Discussione:
Sui qualia.
(troppo vecchio per rispondere)
Signor K.
2006-09-09 16:12:59 UTC
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Qualche sera fa ero in automobile con degli amici. Ad un certo punto abbiamo
assistito ad un'illusione ottica. A circa un chilometro, di fronte a noi,
era posizionato un faro con una luce particolarmente forte. Era posizionato
sul latro sinistro della strada e la sua inclinazione era tale che la luce
veniva sparata in cielo formando un ampio angolo illuminato, forse di 45°.
Il raggio destro dell'angolo copriva l'area del cielo sovrastante il lato
sinistro della strada che stavamo percorrendo. Il raggio di un angolo acuto
viene percepito come se fosse obliquo quando si è di fronte al vertice dell'angolo
stesso. In questo modo il raggio definiva una precisa prospettiva che
partiva dal vertice, in profondità, per poi aprirsi gradatamente. L'effetto
percepito era il seguente: il contrasto tra il cielo illuminato dal faro e
il cielo completamente oscurato era percepito come se sul lato oscuro
fossero presente degli oggetti, molto alti, perfettamente dritti ed a punta.
Un mio amico, che aveva avuto il merito di essersi accorto dell'illusione,
disse subito: «sembra degli alberi, delle sequoie giganti». Il contrasto di
luce e il gioco di prospettiva aveva prodotto un'illusione ottica.

Questo piccolo aneddoto mi permette di introdurre due tipi di problemi
connessi alla coscienza e che Chalmers (Come affrontare il problema della
coscienza, 1995) definisce «problemi facili» e «problemi difficili». I
«problemi facili» sono detti «facili» in quanto le descrizioni fisicaliste o
biologiche impiegate permettono di dare una spiegazione esaustiva, seppur
probabile, di alcuni fenomeni relativi alla mente, senza lasciare alcun tipo
di «gap esplicativo». Nel caso da me esposto possiamo trovare una
spiegazione pera questa illusione ottica. Gregory (Occhio e cervello, 1968)
sostiene che la percezione è un processo di organizzazione degli stimoli
recepiti che si basa su una dinamica «dall'alto verso il basso». Questo
significa che una cosa è l'immagine proiettata sulla retina ed una cosa è
ciò che percepiamo di quella immagine. Nel momento in cui abbiamo percepito
la presenza (illusoria) di alberi cosa è accaduto esattamente? Sulla nostra
retina è stata proiettata un'immagine che poi è stata «interpretata» in un
certo modo dalla nostra percezione e vale a dire che la percezione «ha
valutato» che quell'immagine rappresentasse la presenza di oggetti
longilinei e molto alti, sulla base della raccolta degli stimoli (molto
parziali, a causa delle condizioni ambientali e dell'oscurità). La
percezione «ha vagliato e poi scelto» quella che era l'interpretazione più
probabile sulla base sia degli stimoli ambientali che hanno potuto
raccogliere i miei recettori somatosensitivi e sia sulla base dei miei
schemi mentali determinati dalle mie esperienze passate. Alla domanda:
«perché proprio degli alberi?» possiamo rispondere: perché è più probabile,
così come ci indica la nostra esperienza, che sul ciglio della strada si
trovino degli alberi che dei giganti spaventosi - probabilmente un bimbo con
una fantasia molto fervida avrebbe visto proprio dei giganti spaventosi.
Come sostiene ancora Gregory, un'illusione è più forte quando l'immagine è
proiettata in una situazione familiare che contribuisce in modo più o meno
determinante all'illusione. In questo caso la «situazione familiare» era il
fatto comune che sul lato delle strade si trovino degli alberi. Dunque in
modo molto semplicistico, ma anche plausibile, abbiamo dato una spiegazione
del come si sia prodotta l'illusione da me raccontata.

La questione si complica seriamente quando invece ci chiediamo «che cosa
abbiamo visto quando vedevamo l'illusione ottica». Non posso percepire ciò
che percepisce l'altro né l'altro può percepire ciò che percepisco io. Qui
entriamo nella dimensione dei «problemi difficili». I «problemi difficili»
sono quelli relativi ai qualia dell'esperienza, cioè delle proprietà che
possono appartenere ad una certa esperienza: il sapore del latte fresco, il
dolore per una ferita, l'illusione ottica. Sono detti «difficili» perché la
spiegazione fisico-biologica di tali fenomeni, ad esempio quello del
«dolore», sembrerebbe lasciar fuori qualcosa di fondamentale all'esperienza
del dolore: «come ci si sente quando si sente dolore». I qualia sembrano
resistere a qualsiasi spiegazione o descrizione fisico-biologica. Io posso
sapere come mi sento quando sento dolore, ma non posso sapere come si sente
l'altro, né se l'altro se dolore così come lo sento io. C'è stato chi, come
Dennett (Quainare i qualia, 1985), ha addirittura negato l'esistenza dei
qualia, e c'è chi li ha difesi strenuamente. È il caso di Jackson (Ciò che
Mary non sapeva, 1986).

Jackson immagina una ragazza, Mary, che è vissuta solamente in una camera in
cui gli unici colori presenti sono il bianco e il nero. Qui tuttavia ha
potuto studiare in modo serio ed approfondito tutto ciò che riguarda i
colori, come ad esempio il fatto che essi derivano dalla frequenza delle
onde elettromagnetiche che toccano la retina, la quale a sua volta ha dei
fotorecettori, coni e bastoncelli, composti da pigmenti (una sostanza
chimica chiamata «radopsina») che, a seconda della frequenza dell'onda,
assorbono la luce scolorandosi. In breve: il colore si genera a seconda
della frequenza delle onde elettromagnetiche che colpiscono la retina. Il
«rosso» percepito quindi corrisponde ad una determinata frequenza
(percepibile), così come il «blu» e il «verde». Mary ha studiato fisiologia
e biologia e sa cos'è il rosso. Tuttavia supponiamo che un giorno qualsiasi
Mary sia liberata e possa vedere finalmente il mondo a colori. Se vedesse il
rosso lo riconoscerebbe pur sapendo «cos'è il rosso»? La risposta è
evidentemente: «No». Ci troviamo di fronte ad un paradosso bello e buono,
ossia Mary sa cos'è il rosso e, allo stesso tempo, non sa cos'è il rosso.
Probabilmente dovrà esserci qualcuno che le indichi una mela rossa e le
dica: «Ecco questo è il rosso». Lei probabilmente risponderebbe «Ah! Ecco
cos'è il rosso!». Si tratta del «gap esplicativo» di cui si parlava in
precedenza e che distingue i processi fisiologici della percezione del
colore e l'esperienze o qualia del rosso. Possiamo dire che il rosso è
determinato da una frequenza determinata dello spettro elettromagnetico ma,
ed è proprio questo il problema, non possiamo perché è rosso, cioè perché
vediamo che qualcosa è rosso e non verde. Se la descrizione esperienziale
del rosso non è riducibile ad una descrizione fisica, allora l'esperienza
dei qualia non è spiegabile in chiave fisicalista.

Chalmers ha sostenuto che la resistenza alle descrizioni fisiche dei qualia
è dovuto non al fatto che essi siano qualcosa di «ineffabile e misterioso»,
ma al fatto che non siano riducibili agli elementi conosciuti della fisica:
sono irriducibili. Ciò che era irriducibile in fisica viene introdotto come
elemento fondamentale (vedi la massa o l'energia). Pertanto l'esistenza dei
qualia deve essere assunta come elemento fondamentale ed irriducibile,
ampliando ed aggiornando così la nostra visione naturalistica del mondo. Per
Chalmers non si tratta di inserire un elemento soprannaturale ma di
arricchire la nostra visione naturalistica aggiungendo un nuovo elemento,
così come accadde per la fisica quantistica. Conservando l'irriducibilità
della coscienza e, allo stesso tempo, facendola rientrare in una visione
naturalistica, Chalmers ha chiamato questa sua posizione «dualismo
naturalistico».

Putnam (La natura degli stati mentali, 1975) risponderebbe che il rosso,
come il dolore, sono processi fisiologici ed è uno sbaglio scambiarli per
qualità oggettive o proprietà dell'esperienza. Tuttavia la posizione di
Chalmers resiste anche all'idea di processo fisiologico. Il rosso può essere
certamente l'esito di un processo fisiologico, ma ciò non spiega perché
percepiamo l'esito di tale processo. Se il processo implica una serie di
entrate ed una serie di uscite, dovremmo allora sostenere che l'esperienza
del dolore o del rosso implicano una sorta di testimone o spettatore che
riceve le informazioni elaborate dal processo (il rosso o il dolore appunto)
e poi trasmesse in output, ritornando così alla famigerata idea del
«fantasma nella macchina». Così anche se ammettiamo il rosso come processo
dobbiamo necessariamente ammettere l'esistenza di un soggetto che percepisce
l'esito di questo processo.

Non condivido la posizione di Chalmers, ma non posso dilungarmi ora a
riguardo. Mi limito qui a sollevare un quesito: il cervello ha, tra le
altre, la funzione di distinguere, ad esempio, il rosso dal verde? La mia
risposta è: sì, ma questo non implica assolutamente l'esistenza di un quale,
semplicemente la facoltà di discriminazione cromatica del cervello dipende
dalla differenza di frequenza delle onde dello spettro. Possiamo dire:
esistono il verde o il rosso? La risposta è: no, esiste una differenza di
frequenza nello spettro che attiva un processo fisiologico e percettivo
funzionale all'interazione dell'ambiente.



K.
qf
2006-09-09 17:32:16 UTC
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Mi limito qui a sollevare un quesito: il cervello ha, tra le altre, la
funzione di distinguere, ad esempio, il rosso dal verde? La mia risposta
è: sì, ma questo non implica assolutamente l'esistenza di un quale,
semplicemente la facoltà di discriminazione cromatica del cervello dipende
dalla differenza di frequenza delle onde dello spettro.
Per la verità, la frequenza riguarda solo il trasduttore. Come poi venga
codificato il colore su un percorso che non ha elementi di discriminazione
cromatica non lo sappiamo. Possibile che le differenze di frequenza vengano
tradotte in differenze di livelli di potenziale, come anche a valle del
trasduttore acustico. Ma come accada non è rilevante. E' un fatto che la
discriminazione esiste. Direi però che esiste per l'uomo, non per il
cervello dell'uomo, che da solo - quello sì - non esiste.
Possiamo dire: esistono il verde o il rosso? La risposta è: no, esiste una
differenza di frequenza nello spettro che attiva un processo fisiologico e
percettivo funzionale all'interazione dell'ambiente.
La risposta è sì: il rosso e il verde esistono. Che noi li classifichiamo
con la storia delle frequenza delle onde elettromagnetiche è solo
un'interpretazione. Resta il fatto che prima di e malgrado qualunque
interpretazione il rosso e il verde esistono. Non è che
l'interpretazione/descrizione del tipo "processo fisiologico ecc." fanno
essere quello che non è.
Il fatto concretissimo è che noi ci relazioniamo con l'ambiente anche in
funzione dei colori, e assai più efficientemente che se non vedessimo i
colori. Quindi i colori ci sono eccome.
Il fatto che l'interpretazione dica "vediamo rossa una cosa che riflette una
certa frequenza", non fa altro che dire che quella cosa è proprio rossa.

E anche la tipa che fosse vissuta nella stanza in bianco e nero non avrebbe
affatto bisogno - se non per comunicare - di concordare con qualcuno che il
rosso è quello lì. Basta che fra un prato (verde) e il sole al tramonto
(rosso) apprezzi da sé la differenza per fare la sua classificazione in
autonomia. Che poi stipuli anche delle convenzioni con i vicini e con loro
fissi gli standard colorimetrici ISO è tutt'altro discorso.

Con tutto questo, però, non è che io abbia capito cosa sono i 'qualia' :-)

Ciao.
qf
Davide Pioggia
2006-09-09 18:09:41 UTC
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Post by qf
Con tutto questo, però, non è che io abbia capito cosa sono i 'qualia' :-)
Nemmeno io, e come te e me tanti altri. E coloro che ne parlano non ci
vogliono dire di che cosa si tratti: dev'essere un segreto :-)

Anche perché se un raggio luminoso mi attiva un certo gruppo di coni
piuttosto che un altro, è ovvio che avrò una sensazione diversa, e in
seguito saprò anche associare quella sensazione a sensazioni analoghe, per
la stessa ragione per cui so dire se uno mi sta toccando il dito indice
oppure il pollice. Se il raggio luminoso mi "tocca" i coni R anziché i
coni G, è un po' come se mi toccasse un dito piuttosto che un altro.
E lo stesso per i suoni: a seconda delle frequenze, vengono attivate di
volta in volta cellule diverse della coclea, e noi sappiamo associare quella
sensazione ad altre sensazioni che sono state innervate lungo i medesimi
percorsi, per la stessa ragione per cui sappiamo se una martellata ci è
arrivata sull'indice o sul pollice. Poi gli esperti del sistema nervoso
diranno che le mappature delle dita non sono costruite nelle stesso modo
della mappatura dei coni e di quella delle cellule della coclea. E va be',
ma resta il fatto che si tratta di associare fra di loro i segnali che
seguono le medesime vie di innervazione.

Se poi vogliamo tirare in ballo la questione di quale sia il rapporto fra
gli stati del cervello ed il vissuto soggettivo, allora ci imbarchiamo nel
problema dei problemi: come fa il cervello ad avere una mente? Ma questo
appunto è un problema generale, all'interno del quale - quando fosse
risolto - l'associazione delle sensazioni con le vie di innervazione sarebbe
assolutamente banale. Voglio dire che chi sapesse spiegare perché un
cervello pervaso da scariche elettriche "pensa" saprebbe anche spiegare per
quale motivo quel "pensiero" sa associare/distinguere le sensazioni prodotte
da scariche elettriche che seguono percorsi simili/diversi.
--
Saluti.
D.
Ilcontrocanto
2006-09-09 21:44:17 UTC
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Post by Davide Pioggia
Post by qf
Con tutto questo, però, non è che io abbia capito cosa sono i 'qualia' :-)
Nemmeno io, e come te e me tanti altri. E coloro che ne parlano non ci
vogliono dire di che cosa si tratti: dev'essere un segreto :-)
I qualia: entità formanti il nostro linguaggio interiore. O anche: le
sensazioni, le percezioni intuitive, le esperienze e le riflessioni
soggettive, le pulsioni intenzionali, l'autointrospezione, la coscienza
superiore con tutto il corredo della creatività, la simmetria dell'inconscio,
della pulsione alla libertà, degli stati morali, della simbolizzazione e
metaforizzazione e i contenuti coscienziali che costituiscono, insieme agli
stati precedenti, il nucleo ontologico della coscienza. ( da: In una notte
come questa - 2006 Hybris editore)



Tutto ciò che, quindi, non è, apparentemente, riconducibile a stati o
processi materiali; una specie di coscienza superiore. I qualia sono, anche,
ciò che serve alla scienza per non dover parlare di anima.



Il conflitto filosofico sulla loro esistenza è aperto e stimolante.



La questione dei colori ha, con questi, una relazione molto marginale che
riguarda, solo, la parte incomunicabile della percezione soggettiva del
fatto più che quella interpretativa del fenomeno e la sua spiegazione
scientifica.



Parlare di qualia significa parlare di soggettività dei processi mentali, ma
siccome sembra che basti negarli per farli divenire inesistenti, il problema
pare, almeno allo stato attuale sia della scienza che della filosofia,
irrisolvibile financo inaffrontabile in forma seria e approfondita. Per
molti scienziati della mente parlare di qualia corrisponde a parlare di
niente.
qf
2006-09-10 09:13:40 UTC
Permalink
Post by Ilcontrocanto
[...]
[...]
I qualia: entità formanti il nostro linguaggio interiore. O anche: le
sensazioni, le percezioni intuitive, le esperienze e le riflessioni
soggettive, le pulsioni intenzionali, l'autointrospezione, la coscienza
superiore con tutto il corredo della creatività, la simmetria
dell'inconscio, della pulsione alla libertà, degli stati morali, della
simbolizzazione e metaforizzazione e i contenuti coscienziali che
costituiscono, insieme agli stati precedenti, il nucleo ontologico della
coscienza. ( da: In una notte come questa - 2006 Hybris editore)
Gasp! Quanti qualia! :-)
Vabbé che in una notte come quella può succedere di tutto :-)
Post by Ilcontrocanto
Tutto ciò che, quindi, non è, apparentemente, riconducibile a stati o
processi materiali; una specie di coscienza superiore. I qualia sono,
anche, ciò che serve alla scienza per non dover parlare di anima.
Che servano a qualcosa di simile lo supponevo (le inventano tutte :-)), ma
se tale "coscienza superiore" non è riconducibile a processi "materiali" è
già come parlare di anima. O no?
Diciamo magari che è un'anima laica, così qualcuno tira un sospiro di
sollievo, ma comunque è l'equivalente dell'anima.
Post by Ilcontrocanto
Il conflitto filosofico sulla loro esistenza è aperto e stimolante.
Ti credo sulla parola.
Post by Ilcontrocanto
Parlare di qualia significa parlare di soggettività dei processi mentali,
Non è che se ne può parlare ugualmente, di soggettività dei processi
mentali, dato che i processi mentali è proprio un soggetto a manifestarli?
Post by Ilcontrocanto
Per molti scienziati della mente parlare di qualia corrisponde a parlare
di niente.
In effetti, scienziati o no, vista anche la lista che hai riportato sopra,
qualche perplessità non può mancare.

Ciao.
qf
Davide Pioggia
2006-09-10 12:08:26 UTC
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Post by Ilcontrocanto
I qualia: entità formanti il nostro linguaggio interiore.
Allora, se il linguaggio interiore lo vogliamo chiamare flusso di coscienza,
i "qualia" dovrebbero essere i mattoni (cioè le parti elementari) del flusso
di coscienza. Ma già non riusciamo a dire che cosa sia il flusso di
coscienza (che potremmo anche dire solo "coscienza", dando per scontato che
essa è sempre in divenire, e quindi - per usare una metafora - "fluisce") e
già ci mettiamo a parlare dei suoi costituenti elementari, come se fossero
le parole di un linguaggio?
Post by Ilcontrocanto
O anche: le sensazioni, le percezioni intuitive, le esperienze e le
riflessioni soggettive, le pulsioni intenzionali, l'autointrospezione, la
coscienza superiore con tutto il corredo della creatività...
Appunto: la coscienza. Quella cosa che dice «Io».
Ed i "qualia" sarebbero i costituenti elementari di quella cosa lì.
Per forza allora non sappiamo dire che cosa sono i qualia: non sappiamo
nemmeno dire che cosa sia la coscienza, figuriamoci se sappiamo stabilire se
essa abbia dei costituenti elementari, e che cosa sono.
Post by Ilcontrocanto
Tutto ciò che, quindi, non è, apparentemente, riconducibile a stati o
processi materiali...
Tutta la coscienza non sappiamo come ricondurla a stati o processi
materiali. Cosa accade esattamente nel cervello quando - davanti al plotone
di esecuzione - mi viene in mente di quel lontano pomeriggio in cui mio
padre mi aveva portato a vedere il ghiaccio?
Post by Ilcontrocanto
...una specie di coscienza superiore. I qualia sono, anche, ciò che serve
alla scienza per non dover parlare di anima.
Eh, quella cosa lì: la coscienza, l'anima, la psiche, lo spirito. Quella
cosa che dice «Io». E i qualia ne sarebbero i mattoni, o le gocce del
flusso.
Post by Ilcontrocanto
Il conflitto filosofico sulla loro esistenza è aperto e stimolante.
Che ci sia una cosa che dice «Io» tu ed io facciamo fatica a negarlo, no?
Che poi questa cosa abbia delle parti elementari è un po' più discutibile;
dovremmo fare un po' di introspezione ed ognuno di noi due, dopo aver fatto
questa introspezione, dovrebbe dire se a "lui" (cioè a quella cosa che dice
«Io») gli sembra di essere costituito da "atomi di coscienza". A me sembra
di no, a te sembra di sì. Che si fa ora? Che altro aggiungere? Come dirimere
la questione?
Post by Ilcontrocanto
La questione dei colori ha, con questi, una relazione molto marginale che
riguarda, solo, la parte incomunicabile della percezione soggettiva del
fatto più che quella interpretativa del fenomeno e la sua spiegazione
scientifica.
Ma questo vale per qualunque percezione. Per spiegare cosa sono i qualia si
dice che tu potresti vedere il rosso come io vedo il verde, e viceversa, e
che questa sensazione è incomunicabile, benché tutti capiscano cosa
significa. Ebbene, io non sono sicuro di capire cosa significa, se non che
quella esperienza è una esperienza che viene fatta da un soggetto. E poi
questo discorso lo si potrebbe fare per qualunque attività della coscienza.
Chi mi dice che quando usiamo una parola che descrive uno stato della
coscienza la stiamo associando allo stesso stato interiore?
Post by Ilcontrocanto
Parlare di qualia significa parlare di soggettività dei processi
mentali...
Ecco, appunto, proprio quello che dicevo.
Post by Ilcontrocanto
...ma siccome sembra che basti negarli per farli divenire inesistenti...
Ma no, ma chi li vuole negare? Come dicevo, tu ed io, discutendo, facciamo
fatica a negare che ci sia qualcosa che dice «Io», ma poi a che pro tirare
fuori questi "qualia"? E' il vecchio eterno problema dell'anima: cos'è
questa cosa che dice «Io»?
Post by Ilcontrocanto
Per molti scienziati della mente parlare di qualia
corrisponde a parlare di niente.
Sì, perché 'sti "qualia" a quanto pare dovrebbero essere i costituenti
elementari di quella roba lì, la coscienza, e già non sappiamo dire che cosa
sia quella roba...
--
Saluti.
D.
Signor K.
2006-09-10 11:26:54 UTC
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Post by qf
Mi limito qui a sollevare un quesito: il cervello ha, tra le altre, la
funzione di distinguere, ad esempio, il rosso dal verde? La mia risposta
è: sì, ma questo non implica assolutamente l'esistenza di un quale,
semplicemente la facoltà di discriminazione cromatica del cervello
dipende dalla differenza di frequenza delle onde dello spettro.
Per la verità, la frequenza riguarda solo il trasduttore. Come poi venga
codificato il colore su un percorso che non ha elementi di discriminazione
cromatica non lo sappiamo. Possibile che le differenze di frequenza
vengano tradotte in differenze di livelli di potenziale, come anche a
valle del trasduttore acustico. Ma come accada non è rilevante. E' un
fatto che la discriminazione esiste. Direi però che esiste per l'uomo, non
per il cervello dell'uomo, che da solo - quello sì - non esiste.
La discriminazione cromatica può essere una funzione maturata attraverso una
lunga e costosa selezione naturale. Un organismo dotato di «discriminazione
cromatica» suppongo, prima facie, che abbia maggiori possibilità di
sopravvivenza per motivi che puoi facilmente intuire.
Post by qf
Possiamo dire: esistono il verde o il rosso? La risposta è: no, esiste
una differenza di frequenza nello spettro che attiva un processo
fisiologico e percettivo funzionale all'interazione dell'ambiente.
La risposta è sì: il rosso e il verde esistono. Che noi li classifichiamo
con la storia delle frequenza delle onde elettromagnetiche è solo
un'interpretazione. Resta il fatto che prima di e malgrado qualunque
interpretazione il rosso e il verde esistono. Non è che
l'interpretazione/descrizione del tipo "processo fisiologico ecc." fanno
essere quello che non è.
Il fatto concretissimo è che noi ci relazioniamo con l'ambiente anche in
funzione dei colori, e assai più efficientemente che se non vedessimo i
colori. Quindi i colori ci sono eccome.
Il fatto che l'interpretazione dica "vediamo rossa una cosa che riflette
una certa frequenza", non fa altro che dire che quella cosa è proprio
rossa.
Questo è ciò che di solito si definisce «quale»: la qualità
dell'esperienza - come il sapore della birra, il dolore causato dal libro
che ti è caduto sul piede o il rosso intenso del tramonto. Sono tutti
elementi - almeno secondo alcuni (vedi Nagel, Chalmers, Jackson) - che
resistono alla spiegazione fisicalista. Si parte da un elemento semplice ed
irriducibile - il fatto bruto che ci siano il rosso o il verde - la cui
descrizione fisicalista non aggiunge nulla.

Anche se non lo sai, sei un sostenitore dell'esistenza dei qualia,
soprattutto se leggo questa affermazione: «Il fatto che l'interpretazione
dica "vediamo rossa una cosa che riflette una certa frequenza", non fa altro
che dire che quella cosa è proprio rossa"..
Post by qf
E anche la tipa che fosse vissuta nella stanza in bianco e nero non
avrebbe affatto bisogno - se non per comunicare - di concordare con
qualcuno che il rosso è quello lì. Basta che fra un prato (verde) e il
sole al tramonto (rosso) apprezzi da sé la differenza per fare la sua
classificazione in autonomia. Che poi stipuli anche delle convenzioni con
i vicini e con loro fissi gli standard colorimetrici ISO è tutt'altro
discorso.
Mi ero concentrato sulla funzione di discriminazione cromatica del cervello
per un motivo ben preciso. Supponimo che il cervello non abbia un soggetto
pensante e che sia una semplice macchina dotato di ingressi ed uscite. Ora
nel momento entra in input una data frequenza dello spettro il cervello
reagisce in un determinato modo con reazioni in output. Il cervello *non sa*
che una frequenza è rosso o è verde, semplicemente discrimina le frequenze a
seconda degli eventi concreti (in interazione con l'ambiente) che ha
affrontato e che affronterà. Supponiamo che ad una data frequenza
corrisponda al rosso delle mele. Supponiamo che il nostro cervello abbia
casualmente mangiato una mela ed abbia associato a quell'oggetto un valore
positivo - perché lo nutre, perché lo sazia, etc. Nel momento il nostro
cervello andrà alla ricerca di qualcosa da mangiare e vedrà su un albero
delle mele potrà distinguerle da, non so, dei frutti di color verde. La
frequenza del rosso, in quella situazione concreta, è fatta rientrare in una
categoria positiva. Ma il cervello in questo non sa che la mela è rossa, ma
può tuttavia distinguere la mela da un frutto velenoso verde.

I qualia non hanno alcun tipo di referente, quando usiamo la parola 'rosso',
a cosa ci riferiamo? Io penso proprio a nulla. Quando qualcuno ci chiede:
che cos'è il rosso? E' chiaro che non sapremo mai spiegarglielo se non
indicando un oggetto che per noi è rosso. Ma non sapremo mai se l'altro vede
il rosso così come lo vedo io. Potrebbe benissimo - forse perché ha qualcosa
di invertito nel cervello, pensa al celebre esperimento mentale di Locke -
vedere il rosso... verde, e chiamare «rosso» ciò che è verde. Noi non lo
sapremo mai.
Post by qf
Con tutto questo, però, non è che io abbia capito cosa sono i 'qualia' :-)
Infatti molti filosofi, come Quine o Dennett, sostengono che non esistono.
Dennett individua tre presunte caratteristiche dei qualia: ineffabili,
intrinseci, privati. Da lì poi dimostra come l'ineffabilità, ad esempio del
rosso, sia dovuto al fatto che *non esiste qualcosa* che è rosso.
Post by qf
Ciao.
qf
Ciao,
K.
qf
2006-09-11 08:17:32 UTC
Permalink
Post by Signor K.
Post by qf
[...]
La discriminazione cromatica può essere una funzione maturata attraverso una
lunga e costosa selezione naturale. Un organismo dotato di
«discriminazione
Post by Signor K.
cromatica» suppongo, prima facie, che abbia maggiori possibilità di
sopravvivenza per motivi che puoi facilmente intuire.
Come si sia formata non lo so. E' certo che fornisce più bit di informazione
rispetto ai "livelli di grigi", e quindi è più efficace in termini di
interazione con il mondo circostante. Questo lo avevo già sottolineato in
precedenza, qui però non è in questione l'utilità - che davo per scontata -
ma il fatto che la capacità di discriminazione *c'è*.
Post by Signor K.
Post by qf
Il fatto che l'interpretazione dica "vediamo rossa una cosa che riflette
una certa frequenza", non fa altro che dire che quella cosa è proprio
rossa.
Questo è ciò che di solito si definisce «quale»: la qualità
dell'esperienza - come il sapore della birra, il dolore causato dal libro
che ti è caduto sul piede o il rosso intenso del tramonto. Sono tutti
elementi - almeno secondo alcuni (vedi Nagel, Chalmers, Jackson) - che
resistono alla spiegazione fisicalista. Si parte da un elemento semplice ed
irriducibile - il fatto bruto che ci siano il rosso o il verde - la cui
descrizione fisicalista non aggiunge nulla.
Intendi dire il fatto bruto che le cose sono quello che sono e non
qualcos'altro?
Beh, questo anche il divino Jacques lo sostiene a spada tratta :-)
Mi pare che questa sia la sostanza: le cose sono quello che sono e per
interagire con le cose occorre che noi ce le rappresentiamo in modo
*realistico*, che non vuol dire "fedele" ma *interattivamente efficace*. Che
sia "fedele" è del tutto irrilevante.
E per l'efficacia interattiva occorre qualche forma strutturata e coerente
di classificazione, di cui fa parte in particolare la discriminazione
cromatica, che è appunto una forma di classificazione.
L'evoluzione - se proprio si vuole parlare di evoluzione - consiste nella
stratificazione progressiva di classificatori sempre più ricchi di bit (cioè
di informazione) e coerenti con i sottostanti meno ricchi di bit.
Se quando dunque si parla di "qualia" si sta parlando di classificazione
dell'informazione - che è un dato ovvio - non vedo che cosa si stia
aggiungendo di nuovo o di utile. Non c'è vivente che non abbia questa
capacità di classificare, che corrisponde puntualmente a ciò che egli *è*:
non è qualcosa di aggiunto a un ente neutro (a un mucchietto di neuroni), ma
è l'ente stesso sotto i suoi aspetti funzionali più essenziali (di cui i
neuroni sono solo strumenti).
Post by Signor K.
Anche se non lo sai, sei un sostenitore dell'esistenza dei qualia,
soprattutto se leggo questa affermazione: «Il fatto che l'interpretazione
dica "vediamo rossa una cosa che riflette una certa frequenza", non fa altro
che dire che quella cosa è proprio rossa"..
Vedi qui sopra. Ritengo che l'introduzione dei qualia non solo non aggiunga
informazione, ma capovolga il quadro introducendo (o inducendo a introdurre)
delle entità-pilota discrete - persino modulari per qualcuno - in un sistema
la cui proprietà essenziale è invece l'unità (e l'essere - essa, nella sua
integrità - il pilota di tutto ciò che accade nell'eleborazione e
nell'interazione).
L'introduzione dei qualia si rifà a quanto noi facciamo nella costruzione di
sistemi informatici: decidiamo la funzione e poi la affidiamo a un modulo
funzionale, a una "scheda", con memorizzati (programmati) i pattern utili
alla funzione. Ma questo fa comodo a noi come progettisti e come
circuitisti: dedurre o indurre che anche noi siamo fatti così è del tutto
arbitrario, e credo sia anche fortemente deviante (pregiudiziale) nella
ricerca di che cos'è e di come funziona la cosiddetta "coscienza".
Post by Signor K.
Mi ero concentrato sulla funzione di discriminazione cromatica del cervello
per un motivo ben preciso. Supponimo che il cervello non abbia un soggetto
pensante
Non "abbia" un soggetto pensante? Non "sia" un soggetto pensante? Non *sia
un semplice organo* di un soggetto pensante?
E' un punto che andrebbe chiarito, non credi? Altrimenti di nuovo ci
troveremmo davanti a un pregiudizio.
Post by Signor K.
e che sia una semplice macchina dotato di ingressi ed uscite.
Così appunto noi progettiamo i sistemi elettronici/informatici. Di qui a
decidere che il "cervello" funziona così, ci corre.
Post by Signor K.
Ora
nel momento entra in input una data frequenza dello spettro il cervello
reagisce in un determinato modo con reazioni in output. Il cervello *non sa*
che una frequenza è rosso o è verde, semplicemente discrimina le frequenze a
seconda degli eventi concreti (in interazione con l'ambiente) che ha
affrontato e che affronterà.
Il "cervello" non sa niente di frequenze (e non gestisce frequenze così
alte). Come si rappresenti i colori non lo sappiamo, ma l'interazione con le
onde elettromagnetiche dello spettro luminoso si ferma alla retina.
Post by Signor K.
Supponiamo che ad una data frequenza
corrisponda al rosso delle mele. Supponiamo che il nostro cervello abbia
casualmente mangiato una mela ed abbia associato a quell'oggetto un valore
positivo - perché lo nutre, perché lo sazia, etc. Nel momento il nostro
cervello andrà alla ricerca di qualcosa da mangiare e vedrà su un albero
delle mele potrà distinguerle da, non so, dei frutti di color verde. La
frequenza del rosso, in quella situazione concreta, è fatta rientrare in una
categoria positiva. Ma il cervello in questo non sa che la mela è rossa, ma
può tuttavia distinguere la mela da un frutto velenoso verde.
Non basta affatto. Il rosso si può associare alle mele delizia così come si
associa al sangue. E noi anzi abbiamo associato il rosso alle situazioni di
pericolo (vedi i semafori) e il verde al contrario.
Allora non può esistere un "qualia positivo" relativo al rosso, ma deve
esistere una classificazione molto più complessa, flessibile e aperta. Del
resto i 65 milioni di colori ci bastano appena per rappresentare i colori
del mondo. E del resto noi stessi sappiamo generare frequenze su uno spettro
continuo, per cui lo spettro luminoso ha in realtà solo il limite della
nostra capacità di discriminazione (risoluzione); questo vuol dire forse che
i qualia sono virtualmente infiniti? Secondo me significa solo che siamo
*organizzati* per classificare liberamente entro un certo intervallo di
stimoli, e che di ogni oggetto dell'esperienza noi eseguiamo l'analisi
fisica e funzionale, e poi lo classifichiamo come oggetto, non come lista di
qualia. Dopo troveremo che ha delle proprietà comuni ad altri oggetti, e le
identificheremo facendone *enti astratti* o categorie, ma appunto di tratta
di classificazione strutturata entro cui verranno poi *riconosciuti* anche i
nuovi oggetti dell'esperienza. Gli enti astratti non sono perciò dei
soggetti della conoscenza, ma *oggetti* del processo unitario di conoscenza.
Post by Signor K.
I qualia non hanno alcun tipo di referente, quando usiamo la parola 'rosso',
che cos'è il rosso? E' chiaro che non sapremo mai spiegarglielo se non
indicando un oggetto che per noi è rosso. Ma non sapremo mai se l'altro vede
il rosso così come lo vedo io. Potrebbe benissimo - forse perché ha qualcosa
di invertito nel cervello, pensa al celebre esperimento mentale di Locke -
vedere il rosso... verde, e chiamare «rosso» ciò che è verde. Noi non lo
sapremo mai.
Questo non importa. Ci sono anche i daltonici. Ciò che conta è che al
semaforo si comportino correttamente. Se scambiano il verde con il rosso,
impareranno a passare con il rosso. Non è un problema. La convenzione non
obbliga ad avere le medesime percezioni, ma obbliga a reagire in un certo
modo a fronte di un certo stimolo oggettivo. La martellata sull'alluce, per
il masochista, può essere un piacere, ma il pronto soccorso è il medesimo
per lui come per chi masochista non è.
Post by Signor K.
Ciao,
K.
Ciao.
qf

Nathan
2006-09-10 20:19:25 UTC
Permalink
sabato 09/09/2006 18.12, *Signor K.* ha scritto:

[cut]
[...] Se la descrizione esperienziale
del rosso non è riducibile ad una descrizione fisica, allora l'esperienza
dei qualia non è spiegabile in chiave fisicalista.
Questo è il punto chiave del tuo lungo ed interessante articolo. La tua
deduzione è esatta: non è possibile fornire in termini *oggettivi* la
descrizione fisicalista dell'esperienza *soggettiva* dei qualia, e per i
motivi che hai così brillantemente esposto. Il problema è che siamo tutti
pervasi dal sacro fuoco di voler fornire necessariamente, nell'ambito del
paradigma scientifico occidentale, una descrizione *oggettiva* di qualsiasi
fenomeno; cosa è una descrizione *oggettiva* di un fenomeno? Più o meno la
descrizione di un "qualcosa" che è uguale da qualunque punto di vista lo si
osservi. Ad esempio, una descrizione "oggettiva" di una mela che cade la si
può fornire ricorrendo alla forza di gravità, ed è presupposto della
scienza galileiana fornire una descrizione di un fenomeno in termini
"oggettivi" e di esperimento, da qualunque punto di vista lo si osservi il
fenomeno in oggetto. Ecco che allora nell'imbatterci nell'annoso problema
dei "qualia" si è pervasi ancora da questo sacro fuoco oggettivizzante,
vorremmo "oggettivare" i "qualia", dire che un "qualia" - *è questo*,
corrisponde a "questo", ed ecco allora spuntare fuori le ipotesi più
strampalate... sono "illusioni ottiche"? esistono veramente? sono
"proiezioni soggettive"? elementi trascendenti? inoggettivabili?

Sarebbe veramente ridicolo a questo punto voler fornire una descrizione
"oggettiva" dell'esperienza soggettiva dei qualia ricorrendo a fantomatiche
descrizioni di altrettanti fantomantici "teatrini esperenziali interni",
"homuncoli interiori" (con bislacca moltiplicazione di "io percepienti" in
un susseguirsi di scatole cinesi), "proiezioni interiori
inoggettivabili"... poichè per fare questo, ovvero per fornire una
descrizione "oggettiva" dell'esperienza soggettiva personale, dovremmo
disporre di una sorta di "sguardo da nessun luogo", una sorta di "io
imparziale metafisico", per vedere - con il *nostro* sguardo - , ciò che
rappresenta "oggettivamente" l'esperienza "soggettiva" personale. Ciò che
viene magistralmente illustrato nell'articolo di Nagel "Che si prova ad
essere un pipistrello", altrove citato e che consiglio vivamente di
recuperare. E questo non significa voler ricorrere ad un misterioso
misticismo trascendente. Semplicemente, la descrizione "scientifica" del
mondo si ferma lì, nel punto di attivazione delle singole cellule
celebrali, se vogliamo... non esiste nessuna fantomatica "risonanza
nucleare ad emissione di positroni" capace di farci vedere i triangoli
nella testa del soggetto percepiente. Nessun triangolo in testa: la
descrizione scientifica del mondo si ferma lì, in quel punto. Il neurone.

"Oltre" sono i qualia... ma i "qualia" come notavi, sono i mattoni
fondamentali del mondo che ci circonda, i mattoni dei quali noi stessi
siamo costituiti, irriducibilmente fondamentali, inoggettivabili nel
paradigma scientifico occidentale.
Chalmers ha sostenuto che la resistenza alle descrizioni fisiche dei qualia
è dovuto non al fatto che essi siano qualcosa di «ineffabile e misterioso»,
sono irriducibili. Ciò che era irriducibile in fisica viene introdotto come
elemento fondamentale (vedi la massa o l'energia). Pertanto l'esistenza dei
qualia deve essere assunta come elemento fondamentale ed irriducibile,
ampliando ed aggiornando così la nostra visione naturalistica del mondo. Per
Chalmers non si tratta di inserire un elemento soprannaturale ma di
arricchire la nostra visione naturalistica aggiungendo un nuovo elemento,
così come accadde per la fisica quantistica. Conservando l'irriducibilità
della coscienza e, allo stesso tempo, facendola rientrare in una visione
naturalistica, Chalmers ha chiamato questa sua posizione «dualismo
naturalistico».
Su questo ovviamente non ho nulla da aggiungere, vedendomi sostanzialmente
d'accordo. Grazie degli interessanti spunti di riflessione.

Ciao.
--
< Nathan > ~ email ***@x-planet.org ~
«All I ever wanted - All I ever needed
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They can only do harm» (Enjoy the silence, Depeche Mode)
Marco V.
2006-09-10 21:17:44 UTC
Permalink
Post by Nathan
[cut]
[...] Se la descrizione esperienziale
del rosso non è riducibile ad una descrizione fisica, allora l'esperienza
dei qualia non è spiegabile in chiave fisicalista.
Questo è il punto chiave del tuo lungo ed interessante articolo. La tua
L'argomento di K. è corretto, ma sembra fondarsi su una premessa
inesplicitata. Infatti perché dalla irriducibilità della descrizione
esperenziale del rosso ad una descrizione fisica segua logicamente
l'inspiegabilità dei qualia in chiave fisicalista, è necessario assumere
la seguente premessa: la spiegabilità dei qualia in chiave fisicalistica
implica una qualche identità tra "descrizione esperienziale del rosso" e
"esperienza del rosso". Non deve cioè sfuggirci che c'è un passaggio
logico tra "descrizione esperienziale del rosso" (della quale si afferma
l'irriducibilità ad una descrizione fisica) e "esperienza dei qualia"
(della quale si vuole affermare, per conseguenza, la non spiegabilità in
chiave fisicalistica).

E allora potremmo forse spingere oltre il concetto della resistenza dei
qualia alle descrizioni fisiche, e affermare che è l'esperienza a non
poter essere riducibile alla sua descrizione (resoconto verbale), nella
misura in cui l'esperienza *si autodescrive* per i fatti suoi, sì che ogni
descrizione dell'esperienza che non sia quest'autodescrizione, è
necessariamente incapace di restituirci l'esperito: deve restituirci
"altro". Questa autodescrizione dell'esperienza, sarebbe - in base a ciò
che sto dicendo - l'autentica "descrizione esperienziale"

Dunque l'irriducibilità della descrizione esperienziale del rosso ad una
descrizione fisica sarebbe non altro che una individuazione specifica (ma
privilegiata, in ragione del rapporto tra i qualia e l'esperienza stessa)
della universale irriducibilità della descrizione esperienziale ad una
descrizione che non sia quell'autodescrizione in cui l'esperienza stessa
consiste: l'esperienza del rosso si autodescrive.

Queste, ovviamente, non sono che tracce di un discorso che meriterebbe ben
altro approfondimento (e non sarebbe cosa semplicissima). Questo discorso,
comunque, dovrebbe necessariamente tematizzare quel pregiudizio scientista
(cui Qf ha implicitamente fatto cenno) che vuole la
soggettività...assoggettata all'intersoggettività (questione, questa, di
cui si discusse qui a proposito della cruciale faccenda delle
"proposizioni protocollari" nella quale naufragò il neopositivismo).
Da meditare, comunque, questa umile poesia di Giorgio Caproni:

<<Buttate pure via
ogni opera in versi o in prosa.
Nessuno è mai riuscito a dire
cos'è, nella sua essenza, una rosa.>>

["Concessione", in "Res amissa"]

Naturalmente non buttiamo via proprio nulla (tantomeno Aristotele, visto
che è *grazie a lui* che la filosofia contemporanea può con qualche
ragione parlare della impossibilità-indicibilità della "essenza"). Ma la
rosa (che è pure, accidenti a lei, "senza perché"), cos'è?:-). Già lo
Hegel della "Fenomenologia dello spirito" ridicolizzò - ben prima di
Wittgenstein - le "descrizioni ostensive". La rosa c'ha le spine e non
potremo mai stringerla in pugno senza sanguinare. Le spine del linguaggio
-il sangue del problema. Le spine dei qualia sono, allora, particolarmente
appuntite.

Un saluto,

Marco
--
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Nathan
2006-09-10 20:38:05 UTC
Permalink
sabato 09/09/2006 18.12, *Signor K.* ha scritto:

[cut]

Credo che sia utile leggere ed approfondire l'articolo di Chalmers stesso,
che potete trovare su
http://www.sicap.it/merciai/psicosomatica/students/puzzle-t.htm

Un caro saluto a tutti.
--
< Nathan > ~ email ***@x-planet.org ~
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