che veda coinvolti sia il pool di geni con variazioni genetiche che
le condizioni ambientali. Naturalmente sarà un concatenamento di eventi
casuali a "selezionare" gli individui e il loro pool genetico.

Mayr in questo senso è stato molto chiaro, ecco cosa dice [Biologia ed
evoluzione, Bollati Boringhieri, ed. 1982, pp. 102-103] riguardo alla
speciazione:

«Il problema più importante nel campo della microdiversità è quello della
molteplicazione della specie, cioè dell'origine di nuove popolazioni isolate
dal punti di vista della riproduzione [la definizione di "specie" di Mayr].
Esso è stato risolto [...] dalla teoria della speciazione geografica,
secondo la quale le nuove specie traggono origine non da salti improvvisi ma
dalla graduale ricostituzione di popolazione geograficamente isolate .Questa
ricostituzione genetica si attua sotto il controllo costante della selezione
naturale. Quando il processo è compiuto, la popolazione della nuova specie
ha acquisito tanto il suo nuovo adattamento ecologico che i necessari
meccanismi d'isolamento protettivo».

Mi sembra pertanto che la tua osservazione fosse solo un'appendice a ciò che
ho sostenuto nel post precedente. Sicuramente ben accetta anche perché il
concetto di "speciazione geografica" deve partire necessariamente da quello
di specie, intesa come un insieme di individui isolati riproduttivamente: né
più né meno. La variazione genetica, pertanto, in sé non ha alcuna funzione
nell'evoluzione, ma ne assume una, di funzione, solo in relazione alle
condizioni ambientali. E' noto, inoltre, che ci sono variazioni genetiche
del tutto inutili per il fenotipo ma che, magari col passare del tempo,
possono diventarlo (vedi la spiegazione della comparsa di "nuovi organi"
dello stesso Mayr).
Post by Marco V.
Ma la comparsa dell'isolamento riproduttivo è basato o no su una variazione
genetica? E se la comparsa dell'isolamento riproduttivo è basata su una
varazione genetica, ciò è sufficiente ad affermare che la speciazione è
causata da una variazione genetica? Sono queste, le due domande alle quali
dovremmo rispondere. La risposta alla prima domanda è positiva. La risposta
alla seconda domanda sembra essere immediatamente negativa, se facciamo
valere il fatto che nella definizione di "specie" sopra utilizzata, è
presente una componente "ecologica" (la "nicchia specifica"). Tuttavia, sono
noti casi "speciazione istantanea". Si può obiettare che l'esistenza di una
"speciazione istantanea", essendo molto poco frequente in natura, non può
essere usata per dedurre che la speciazione sia causata da una variazione
genetica. E allora la questione diviene quella di determinare il significato
della comparsa dell'isolamento riproduttivo. Perché si possa negare che la
variazione genetica è causa della speciazione, occorre poter negare che il
significato della acquisizione dell'isolamento riproduttivo da parte di una
*popolazione* di individui si riduca a quello di variazione genetica.
[Darwin] Ipotizzò che in qualche modo la speciazione avviene >quando un
gruppo di individui di una specie è isolato geograficamente da un >altro
gruppo della stessa specie in un'ambiente che presenta caratteristiche
Post by Luciano
più
o meno differenti. In questo modo è possibile anche spiegare la
Post by Luciano
ramificazione delle specie.
Mayr sottopone, nell'opera citata sopra, ad una penetrante critica la
confusione, di cui fu vittima anche Darwin, tra "isolamento geografico" ed
"isolamento riproduttivo". E' ovvio che se un gruppo di individui A si
separa, per una qualche ragione, geograficamente dal resto (non-A) degli
altri individui rispetto ai quali è reciprocamente fertile, allora tra A e
non-A non vi saranno più accoppiamenti, dunque nessun flusso genico. Ma
questa situazione non corrisponderà all'acquisizione, da parte di A, di un
meccanismo di isolamento *biologico*.
L'isolamento riproduttivo è altrettanto importante dell'isolamento
geografico. Se l'uno non potrebbe avere luogo l'altro. Ma l'isolamento
riproduttivo può aver luogo solo quando c'è un isolamento geografico e non
viceversa. Questo significa almeno due cose: a) la speciazione *deve*
partire da individui che appartenevano alla stessa specie (specie iniziale),
altrimenti non potrebbero riprodursi; b) ha luogo solo quando un gruppo di
individui di una stessa specie sono isolati geograficamente, tanto da
presentare delle variazioni genetiche (conservate dalla "selezione
naturale") che, col passare del tempo, possono cambiare radicalmente il pool
genico, tanto da trasformare la stessa specie. Ecco una spiegazione.
Supponiamo che un gruppo di individui A appartenenti alla specie x (quindi
individui che si possono riprodurre) siano isolati geograficamente.
Ammettiamo ora che A presenti col passare del tempo un numero di variazioni
genetiche che, a causa del nuovo ambiente nei quali vivono, sono conservati
e che non avrebbero mai conservato se vivessero ancora se fossero vissuti
nell'ambiente "d'origine". Ora A, dopo un tot di tempo, mosterà un pool
genetico diverso da quello di origine, tanto da poter essere definita come
caratterizzante la specie y. La nuova specie y sicuramente avrà una parte
del proprio pool genetico ancora "identico" a quello della specie x, ma a
causa dell'isolamento geografico avrà alcuni caratteri fondamentalmente
diversi e caratterizzanti (e il caso, tanto per dirne una, dell'uomo che ha
il 97% del proprio DNA identico a quello degli scimpanzé).

Tra l'altro, questa questione dell'isolamento può essere impiegata anche per
confutare in modo deciso l'idea che a sopravvivere siano i cosiddetti "più
adatti". Supponiamo che un insieme di individui isolati riproduttivamente
(specie) sia suddiviso in due sotto-insiemi: uno numericamente inferiore
composto da individui che mostrano variazioni genetiche più adattative ed
uno numericamente superiore composto da individui che mostrano variazioni
genetiche meno adattative. Supponiamo ora che, a causa di un qualche evento,
gran parte degli individui che presentano caratteristiche più adattative si
allontanino geograficamente, sebbene l'ambiente nuovo nel quale vivranno è
sostanzialmente identico a quello vecchio. Che cosa potrebbe accadere? Gli
individui che avranno caratteristiche più adattative (i cosiddetti "più
adatti") ora saranno isolati geograficamente, tuttavia non avranno a
disposizione (per riprodursi) individui che presentano caratteristiche meno
adattive. Saranno così costretti a copulare e riprodursi tra di loro, anche
tra parenti. Accadrà che, nell'arco di poche generazioni, tutti gli
individui più adattativi saranno imparentati tra di loro (visto il numero
esiguo di partenza). Questo cosa significa? Come sai un gruppo di individui
imparentato che si riproduce senza accogliere, per così dire, "nuovi"
individui al suo interno è destinato, nel corso di qualche generazione, a
diventare "sterile" (questa fu un'osservazione fatta a suo tempo già da
Mendel il quale notò che dopo una serie di incroci le piante diventavano
sterili, ma che è presa in seria considerazione anche dagli antropologi che
studiano le cosiddette "società chiuse", quelle che non ammettono
l'inserimento di nuovo individui, le quali sembrerebbero essere destinate
all'estinzione; in questo senso, ad esempio, si può spiegare la crisi
demografica che attanagliò la città di Sparta nel III sec. a. C. e gli
spartiati, una delle cause della loro caduta)! Pertanto la caratteristica
più adattative non garantisce neanche la sopravvivenza del "più adatto",
tant'è che il più adatto se diventa sterile, a causa del numero esiguo di
individui con cui può riprodursi, non potrà portare avanti il proprio pool
genetico più adattativo.

Infine, il problema della "speciazione istantanea" è ancora molto aperto. Si
tratta di un concetto molto caro ad alcuni biologi come Gould e filosofi
come Chomsky. Ammettere una speciazione istantanea significherebbe minare al
suo interno l'evoluzionismo, il quale invece ammette solamente un processo
graduale privo di "salti" (in tal senso l'evoluzionismo rispetta e fa
proprio il principio leibniziano del "natura non facit saltus). Tutto
dipende da cosa intendiamo per "istantaneo". Dobbiamo infatti ricordare e
tener ben presente che parliamo pur sempre di epoche geologiche e
l'istantaneo in epoche geologiche equivale pur sempre a millenni.
In realtà sia Mayr che Dennett hanno osservato che i cambiamenti genetici
avvengono sicuramente in modo graduale, ma non nel senso di progressivo e
stabile. Ci sono momenti di "secca", in cui, a causa delle condizioni
ambientali più o meno stabili, non si registrano variazioni genetiche
rilevanti (nel senso che i singoli organismi possono certamente presentarle,
ma essendo del tutto "inutili" all'adattamento o cadranno nell'oblio o
rimarranno come "appendici" inutilizzate dei vari fenotipi). Si è poi notato
che, in certi periodi geologici, ci sia stata una sorta di «esplosione
genetica», cioè la registrazione di numerose variazioni genetiche più
adattive che hanno, in breve tempo, caratterizzato nuove specie. Questo è
spiegabile in termini sempre naturalistici: nei suddetti periodi geologici
gli organismi viventi sono sottoposti ad uno stress ambientale molto
pressante, tale da "velocizzare" la selezione naturale. Tale aumento di
velocità della selezione naturale ci appare, nell'arco di millenni, come una
serie di cambiamenti genetici ed evolutivi (nella quale rientra anche il
processo di speciazione) "istantaneo". Ma il fatto che solo alcune specie ne
sono state soggette ci fa ipotizzare almeno tre cose: 1) in periodi di
stressa ambientali moltissime specie non hanno la fortuna di trovare il
ticket genetico "giusto" nella lotteria delle variazioni genetiche e
pertanto sono destinate all'estinzione rapida; 2) quelle poche specie che
hanno la fortuna di ricevere il ticket giusto presenteranno dei cambiamenti
sia genotipici che fenotipici alquanto radicali; 3) altre specie non sono
state coinvolte in questo processo di evoluzione "istantaneo" in quanto non
sono state direttamente coinvolte dallo stress ambientale per diversi motivi
(ad esempio perché geograficamente distanti).

Saluti e grazie per l'intervento che certamente ha arricchito ulteriormente
la discussione,
K.
qf
2006-10-22 16:04:04 UTC
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Post by Signor K.
Post by Marco V.
"Signor K."
Post by Luciano
1) le specie animali non sono sorte tutte insieme
2) non sono rimaste immutate fino a oggi
3) i cambiamenti evolutivi sono prodotti dalla selezione dell'ambiente
Le teorie 1) e 2) sono oggi accettate da tutti, anche dalla Chiesa.
Questo lo ignoro, in ogni caso sono presupposti condivisibili in un'ottica
esclusivamente evoluzionista.
Beh, 1) e 2) vengono accettati come dei "fatti" (paleologicamente
verificabili: fossili etc.). 3) è l'ipotesi scientifica che si propone di
rendere conto, cioè di fornirne una spiegazione, di quei fatti. In quanto
ipotesi - asserto cioè che non riesce a stabilire una relazione logica con
1) e 2) - la 3) è respingibile.
Se non fosse "respingibile" (direi, "falsificabile"), non sarebbe neanche
un'ipotesi scientifica, non credi?
Direi che è respingibile proprio perché *non è* falsificabile.
D'altra parte ci sarebbe anche da capire se "selezione dell'ambiente"
significhi "selezione (da parte) dell'ambiente" oppure "selezione
dell'ambiente (da parte di un certo soggetto o di certi soggetti)" che è
molto diverso e può capovolgere del tutto la logica dell'evoluzione. Nel
secondo caso, infatti, sarebbe il fine individuale (o di un certo gruppo) a
determinare la selezione e quindi l'evoluzione. Del resto i fenomeni
migratori sono più a conferma della seconda interpretazione che della prima.
Siamo insomma in un vago talmente vago che parlare di falsificabilità - e
quindi di scientificità - sarebbe decisamente improprio.

Salute.
qf
Luciano
2006-10-25 09:57:01 UTC
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Post by Signor K.
Post by Luciano
Post by Signor K.
Dennett definisce l'evoluzionismo darwiniano «l'acido universale» perché
corrode qualsiasi credenza metafisica nei confronti dell'uomo e del mondo
in
Post by Signor K.
genere. Direi che è una definizione un po' forte per dire che se
evoluzionismo è vero, allora non esiste alcun Progettista
soprannaturale.
Post by Signor K.
Post by Luciano
Un tempo l'opinione diffusa era il creazionismo, fondato sull'autorità della
Bibbia, secondo cui ogni specie animale era stata creata individualmente ed
era rimasta identica fino ai giorni nostri.
1) le specie animali non sono sorte tutte insieme
2) non sono rimaste immutate fino a oggi
3) i cambiamenti evolutivi sono prodotti dalla selezione dell'ambiente
Le teorie 1) e 2) sono oggi accettate da tutti, anche dalla Chiesa.
Questo lo ignoro, in ogni caso sono presupposti condivisibili in un'ottica
esclusivamente evoluzionista.
Posso citare in proposito un articolo su Avvenire del 16-6-2001, e questo
dell'Osservatore Romano:
http://www.disf.org/resources/FacchiniZenit20060117.doc
Evidentemente anche la chiesa cattolica accetta l'evoluzionismo.
Post by Signor K.
Post by Luciano
La 3) mi sembra una teoria non soddisfacente, e non è accettata
universalmente. Infatti la selezione può spiegare l'estinzione di alcune
specie incapaci di adattarsi all'ambiente, ma non l'evoluzione da una specie
all'altra, che è indotta da mutazioni genetiche. E non conosciamo una teoria
che ci spieghi con quali regole avvengano le mutazioni genetiche. Certamente
l'esistenza di un ambiente inadatto non è causa di mutazioni genetiche,
almeno non risulta da osservazioni o esperimenti fatti su scala abbastanza
ampia.
Non vedo perché 3) non dovrebbe essere soddisfacente se l'argomentazione che
Premessa: "i cambiamenti evolutivi sono prodotti dalla selezione
dell'ambiente".
Ma: a) "la selezione dell'ambiente non può spiegare la speciazione".
Perché: b) "la speciazione è indotta da mutazioni genetiche di cui ignoriamo
le regole".
la speciazione (cioè, quel processo evolutivo che porta alla
differenziazione specie specifica di un gruppo di individui rispetto ad un
altro gruppo di individui) non è causata dalla variazione genetica, la quale
presa in sé, ossia *isolatamente*, non ha alcuna funzione nella speciazione.
Come scrive Montalenti nella sua biografia di Darwin (1998), Darwin fu
convinto che la selezione naturale fosse caratterizzata principalmente da
una selezione ambientale osservando i giardinieri o i botanici "creare"
nuove specie di fiori dall'incrocio di altri.
Le mutazioni genetiche prodotte dagli incroci dei giardinieri (e oggi
dobbiamo aggiungere dall'ingegneria genetica) non sono una selezione
ambientale, ma piuttosto un "disegno intelligente", che più intelligente non
si può.

Io volevo contestare una sola cosa del tuo ragionamento, che l'evoluzionismo
sia un "acido universale", cioè una "prova" dell'inesistenza di Dio.
Sono ancora convinto della validità della posizione di Kant: non si può
dimostrare scientificamente che Dio esiste, e neanche che non esiste. Sia
l'uomo religioso, sia l'ateo, compiono un atto di fede.

La zanzara 76
2006-10-21 08:27:47 UTC
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Post by Signor K.
La questione non è così semplice. Partiamo da una prima considerazione
apparentemente univoca: alcuni genotipi casualmente presentano delle
mutazioni genetiche, le quali possono essere adattative. Tuttavia il termine
«adattativa» può avere diverse connotazioni. Probabilmente quella a cui
molti si riferiscono è che una caratteristica fisica di un fenotipo è
adattativa quando permette un migliore adattamento all'ambiente circostante.
Cosa intendiamo in questo caso per «migliore»? Un adattamento A è migliore
di un altro quando permette di soddisfare un bisogno biologico x in minor
tempo, evitando più rischi per la propria sopravvivenza e spendendo una
quantità di energie minori, rispetto all'adattamento B.
Nel momento in cui compare una mutazione genetica adattativa siamo quindi
portati a credere che quella mutazione sia migliore di un'altra, il che è
falso. Ciò che determina l'adattività di una mutazione genetica sono le
condizioni ambientali che, come è noto, sono del tutto contingenti e quindi
casuali.
Sono parzialmente d'accordo. Certamente le condizioni ambientali sono
contingenti e casuali, e aggiungo, variabili nel tempo. Tuttavia se
l'ambiente si mantiene stabile per un certo periodo, allora
l'evoluzione permetterà il prodursi, nel corso del tempo, di
organismi adattati a quel ambiente. Sicuramente se l'ambiente varia
nelle sue condizioni, allora gli organismi dovranno modificarsi per
adeguarsi nuovamente. Inoltre non esiste un organismo in assoluto
migliore di un altro, ma si può dire che è più adeguato, ad esempio
misurando il tasso di incremento della popolazione di una certa specie
vivente.
Detto questo rimane il fatto che grazie a mutazioni genetiche
selezionate dall'ambiente, gli organismi evolvono, e non evolvono in
una direzione casuale o in ogni direzione possibile, ma verso una
direzione data dal particolare ambiente in cui vivono gli organismi.
Quindi pur essendo casuale la mutazione genetica, pur essendo casuali
le condizioni ambientali, alla fine si ha sempre un processo
progressivo di adattamento degli organismi al proprio ambiente. Quindi
l'evoluzione, vista in modo formale, è un processo finalistico,
perché va verso una direzione, anche se la direzione varia da ambiente
ad ambiente.
Post by Signor K.
Inoltre non sempre ciò che è adattativo non è affatto sinonimo di
«migliore». Un pregiudizio di questo genere, detto «paradigma panglossiano»
(da Pangloss, il personaggio leibniziano del Candide di Voltaire che
sosteneva di vivere nei «migliore dei mondi possibili»), è stato apertamente
confutato da biologi come Dawkins (1976) o Mayr (1981), o da filosofi come
Dennett (1995) e Stich (1991). Per esempio, gli orsi polari (detti anche
"orsi albini") presentano rispetto ad altri orsi la caratteristica
adattativa del pelo bianco. Tuttavia questa variazione per quanto possa
essere adattativa, ha portato ad un notevole depotenziamento delle capacità
visive dell'orso. Se le condizioni ambientali polari cambiassero (ed è già
accaduto in passato), dell'orso polare non rimarrebbe probabilmente più
nulla. Se ci fosse un qualche tipo di «finalità» intrinseca alla selezione
naturale, allora non ci sarebbero neanche l'estinzione delle specie.
Certamente non esiste un organismo adattato perfettamente al proprio
ambiente, questo fa sì che qualora compaia un organismo un po' più
adeguato, quest'ultimo possa soppiantare quello meno adeguato,
intendendo per misura di adeguatezza la capacità riproduttiva di una
specie. Per questo una specie meno adeguata si estingue. Ciò può
avvenire anche se le condizioni ambientali variano repentinamente.
Tuttavia rimane il fatto che gli organismi sono sottoposti ad un
processo che da un punto di vista formale ha i caratteri di un processo
finalizzato alla adeguazione ad un certo ambiente. Proprio questo
processo fa sì che una specie possa soppiantare un'altra.
Post by Signor K.
No, questo non corrisponde alle nostre conoscenze attuali. Un altro mito da
sfatare, direi tutto neolamarckiano, è che il processo evolutivo sia una
specie di movimento progressivo e graduale verso il «miglioramento». In
realtà la natura ci mostra organismi viventi, come gli ameba, che sono
rimasti identici a come erano milioni di anni fa. Se l'evoluzione fosse
davvero un processo lineare e progressivo allora tutti gli organismi viventi
sarebbero soggetti ad un processo progressivo di adattamento.
Secondo Mayr e Dennett, ad esempio, ci sono momenti di stress ambientale,
cioè di pressione ambientale, che velocizzano esponenzialmente l'evoluzione
di una o più specie ma non di altre. L'evoluzione, in altre parole, essendo
un processo casuale non ha in sé alcun tipo di ordine prestabilito.
Ogni organismo occupa una nicchia specifica di un ambiente:
probabilmente gli ameba svolgono un certo ruolo nell'ecosistema, e
probabilmente in tale ruolo sono molto efficienti, al punto che
eventuali variazioni genetiche possono peggiorare e non migliorare lo
svolgimento di tale funzione. Comunque la sopravvivenza di specie
arcaiche, indica che tali specie riescono ancora a trovare una nicchia
specifica in cui avere un maggiore adattamento rispetto ad organismi
che svolgono un'altra funzione nell'ecosistema. Non si deve
intendere il finalismo come un processo che conduca ad un miglioramento
delle specie sicché quelle peggiori devono in ogni caso scomparire: il
finalismo consiste nel progressivo adattamento all'ambiente, e questo
comporta una specializzazione delle specie che conduce ad una maggiore
differenziazione tra le specie. Ossia lo scopo dell'evoluzione non
è di giungere all'uomo, ma di selezionare organismi sempre più
specializzati, sempre più adeguati ad una funzione o ad una nicchia
dell'ecosistema.
Post by Signor K.
Date le tue premesse non segue necessariamente che vi sia una «progetto
evolutivo». Come saprai più del 99,9% delle specie esistite si sono estinte.
Ed è probabile che prima o poi anche quelle attualmente esistenti si
estingueranno a seconda dei cambiamenti ambientali o altri fattori
contingenti (speriamo di non incontrare mai un meteorite). Nulla cioè di fa
pensare che queste linee evolutive siano le uniche necessarie o le sole
possibili. La natura sfornerà altre specie, magari più adatte di altre in
certi ambienti. Il processo di speciazione d'altra parte non è interno alla
mutazione genetica (questo deve essere ben chiaro!) ma avviene, come osservò
già a suo tempo Darwin (1859) osservando le tartarughe e gli uccelli delle
Galapagos, perché un gruppo di individui di una specie sono stati isolati in
un ambiente diverso rispetto all'altro gruppo. Se tale ambiente presenterà
caratteristiche differente potrà annientare questo gruppo di individui (cosa
altamente probabile) o se questi individui saranno molto fortunati potranno,
grazie a variazioni genetiche accidentali, adattarsi ad esso.
Come ho già detto, lo scopo del finalismo non è di giungere ad una
certa specie migliore delle altre in assoluto, ma di produrre
specificità, ossia adeguamento ai diversi ambienti naturali, siano
essi presenti o futuri. L'evoluzione è finalistica, non perché mira
ad una determinata specie, ma perché è un processo che ha una
direzione di sviluppo, direzione che varia da ambiente ad ambiente.
Ossia è un processo di convergenza degli organismi ai diversi ambienti
naturali.
Post by Signor K.
Dennett definisce l'evoluzionismo darwiniano «l'acido universale» perché
corrode qualsiasi credenza metafisica nei confronti dell'uomo e del mondo in
genere. Direi che è una definizione un po' forte per dire che se
evoluzionismo è vero, allora non esiste alcun Progettista soprannaturale.
L'esistenza di un processo di convergenza tra gli organismi e gli
ambienti naturali, certamente non dimostra in modo inequivocabile
l'esistenza di un Progettista, tuttavia può esserne un indizio,
diciamo che è la sua firma. Infatti un processo che tende in una
direzione, nonostante le variazioni casuali degli organismi e degli
ambienti, fa pensare ad un possibile Progettista.
Signor K.
2006-10-21 13:27:22 UTC
Permalink
Post by La zanzara 76
Post by Signor K.
[...]
[...]
Detto questo rimane il fatto che grazie a mutazioni genetiche
selezionate dall'ambiente, gli organismi evolvono, e non evolvono in
una direzione casuale o in ogni direzione possibile, ma verso una
direzione data dal particolare ambiente in cui vivono gli organismi.
Quindi pur essendo casuale la mutazione genetica, pur essendo casuali
le condizioni ambientali, alla fine si ha sempre un processo
progressivo di adattamento degli organismi al proprio ambiente. Quindi
l'evoluzione, vista in modo formale, è un processo finalistico,
perché va verso una direzione, anche se la direzione varia da ambiente
ad ambiente.
Se le mutazioni sono casuali e le condizioni ambientali sono casuali, allora
è casuale anche l'adattamento. Se l'adattamento è «adattativo» per una
questione puramente stocastistca, in quanto gli individui che presentano
tale adattamento sono periti in numero inferiore rispetto a quelli che non
l'hanno presentanto, non significa che c'è un adattamento progressivo.

Cosa accade in effetti quando una caratteristica fisica e\o variazione
genetica è adattativa? Per pura casualità un numero rilevante di individui
che presentano quella caratteristica sono sopravvisuti rispetto a quelli che
non ce l'hanno, allora quella caratteristica *per pura casualità* verrà
conservata, in quanto fino a quel momento non c'è stato un numero rilevante
di casi in cui si è dimostrata essere non adattativa (ma prima o poi
potrebbero esserci). Non vedo alcuna teleologia in questo ragionamento.
L'adattamento non è progressivo ma più che altro graduale, nel senso che non
possiamo accettare che ci siano dei "salti" da un genotipo ad un altro.

Però, per solidarietà intellettuale, posso anche condividere l'idea che
formalmente il processo evolutivo possa apparire un processo finalistico.
Certo. Ma in che senso? Non certo nel senso comune del termine. Un processo
finalistico nel senso comune, è un insieme di azioni mosse per costruire,
produrre o raggiungere un determinato oggetto (scopo) che è stato *pensato
prima*. C'è l'idea dell'oggetto da raggiungere (costruire) e poi si
programma una sequenza finita di azioni (algoritmo) per poterlo costruire o
raggiungere.

Lo stesso Mayr sostiene che la biologia può far propria una teleologia, in
senso puramente informatico. A livello formale, infatti, il processo
evolutivo agisce *"come se"* avesse uno fine, anche se in realtà non ce
l'ha. E qui per "fine" non s'intende uno "scopo" pensato a priori, ma
semplicemente un processo algoritmico *finalizzato* alla protrazione dei
geni. A livello formale persino l'adattamento può apparirci progressivo,
mentre in realtà è tutto frutto di interazioni casuali tra mutazioni
genetiche, condizioni ambientali ed eventi contingenti (terremoti, epidemie,
sfortunate coincidenze, etc.).
Post by La zanzara 76
[...]
Certamente non esiste un organismo adattato perfettamente al proprio
ambiente, questo fa sì che qualora compaia un organismo un po' più
adeguato, quest'ultimo possa soppiantare quello meno adeguato,
intendendo per misura di adeguatezza la capacità riproduttiva di una
specie. Per questo una specie meno adeguata si estingue. Ciò può
avvenire anche se le condizioni ambientali variano repentinamente.
Tuttavia rimane il fatto che gli organismi sono sottoposti ad un
processo che da un punto di vista formale ha i caratteri di un processo
finalizzato alla adeguazione ad un certo ambiente. Proprio questo
processo fa sì che una specie possa soppiantare un'altra.
Come scrivevo nel post precedente è un falso pensare che gli organismi
viventi siano quelli più adattati alla sopravvivenza.

Facciamo un esempio.Pensiamo ad un caso in cui c'è un gruppo di individui,
non molto numeroso e di una data specie, che mostra le variazioni genetiche
adattative rispetto ad un altro gruppo di individui della medesima specie.
Ora, secondo la tua teoria (neolamarckiana) questo gruppo di individui
soppianterà progressivamente quello degli individui meno adattativi.
Tuttavia nonostante ciò potrebbe accadere che il gruppo di individui più
adattativi contragga una qualche forma di malattia. Supponiamo che suddetta
malattia uccida lo stesso numero di individui in entrambi i gruppi. Ora se
gli individui del gruppo più adattativo erano numericamente inferiori (come
è probabile che lo fossero, dato che la variazione genetica inizialmente può
coinvolgere poche unità), allora quella malattia sarà fatale per tutti gli
individui del gruppo più adattativo, mentre, sebbene quelli del gruppo meno
adattativo abbiano perso più o meno lo stesso numero di individui del gruppo
adattitivo ma essendo numericamente superiori, perpetueranno la propria
esistenza anche se sono meno adattativi, a dispetto di qualsiasi processo di
adattamento progressivo.
Post by La zanzara 76
Post by Signor K.
[...]
probabilmente gli ameba svolgono un certo ruolo nell'ecosistema, e
probabilmente in tale ruolo sono molto efficienti, al punto che
eventuali variazioni genetiche possono peggiorare e non migliorare lo
svolgimento di tale funzione. Comunque la sopravvivenza di specie
arcaiche, indica che tali specie riescono ancora a trovare una nicchia
specifica in cui avere un maggiore adattamento rispetto ad organismi
che svolgono un'altra funzione nell'ecosistema. Non si deve
intendere il finalismo come un processo che conduca ad un miglioramento
delle specie sicché quelle peggiori devono in ogni caso scomparire: il
finalismo consiste nel progressivo adattamento all'ambiente, e questo
comporta una specializzazione delle specie che conduce ad una maggiore
differenziazione tra le specie. Ossia lo scopo dell'evoluzione non
è di giungere all'uomo, ma di selezionare organismi sempre più
specializzati, sempre più adeguati ad una funzione o ad una nicchia
dell'ecosistema.
Mi sembra di aver portato avanti delle argomentazioni che confutino
qualsiasi idea di "scopo", dato che l'evoluzione è sospesa su circostante
puramente contingenti e casuali. Inoltre se una specie riesce a trovare un
equilibrio col proprio ecosistema (come gli ameba) non porterà avanti alcuna
evoluzione progressiva, perché questa si verifica solo quando le circostanze
ambientali cambiano in modo rilevante. E non è neanche detto che tale specie
possa trovare una nuova via per l'adattamento. Pensa che il cervello
dell'uomo nell'arco di 4000 anni non si è evoluto. Il suo "progresso" è
stato puramente culturale.
Post by La zanzara 76
Post by Signor K.
[...]
Come ho già detto, lo scopo del finalismo non è di giungere ad una
certa specie migliore delle altre in assoluto, ma di produrre
specificità, ossia adeguamento ai diversi ambienti naturali, siano
essi presenti o futuri. L'evoluzione è finalistica, non perché mira
ad una determinata specie, ma perché è un processo che ha una
direzione di sviluppo, direzione che varia da ambiente ad ambiente.
Ossia è un processo di convergenza degli organismi ai diversi ambienti
naturali.
Se c'è una direzione allora dobbiamo ammettere che in qualche modo ci sia un
ideale di perfezione verso cui tendere, il ché non solo è indimostrabile ma
anche controintuitivo visto i dati in nostro possesso con buona pace del
biologo Gould. L'evoluzione non mira da nessuna parte, se è il prodotto di
interazioni casuali.
Post by La zanzara 76
Post by Signor K.
Dennett definisce l'evoluzionismo darwiniano «l'acido universale» perché
corrode qualsiasi credenza metafisica nei confronti dell'uomo e del mondo in
genere. Direi che è una definizione un po' forte per dire che se
evoluzionismo è vero, allora non esiste alcun Progettista soprannaturale.
L'esistenza di un processo di convergenza tra gli organismi e gli
ambienti naturali, certamente non dimostra in modo inequivocabile
l'esistenza di un Progettista, tuttavia può esserne un indizio,
diciamo che è la sua firma. Infatti un processo che tende in una
direzione, nonostante le variazioni casuali degli organismi e degli
ambienti, fa pensare ad un possibile Progettista.
Il DNA non può essere una firma di un fantomatico Progettista in quanto gli
eventi finora son stati, per così dire, "clementi" (per noi, ma non per il
99,9% delle specie esistite), ma prima o poi potrebbe risultare del tutto
inefficiente se, nella lotteria delle variazioni genetiche, non ci sono
variazioni adattative a condizioni ambientali future. Se il tuo Progettista
esiste allora, non me ne voglia Einstein, "gioca a dadi".

K.
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